CAPITOLO 5

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"Identici agli dèi,
i tuoi occhi possono negare o donare ogni cosa."
( Pedro Salinas )



A volte mi sorprendo ancora di quanto io non viva di rimorsi.
Non mi sono mai posta i dubbi del "magari", "oppure" e "forse". Sono sempre stata fin troppo consapevole delle mie scelte, dei rischi e delle conseguenze.
Ecco, io non ne ho paura.
Non ho paura di quel che sarà per quello che faccio, non ho paura delle conseguenze.
A volte mi chiedo cosa mi ha reso così.
Posso davvero attribuire tutta la colpa alla Sebak? A Conrad? Ai miei genitori che credevano nei valori sbagliati?
Non riesco a trovare qualcosa di me che mi riporti ad un momento di rimpianto, di tristezza vera. Di malinconia. Eccetto quando termino cinque missioni, soltanto quando mi marchio la pelle per ricordare. Soltanto quando mi costringo a non dimenticare.

A volte vorrei esserlo. A volte vorrei essere abbastanza forte da crollare.
Abbastanza forte da non farcela, da rifiutare un omicidio che potrei compiere in quindici secondi.
A volte vorrei piangere. Vorrei saperlo fare.
A volte vorrei sentirmi solo una persona normale.

Guardo allo specchio il mio riflesso, i capelli castani ondulati lungo le spalle, gli occhi chiari decorati da un trucco troppo scuro, e le labbra accompagnate da un rosso lucido, entrambe cose che non mi appartengono.
Stiracchio con le mani il vestito nero lungo fin sopra il ginocchio, con uno scollo a V ampio, l'unica cosa che sembra far parte di me.
Ma poi ci rifletto meglio... cosa c'è di me, in me?
Neanche io saprei dove trovarmi.

Alle 20:00 in punto Hiram suona il campanello. Non mi do tante arie, non cerco di perdere tempo perché odio lo stereotipo creato attorno alla donna. Quello per cui è sempre questa ad essere in ritardo, mai l'uomo.
E per un sicario, un agente come me, la puntualità è tutto.
Spalanco la porta e ad aspettarmi c'è un Hiram in giacca e cravatta niente male. Non fraintendetemi, Hiram è sempre in giacca e cravatta ed è sempre molto... attraente. Ma stasera c'è qualcosa di diverso.
Non ha i capelli biondi o gli occhi azzurri, ma ha sicuramente un fisico scolpito, percepibile dalla camicia azzurrina e la giacca blu scuro. E anche il sedere è messo bene. Tutto è al suo posto.
Eccetto la mia pistola. Che dovrebbe essere sulla fronte dei Campbell.

«Sembri una cameriera. Ed io che speravo indossassi qualcosa di carino.» Sbuffa e si dirige all'auto. Ecco come mi accoglie. Ha una gentilezza innata, soprattutto nell'esporre le sue opinioni.

Ovviamente, anche stavolta, nessun gesto di finta galanteria. Lascia che sia io ad aprirmi lo sportello e non si preoccupa di scusarsi della frase precedente.
Anzi, non aspetta neanche che chiuda lo sportello che è già in retromarcia a sbuffare.
«Dovevi portarti il tesserino del The New Day, sono certo che ti scambierò per una cameriera e ti chiederò di servirmi da bere.» Ridacchia da solo della sua battuta e quella piccola fossetta sulla guancia quando sorride è la cosa peggiore che possa esserci.
Nonostante l'ostilità nei miei confronti, sembra abbastanza sereno e tranquillo.

Con lo sguardo indugio sulla radio e, anche se non dice nulla, fa quello che silenziosamente gli ho chiesto. Accende la radio e va avanti fin quando non mi sente canticchiare "Never Too Late" dei Three Days Grace.
Osserva ogni mio movimento, il modo in cui canto, in cui intono la musica con la testa, l'apertura delle mie labbra, tutto. Ma non fiata.
Non fiata neanche una volta arrivati in uno dei posti più lussuosi che io abbia mai visto. E lo posso garantire, ne ho visti posti di lusso ma quasi nessuno ha raggiunto questi lampadai di cristallo grandi quasi quando la mia camera da letto. Tutto qui dentro sembra urlare una cosa sola: soldi.
E anche se ad Hiram non piace il mio vestito da cameriera, ho assolutamente scelto bene. La gente qui è estremamente elegante. Con abiti lunghi e acconciature troppo difficili anche solo da guardare.

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