CAPITOLO 3

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  "Il silenzio è sacro. Unisce le persone perché solo chi si sente a proprio agio in compagnia di un altro può fare a meno di parlare. Questo è il grande paradosso."
( Nicholas Sparks. )


Hiram è la persona più silenziosa del mondo. Persino io parlo più di lui, eppure sono una persona che predilige il silenzio.
Ma con lui, il silenzio, è snervante. Non parla, non fiata, non emette alcun suono.
In auto, per circa venti minuti, è rimasto in silenzio. Tutto era in silenzio.
Niente conversazioni, niente radio, niente ronzii di auto o clacson rumorosi, perché non appena mi azzardavo ad aprire il finestrino, lui lo richiudeva dopo due secondi.
Non mi ha chiesto dove mi andasse andare, dove mi piacesse cenare o semplicemente prendere da bere. Ha scelto lui per entrambi.
Tuttavia, non ho avuto bisogno di chiedere perché averlo spiato per giorni interi mi ha permesso di riconoscere da subito le strade imboccate e il locale scelto.
Mi ha sorpreso il fatto che il locale in cui mi ha portata, è esattamente lo stesso che lui sceglie per i suoi aperitivi.
Un locale abbastanza affollato ma comunque tranquillo per una chiacchierata con un collega.
Le pareti sono costernate da un marroncino tenue, i tavolini di legno sono rotondi ed alti, e la musica è leggera. Tutto normale, per un ragazzo apparentemente normale.

Entrati, senza rivolgermi ancora la parola, raggiunge un tavolo libero in fondo al locale, appartato ma comunque abbastanza in vista.
Ci sediamo in completo silenzio, Hiram mantiene l'aria da duro e un atteggiamento indifferente nei miei confronti. Sembra quasi che mi stia facendo un favore ad essere qui con me.
Dopo una lunga attesa, passata a guardare il menù che ha portato lui a scegliere uno Scotch whisky e a me un Martini, finalmente si degna di guardarmi.
I suoi occhi scuri come la notte sono nei miei, mentre come sottofondo Rochard Ashcroft dei The Verve canta "Bittersweet Symphony", una delle mie canzoni preferite.
Sorrido e canticchio mentalmente "E sono tra un milione di persone diverse di giorno in giorno. Non posso cambiare il mio stampo, no no no."

«Ivanov nell'ultimo periodo è un nostro cliente pressoché abituale. Lui chiede dei favori, noi lo accontentiamo. Così come lui ci sono milioni e milioni di persone che chiedono favori. Noi portiamo semplicemente a termine il nostro lavoro.» Con le mani congiunte in avanti, prova a darmi finalmente delle spiegazioni ma, soprattutto, inizia a riempire il silenzio.
Mi sembra di capire che il "The new day" è la versione soft della Sebak.

«Esattamente, quale lavoro?» chiedo in tono di sfida.

«Quello di scovare le notizie più succulenti che ci circondano. I nostri paparazzi sono i migliori sulla piazza, nel mondo. Sono a pari di una spia. Perfettamente silenziosi e in grado di non farsi riconoscere. Non invadono la vita dei vip, dei politici o dei reali. I nostri paparazzi scavano nei loro rapporti, nelle loro famiglie, nei loro segreti. Tutte queste informazioni le pubblichiamo sul nostro giornale e, quando ci viene chiesto, le offriamo a dei clienti che ne sapranno fare buon uso. Ad un prezzo per noi ragionevole, è ovvio.» Prende fiato dopo il suo immenso monologo. Cerca di spiegare un qualcosa che non ha senso, di motivare una cosa illegale. Non è un lavoro, questo. É mettere in ridicolo e in difficoltà la vita di un'altra persona. Non che me ne importi qualcosa, ma sicuramente a loro importerà.
Hiram mi osserva, cerca di decifrare la mia reazione e i miei pensieri. Ed io gli darò quello che vuole.

«É geniale. Scorretto, ma geniale.» Il suo volto prova a mascherare la perplessità, ma io sono nata per scovare nelle emozioni degli altri e so perfettamente che non sa se credermi.

