CAPITOLO 26 - (Fine - parte I )

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"Mi chiedi qual è stato il mio progresso? Ho cominciato a essere amico di me stesso."

(Lucio Anneo Seneca)


Respiro a malapena, ho la vista appannata e la tachicardia ma cammino convinta. Non abbasso lo sguardo, né mi vergogno di ciò che sono. Osservo con attenzione, e per l'ultima volta, il posto vuoto che mi circonda. Il posto vuoto che per troppo tempo mi ha tolto tutto. Conto quante persone posso aver incontrato da quando sono entrata qui dentro, e sono più serena quando capisco che non c'è quasi nessuno.
Ho riflettuto così tanto... Ho addirittura chiamato mio fratello, chiesto di tornare in Russia e mettere fine a tutto.

"Questo è il mio posto, Viktoriya. E' questo quello che voglio fare, è questo in cui credo. Mettitelo in testa." Ha urlato, io gli ho pregato di non riattaccare. Lui l'ha fatto comunque.

"Non c'è più nessun altro modo" mi ripeto questo, perché ho bisogno di ricordarmelo. Ne avrò bisogno.
Ho passato una settimana intera a chiedermi cosa fare, come fare, chi usare... ma la verità è una sola.
Non c'è più niente da fare. E quando a letto, in Russia, ho realizzato che non c'era più alcun modo per mettere fine a tutto, ho pianto tutta la notte. Hiram mi ha tenuta stretta e non ha parlato, ha solo annuito. E' sbagliato, ma giusto. Non è stata una sorpresa scoprirlo.
Non è una sorpresa neanche quando varco la porta dell'ufficio di Conrad e al suo fianco ci ritrovo Ermak.
Mi richiudo la porta alle spalle e tengo le mani in tasca. Entrambi sembrano spaesati e sinceramente confusi.

"Mi hai spezzata." Guardo negli occhi chiari di Conrad e non ho più paura, non ho più bisogno di distogliere lo sguardo. "Mi hai spezzata tanto tempo fa. Ma non ti do la colpa dei miei errori, non ti incolperò di tutte le vite che ho tolto a causa tua. Non ti incolperò per aver finto di volermi bene, solo perché ti faceva comodo così. Non ti incolperò del dolore che mi hai causato e che a causa tua ho inflitto ad altre persone. Non ti incolperò di avermi ripetuto per anni che senza di te non sarei stata nulla, polvere. Non ti incolperò dell'inferno in cui mi hai spinta, l'inferno che mi hai costretto a vivere... non lo farò più, Conrad. Perché ho fatto pace con me stessa, sto provando a perdonarmi senza più incolpare nessuno. E non so se un giorno Dio riuscirà a fare lo stesso, non sono certa che sarà tanto clemente con me. E quindi, se è vero che l'inferno mi aspetta a braccia aperte... sono certa, Conrad, che tu scenderai giù tra le fiamme con me." Apre la bocca ma lo zittisco immediatamente. "Tu mi hai rotta. Hai rotto il mio cuore." Stavolta sono gli occhi di Ermak che sto fissando. "Mi hai rotta e non potrò mai più tornare come prima. Avrei ucciso il mondo intero pur di salvare te e la tua anima, e a te andava bene così. Andava bene a tutti quando uccidevo senza cuore, perché ero la sola che poteva rimettere apposto i casini di chiunque. A te andava bene se perdevo la mia anima per salvare la tua." La mia mano è puntata contro il suo viso, ma lui non accenna a muoversi. Non sembra minimamente sconvolto da ciò che sto dicendo. "Mi hai... fatto soffrire. Ma non ho intenzione di perderti. Non voglio vivere una vita senza te, nonostante tutto io non voglio vivere senza di te. Quindi ti prego, ti prego Ermak... vieni via con me." Conrad si alza in piedi e nonostante la sua figura mi sovrasti, non perdo il coraggio. "Sta zitto, Conrad." Le sue labbra si stringono e il suo viso diventa molto più serio.

