CAPITOLO 15

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 «Qual'è l'unico modo per combattere il freddo?» 
«Diventare più freddi»
(The O.A. )  



Ho guardato la notte scorrermi davanti agli occhi. Ho visto centinaia di auto, qualche uccello, degli aeri. Ho visto il sole tramontare, poi risorgere, ma niente... non ho visto tornare Hiram.
Ho pensato in che modo smettere di soffrire, e ancora una volta l'idea della morte mi ha sfiorato la mente.
Ho urlato. Ed ho pianto. Ho fissato il vuoto. Mi sono distrutta. Ho desiderato che il vuoto mi avvolgesse ancora e mi portasse con sé, lontano da questo mondo e lontano dal dolore. Ho desiderato la fine. Desidero la fine.

Sono passate ventotto ore, Derrick ed Hiram ormai saranno su qualche spiaggia caraibica chiedendosi ancora chi sono, perché ho fatto tutto questo. Ho distrutto Hiram.
Ho distrutto la possibilità di rendere libero Ermak, che starà provando a chiamarmi, che si chiederà dove sono.
Ma io non ci sono più.
Distruggo tutto.

Sono stata un giorno intero lontana da casa, lontano dalla città, lontano dal chiasso. Ma non è servito a calmare quello nella mia testa, quello che c'è nel mio cuore.
Sono stata a Le Santa Monica Mountains, dove solo qualche giorno fa mi trovavo con Hiram.
Dove avevo finalmente capito il sentimento profondo che mi lega a lui.
Questa cosa mi ha devastata.
Ho guardato quel posto accanto a me desiderando che ci fosse anche lui, immaginando che mi tenesse per mano. Poi ho capito che non basta più sognare, non mi è più concesso.

Parcheggio poco distante dal piccolo palazzo che ospita casa mia, consapevole che seduto ad aspettarmi ci sarà Ermak, il suo pick up nero è inconfondibile.

"Vicky, dove sei stata, cazzo!" lamenta non appena mi vede arrivare.
E non so cosa mi prende, non so perché lo faccio e non so la prima volta a quando risale, non so se è mai successo prima d'ora di mia spontanea volontà... ma mi fiondo tra le sue braccia e scoppio in lacrime.
So che è sorpreso, ma la sua stretta è confortante.
Mi mancavano i suoi abbracci, mi mancava Ermak e quello che siamo sempre stati. Non ho mai pensato di avere così tanto bisogno di affetto come in questo momento.
Ho bisogno di Ermak molto più di quanto lui abbia bisogno di me per uscire integro dalla Sebak.
"Hey, hey... cosa succede?" chiede calmo.
Cosa succede?
Ho rovinato Hiram.
Ho rovinato la sua possibilità di essere libero.
Ho condannato me stessa alla Sebak.

Mi porta in casa, ma anche questa non sembra più mia. Niente mi sembra più lo stesso.
Avvolge le sue braccia attorno al mio corpo, ma anche il sollievo iniziale è sparito.
Ho distrutto tutto.

"Mi dici cos'è successo?"

"Sono rotta" sussurro fissando un punto indefinito alle sue spalle, mentre lui continua a carezzarmi e tenermi stretta, come se così facendo parte del dolore si alleviasse.

"Non sei rotta" risponde a voce bassa, un po' commosso. Lo sa anche lui che sono rotta.

"Ho rovinato tutto. Non dovevo innamorarmi, ma è successo e... l'ho lasciato andare." Mormoro. Ermak si stacca dall'abbraccio e spalanca gli occhi incredulo, mi osserva per qualche secondo e poi scuote il capo dubbioso.

"Ti sei innamorata di Hiram Campbell? Cazzo, Viky, è una delle prime regole! Non innamorarsi, non provare sentimenti!" si allontana incredulo. Il suo viso sconvolto mi suggerisce che tutto è anche peggio di ciò che mi aspettavo.

"Ti farò uscire comunque dalla Sebak, Ermak. Conrad si fid.."

"Non me ne frega un cazzo di uscire dalla Sebak, Viky!" sbraita "A me importa di te! Ti rendi conto di cosa hai fatto? Ti rendi conto delle ripercussioni che tutto questo avrà?" urla.

Trattengo un singhiozzo. "Non ho deciso io di innamorarmi..." dovrò fare veramente pena, perché lo sguardo di Ermak cambia totalmente quando incrocia il mio, distrutto.
Ritorna accanto a me, con le braccia scese lungo il corpo e l'espressione di qualcuno davvero preoccupato.

"Risolveremo tutto, ok? Troverò io una soluzione, tu intrattieni Conrad solo per qualche ora ancora, poi la tua missione sarà completata!" mormora pensieroso.

"Come può essere completata se sono fuggiti, Ermak?"