«I fogli che hai firmato prima non ti consento di parlare di tutto questo con nessuno.» Senza neanche darmi modo di rispondere, afferra alcuni fascicoli dalla sua valigetta e me li mette davanti.
«É chiaro che sei in grado di parlare.» Ha una reazione strana alla sua stessa frase. Sì, in effetti è un mezzo complimento e gli è uscito pure male. Tossicchia. «Nel senso che è chiaro che sai usare bene le parole. Hai saputo convincere Ivanov a dare quasi il doppio dei soldi che normalmente è disposto a sborsare. É vero che stavolta aveva chiesto qualcosa di completamente diverso, qualcosa di grosso...» si passa una mano sul mento, segno che sta riflettendo. «Ma sono davvero tantissimi soldi. E se sei stata in grado di convincere lui, allora potresti essere in grado di convincere altri clienti. Faresti sicuramente qualcosa che non danneggia il nostro sito web o la rivista in generale» Sbuffa «Smetteresti di fare cose per cui non sei portata per niente.»

Lo osservo, perché anche se non lo da a vedere, un po' la mia presenza lo mette a disagio. O forse è semplicemente l'irritazione che ha quando è con me.

É la proposta di lavoro più orribile che abbia mai sentito. E non per il lavoro in sé, ma per il fatto che ha provato a complimentarsi con me senza farlo realmente. Sarà difficile per lui riconoscere il talento degli altri.

Sorrido e afferro la penna che ha posto accanto ai fascicoli e man mano li inizio a firmare senza avergli dato una vera e propria risposta, pur apparendo evidente qual è la mia scelta.
Nel frattempo lui sorseggia lo scotch arrivato e mantiene il suo sguardo fisso su di me.
Riesco quasi a sentire i suoi pensieri. Non mi crede. Per qualche ragione, non mi crede. Non si fida di me. O meglio, non ancora.

«Ecco fatto.» Allontano i fogli e afferro il mio Martini.

«Prendili, e guardateli attentamente a casa» mormora.
É chiaro che non parlerà di altro se non di lavoro, quindi tocca a me fare la prima mossa.
Ti fiderai di me, Hiram.

«Allora, prima era un complimento? Il fatto che io sappia parlare, intendo.» La sua espressione è pensierosa, ma stavolta non in senso negativo.
I suoi occhi sono magnetici, e devo fare appello al mio autocontrollo per non strapparglieli a mani nude.

«No, no. Non ci provare! Ho riconosciuto un tuo merito.» Oh, bene, siamo anche orgogliosi. Perfetto. Hiram è l'emblema dei difetti umani. Tutti lui, assurdo.
Sorrido ancora, stavolta divertita dalla sua poca umiltà e soprattutto perché devo fingere di aver piacere a starmene qui con lui anche se preferirei di gran lunga a starmene sul divano mangiando sushi e guardando serie tv ridicole.
Eh sì, questa è la vita di un sicario a casa. Cosa credevate?

«Io lo prendo comunque come un complimento. Come il vestito troppo serio e vistoso.» Con il braccio appoggiato sulla sedia, un dito sulle labbra, sembra sorridere.
Oddio, sì, sembra quasi... divertito. Allora è umano?

«Ok, forse quella frase mi è uscita male» ridacchia. Oddio, Hiram Campbell riesce anche a ridere. Questo sì che è un traguardo! «Hai vissuto in Russia, quindi?» cambia discorso perché è chiaro che l'altro lo mette a disagio. O forse è il mio vestito a metterlo a disagio... Ci rifletto su e sorrido mentalmente quando il brano "Nothing's Gonna Hurt You Baby" dei Cigarettes After Sex parte lentamente dalle casse.

Sotto lo sguardo attento di Hiram sfilo lentamente la giacca leggera, poiché qui dentro ci saranno almeno dieci gradi in più e a metà settembre fa comunque caldo. Poi mi ricordo che gli devo ancora una risposta.

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