"Ti sei mai chiesta se fossi felice?" La voce di Ermak appare come un sogno. Ho desiderato così tanto sentirla negli ultimi quindici giorni che potrei scoppiare a piangere.
"Non sono mai stato felice nella tua ombra ma adesso finalmente lo sono. Credo in ciò che faccio e delle persone credono in me. Questo è quello che voglio nella vita, Viktoriya. Non venire con te, non fuggire. Io non sono pentito di aver ucciso Derrick Campbell e avrei ucciso anche il tuo ragazzo, se Conrad non me lo avesse vietato. Non provo pena o dispiacere né per lui, né per te. Mi dispiace, ma le nostre strade si separano." Mi guarda con sufficienza e questo forse potrebbe addirittura far più male delle parole. "Erano già separate da molto."
Non è una sorpresa, sapevo cosa pensava. Sapevo che non avrebbe scelto me. Era stato fin troppo chiaro la volta scorsa. Ma il cuore fa male comunque e le lacrime minacciano di uscire.
Stringo forte i pugni nelle tasche della giacca.

"Sapevo che avresti risposto così e mi dispiace se non sono riuscita a renderti una persona felice. Spero che un giorno, quando ci rivedremo, sarai in grado di perdonarmi. Ma ricordati che ti ho voluto bene."

"Adesso basta!" Conrad urla spazientito, ma non è lui che ha il comando di questa conversazione. Sono io.

"Ho commesso tanti errori... ma mi sono fatta una promessa, Conrad. Me la sono fatta tanto tempo fa ed ho intenzione di mantenerla." Faccio un passo in avanti, nella sua direzione. "Ti farò soffrire. Ti farò soffrire come non ho mai fatto soffrire fino ad ora. Non immaginerai mai cosa ho in mente per te, non immaginerai mai cosa ti farò. Non sai di cosa sono capace, Conrad, non lo sai. Le missioni sono soltanto una parte, il meglio l'ho conservato per te. Te lo giuro, Conrad, Soffrirai!" alzo la voce di qualche tono. "Questo è quello che hai costruito, Conrad. Ti piace? Me l'hai detto per anni... mi hai creata tu. Beh, hai costruito la tua rovina." Mi volto verso Ermak. "Guardami." Ha gli occhi rivolti verso la porta e le labbra serrate. "Guardami, Ermak. Guarda in cosa mi hai trasformata. Guardami!" urlo, e lui lo fa. Mi guarda negli occhi, ma non trovo una briciola di rimorso nei suoi.
"Ti ho voluto bene." Sussurro, ma so che lui mi ha sentita.

Mi volto, senza badare a nessuno dei due ma mi blocco alla porta quando sento la voce rauca di Conrad.
Respiro a malapena.

"Se andremo all'inferno, Viktoriya, sarò sempre io il diavolo. Sarò sempre io al comando di tutto. Tu sarai sempre una mia pedina. E sai cosa vuol dire?" Non rispondo, ma lui continua comunque. "Che hai appena iniziato una guerra."

"Hai già perso, Conrad."
Varco la porta convinta, a passo deciso, conto i secondi nella mia testa. Respiro a malapena ma continuo per la mia strada.
Esco dall'edificio, Jordan mi raggiunge con qualche falcata, conto ancora nella mia testa.

"E' fatta." Sussurra. "Dobbiamo andare."
Chiudo gli occhi e mi metto in sella. Jordan fa lo stesso.
Dieci secondi.
Respiro a malapena.

Avrei dato la vita per te, Ermak... ma tu hai scelto la morte.

Cinque secondi.
Respiro a malapena.

"Ti ho voluto bene." Sussurro.
Tre secondi.
Respiro a malapena.
Metto in moto. Jordan mette in moto.
Un'esplosione.
Respiro a malapena.
Mi volto indietro e vedo solo... fiamme. Fumo. Distruzione... Conrad è lì dentro, mio fratello anche.
Respiro a malapena.
La Sebak è in fiamme. La Sebak... è in fiamme.
Ritorno a respirare.

"Grazie per avermi reso libero." Urla Jordan attraverso il casco che gli copre il viso.

"Addio, Jordan." Urlo per farmi sentire.
Svolto a destra, lui a sinistra.
La Sebak è in fiamme. Così come i suoi documenti. I suoi file. I suoi computer. Così come Conrad... così come Ermak.
Una lacrima mi solca la guancia... respiro di nuovo a malapena, ma so che tornerò a respirare.

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