"Darò fuoco all'ufficio. Diremo che i corpi si sono bruciati o non lo so, inventeremo qualcosa. Ma devi promettermi che non appena firmerai la conclusione della missione poi andrai via. Devi fuggire, Viky." Il tono di compassione è il tono di voce che più odio al mondo.
Non ho bisogno della compassione, ho bisogno di uccidere i Campbell per renderlo libero.
Ho bisogno di uccidere Conrad.
Ho bisogno di mettere fine alla Sebak.... Ho bisogno di Hiram.
Ma non ho bisogno di compassione.

"No! No, cazzo! Il mio accordo con Conrad è per rendere libero te, non me. Quindi non si discute!" sbraito.
Ci vuole qualche istante, ma improvvisamente mi sembra tutto più chiaro. Improvvisamente riacquisto lucidità.
Non mi è concesso piangere, non adesso.
Devo prima completare questa missione, liberare Ermak, e poi mi sarà concesso.
Poi mi sarà concessa la morte.

"Viktoriya! Apri!" dei pugni alla porta e una voce a me troppo conosciuta, mi risvegliano dalla trance. Il mio cuore si spezza ancora, e ancora, e ancora.

"Hiram" sussurro non appena apro la porta.
E' qui. E' ancora qui. Il mio cuore torna a battere, nonostante sia in mille pezzi. Batte non appena i miei occhi incontrano i suoi.

"Cosa cazzo non capisci del fuggire, amico?" Ermak compare alle mie spalle. E' nervoso, lo capisco da come si muove e dal tono di voce. Ma questo non mi aiuterà a risolvere l'intera faccenda.

"Ho bisogno di parlarti" poi guarda Ermak "Da soli." Percepisco la tensione tra i due, ma questa è l'ultima cosa di cui ho bisogno. Adesso che ho Hiram qui ritorno quasi a respirare, ritorno quasi a vivere. Forse ho ancora una piccola speranza di poter sistemare tutto.

"Come posso sapere che non le punterai una pistola in faccia?"

"Ci ho provato, l'ho legata e dopo due secondi era lei a puntarla in faccia a me, non ho intenzione di ripetere la situazione."

 Ad Ermak scappa un sorrisino ma torna subito serio.
"Ermak, ti prego, va via. Fingi che questa conversazione non sia mai esistita e comportati come al solito. Risolverò tutto io." Sussurro vicino al suo orecchio, in modo tale che solo lui possa ascoltarmi.
Il suo sguardo mi suggerisce che non è per niente convinto, ma mi ascolta e fa come gli ho detto.
Si allontana a passo deciso verso l'uscita, ma prima osserva per bene Hiram che non appare per nulla intimorito.

"Sono qui fuori, se sento la voce di Viktoriya anche solo mezza tonalità più alta, ti squarto vivo!" mormora.

"Ermak!" lo ammonisco.

Ora ci si potrebbe aspettare un Hiram impaurito, o quantomeno leggermente intimorito, ma niente. Il suo sguardo resta fisso davanti a sé. E davanti a sé ci sono io.
"Ok, ok, vado via." Mormora.
Esce di casa in silenzio, ma con lo sguardo di chi non ha intenzione di fermarsi qui. Questo lo conferma la porta che sbatte sonoramente.

Vorrei lasciargli il tempo di metabolizzare, ma non ne ho così tanto.
"Non sapevo che mi sarei innamorata di te..." prova ad interrompermi ma io alzo un dito per fermarlo, perché ho bisogno che sappia queste cose. Perché se questa è l'ultima che vedrò i suoi occhi, allora voglio che i miei raccontino tutta la verità.
Perché per una volta ho bisogno di dire davvero come stanno le cose.
Ho bisogno di dire cos'è davvero la Sebak a qualcuno che possa davvero ascoltarmi.
"Non ti racconterò tutta la mia storia, perché forse non ti importerà più saperla... ma voglio che tu sappia che non ho scelto io di diventare questa." Il suo sguardo attento mi da speranza, mi dona serenità. " Non ho avuto scelta, così come Ermak." Mi schiarisco la voce, poi inizio davvero. "Te l'ho già detto, ma voglio che sia chiaro, Hiram. Io ho visto cose orribili, e fatto cose tremende... ma tutto quello che ho fatto è stato solo per evitare che Ermak vivesse quello stesso orrore. E so che non è una motivazione, ma grazie a questo Ermak non ha ucciso più di una decina di persone. Grazie a questo Ermak non ha mai visto morire bambini, donne giovani, persone per bene." Noto come cambia il suo sguardo quando inizio a parlare di tutti i miei omicidi, ma ho bisogno che sappia tutto. Ne ho bisogno.
"Cinquanta missioni per essere liberi. Uno dei veri problemi è arrivarci. Molti muoiono dalla trentesima in poi, quando iniziano le vere e proprie missioni. Quando iniziano i veri e proprio massacri... Tu e tuo padre eravate la mia cinquantesima missione, una semplice cinquantesima missione. Più quelle fatte per Ermak, forse direi sessantesima. Ma grazie alla vostra morte avrei liberato mio fratello. E so quanto possono essere brutali queste parole, ma è la verità. Io lo sono stata per tanto." mi asciugo una piccola lacrima che solca la guancia destra e respiro piano.

"D'accordo è stato un errore venire qui." Mi interrompe bruscamente e si volta verso la porta ma io non ho intenzione di lasciarlo andare. E non parlo da agente, ma da un semplice essere umano innamorato. Ho bisogno che sappia.
Mi posiziono davanti al suo corpo troppo rigido e ai suoi occhi troppo freddi, e mi avvicino fin dove posso.

"Lasciami finire, ti prego. Ti ho già lasciato andare e lo farò di nuovo, voglio solo che tu mi ascolti, anche se so di non meritarlo." Alza gli occhi al cielo ma so che questo significa un "continua" senza parole. A modo nostro.
"Quando sono arrivata al The New Day e ti ho visto per la prima volta ho trovato quasi sensata la missione. Quando hai avuto bisogno di me, con quel tizio russo, ho avuto conferma che mi faceva schifo il vostro mondo e il modo in cui facevate soldi. Certo, non è ben diverso dal nostro e voi di certo non uccidete, ma fate estorsioni volontariamente. Nessuno vi costringe." I suoi occhi si trasformano quasi in odio, ma mi lasciano continuare. "Quando poi ci siamo conosciuti meglio, quando ho avuto modo di parlarti da sola, quando le tue mani hanno toccato per la prima volta la mia pelle... qualcosa è cambiato. Ho capito che tu eri in trappola così come me. Ho capito che anche tu facevi qualcosa per sopravvivere, e non per vivere. Ho capito che anche tu sopravvivevi. Ho capito che avevi un cuore e che il tuo è e sarà sempre più grande del mio. E più tempo trascorrevo con te, più ne avevo bisogno.
Sei stato una medicina per il mio cuore. Per la mia anima. Mi hai riportata in vita quando credevo di essere già morta." Mi muovo in certa e cerco di fissare qualcosa che non siano i suoi occhi ma non funziona nulla, quelle due occhi color nocciola sono una calamita per i miei occhi troppo deboli e stanchi. "So che non potrai mai perdonarmi e so che niente potrà mai giustificarmi, ma voglio solo che tu creda in tutto quello che abbiamo vissuto insieme, perché io l'ho fatto. Trasgredendo a qualsiasi tipo di regola che la Sebak impone, ma l'ho fatto per te. L'ho fatto per noi. Non ho mai mentito sui miei sentimenti." Hiram mi osserva, i suoi occhi restano cupi ma sanno essere dolci. I suoi occhi sembrano tornare come una volta.

"Perché mi hai mentito..." la sua voce rauca e lenta è come un coltello che mi lacera lentamente.
Provo ad avvicinarmi il più possibile e il fatto che lui me lo lasci fare mi tranquillizza, mi da speranza. "Avrei fatto di tutto per te, Viktoriya... di tutto." Sussurra.
Gli occhi socchiusi, il respiro pesante, il capo leggermente inclinato, tutto mi suggerisce che non c'è. E' qui fisicamente, ma lui non c'è.
La sua mente è nei miei errori, nelle mie bugie, nel dolore che io gli ho causato.
Lentamente poggia la fronte alla mia e il contatto leggero con la sua pelle mi fa rabbrividire di piacere. Potrei urlare di gioia solo per questo. Anche solo per questo.
"Ma mi hai fatto così male... mi hai... ferito." Continua a tenere gli occhi socchiusi, ma il suo respiro caldo sulla mia pelle mi riscalda dopo ore ed ore di gelo lontano da lui.

"Posso sistemare tutto, Hiram. Posso inscenare un incendio, una finta morte... posso fare qualsiasi cosa che possa assicurare la vostra salvezza." Sussurro. "Concedimi di salvarvi, entrambi." Il suo viso delicato, quel viso che tanto adoro, si avvicina al mio, che fin ora ha solo mentito. Tranne adesso. Non lo farò più, non mentirò più a chi amo. Né lo ferirò ancora.
Posso sistemare tutto, mi ripeto.
Le sue labbra sfiorano appena le mie e in un attimo mi trovo catapultata in paradiso.
Il mio paradiso, fatto solo di Hiram.

"Hai solo inquinato la mia vita con le tue bugie, con le tue false promesse. Ti sei insidiata nella mia testa e nella mia vita come un demonio e lentamente mi hai ucciso. Per quanto mi riguarda, potresti dare davvero fuoco all'ufficio con me dentro. Perché preferirei comunque bruciare in quelle fiamme, piuttosto che essere salvato da te."
Spalanco gli occhi e resto immobile, non mi muovo né respiro troppo pesantemente.
Semplicemente fisso i suoi occhi, poi il coltello che mi punta allo stomaco.

"Ti farò soffrire, Viktoriya Volkov."

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