CAPITOLO 4

480 18 3
                                    

"Recitano tutti, ma alcuni vengono pagati per farlo."
( Marlon Brando.
)


Ammiro il silenzio.
Ammiro la desolazione e l'indifferenza.
Ammiro chi è forte e lo dimostra.
Ammiro chi non prova dolore.
Ammiro chi fa delle proprie debolezze, la propria forza.

Detesto chi, invece, si fa schiacciare dai sentimenti, schiacciare dal dolore. Detesto chi è accondiscendente, le persone arrendevoli.
Detesto chi non sa prendere decisioni e chi le prende senza riflettere.
Detesto la sofferenza.
Detesto Elena Watson perché non so in che categoria piazzarla.
All'apparenza è la donna più bella del The New Day, la più sicura, la più temibile.
I capelli e gli occhi scuri, il portamento elegante e raffinato, sono tutti elementi che accompagnano il suo nome.
Essere il braccio destro di Derrick, poi, completa il tutto.
Per chiunque, qui dentro, Elena sembra invincibile. Ma non per me.
Ho studiato per anni il comportamento del corpo, i micro segnali che mi indicano quando qualcuno mente, quando qualcuno ha paura... ed Elena più volte mi ha dato quest'impressione.
Eppure non saprei dire per cosa o per chi.
Derrick sembra venerarla e lei sembra essere geniale.
In questa settimana ho avuto modo di osservarla più da vicino, anche se non sono stata in grado di parlarle per più di tre minuti di fila. É sempre adoperata di lavoro, di commissioni.
Ma per ogni circostanza diversa, sembra assumere atteggiamenti diversi, ed è per questo che non riesco a sezionarla.
Come loro hanno fatto con me.

I fascicoli che Hiram mi ha lasciato lunedì sono stati più che chiari. Soprattutto, una cosa è certa: ho firmato per far parte di questo schifo.
Non capisco come, ma sono riuscita ad entrare nel loro giro, fatto anche da Elena, senza neanche rendermene conto. E questo è un enorme passo avanti. Non a tal punto da poter conoscere tutti i loro segreti, questo è ovvio, ma è la via giusta.
Non come quella presa martedì mattina da Hiram, quando è passato a prendermi. Rischiava di farci arrivare con un'ora di ritardo alla mia prima "commissione" ufficiale. Per un po' ho pensato che lo avesse fatto di proposito, ma i nervi tesi che ha avuto in seguito mi hanno smentita all'istante.
Ovviamente sono riuscita a convincere anche Elizabeth Miller a sborsare una bella cifra di denaro e questo mi ha avvicinato di qualche passo a Derrick Campbell, che è qui ad osservarmi attentamente.

«Ha capito, signorina Evans?» Derrick siede dietro la sua scrivania in vetro. Hiram è alla sua sinistra mentre Elena alla sua destra.
I due perfetti tirapiedi che osservano attentamente ogni mio gesto e parola, cercano di incutermi timore. Ma non sanno quanto avranno paura loro di me, tra qualche tempo.

Me ne sto seduta, con le gambe incrociate e con lo sguardo attento ad ascoltarli blaterare del nulla per convincermi che ciò che facciamo è giusto. Ma non Elena.
Elena è fredda, è distaccata. Riflette prima di parlare, sa perfettamente che parole utilizzare e quando utilizzarle, eppure... eppure ha un'incertezza che mi incuriosisce.

«Certo, mi è tutto chiaro» annuisco sorridendo.

«Vede, queste cose sono necessarie nel nostro mestiere. Dobbiamo anticipare le mosse della concorrenza. Dobbiamo essere i primi ed ultimi.» Decanta le loro doti di estorsione come se fossero legali. «Stasera ci sarà un importante gala. Ci sarà gente influente da tutto il mondo.»

«Papà non mi sembra il ca...» Hiram prova ad interromperlo ma viene ammonito da uno sguardo severo che lo riporta subito in riga.
Chi lo avrebbe mai detto che Hiram stesse in silenzio ad un solo sguardo del padre?
Trattengo una risata e fingo attenzione e interesse a cose che non mi interessano minimamente.

«Dicevo, ci sarà gente influente e gente che ci deve dei soldi» riflette un attimo «Beh, sì, se vogliono mantenere pulita la loro faccia.» Ridacchia da solo della sua pessima battuta mentre io trattengo un'espressione disgustata, poi riprende. «Voglio che tu faccia questo lavoro per me!» Spinge verso la mia direzione un fascicolo. Sopra ci leggo "Clara Gonzalez". Una donna sulla cinquantina, capelli scuri e lineamenti ben definiti. Ma io non so proprio chi sia.

«Lei è Clara Gonzalez, è un'imprenditrice. Niente di difficile o irraggiungibile. Il tuo lavoro sarà semplicissimo, dovrai fingerti un'acquirente interessata, converserai un po' e per il resto se la vedrà Hiram. É abbastanza semplice, no?» finisce in suo monologo sorridendo e senza neanche darmi il tempo materiale di rispondere, perché riprende subito dopo. «Non guardatemi così, voi due.» Osserva con attenzione gli sguardi sbigottiti di Hiram e del suo braccio destro. «É riuscita a far sborsare una cifra assurda ad Ivanov, e un'ottima cifra anche alla Miller, per lei questo sarà un giochetto da ragazzi. O sbaglio?» chiede raggiante.
Come ho già detto, ho studiato per anni le espressioni del viso, ed è chiaro che Derrick è in parte ironico.
Non si fida di me. Non si fida e questa è una prova, prova che dovrò superare senza intoppi.
Annuisco alle sue parole con soddisfazione.

«Le concedo il resto del pomeriggio libero, ora vada pure.» Afferro i fascicoli quando mi indica con lo sguardo la porta dell'ufficio.

Esco interdetta, e così lascio Hiram ed Elena.
In lontananza riesco avvertire l'insolente e insistente voce di Hiram, sostiene che non sono ancora pronta, che è troppo difficile, ma lui non sa di cosa sono capace. Non sa di cosa sono disposta a fare per portare a termine una missione, per non far saltare la copertura, per ottenere ciò che voglio.
Hiram non sa cosa sono pronta a fare per donare la libertà a mio fratello Ermak. Lui non lo sa.
Ciò che mi chiedo, però, è cosa porta Derrick ad affidarmi una cosa così importante? É una prova, questo è chiaro, ma perché non si fidano di me? Cosa c'è in me che li porta a dubitare? In tanti anni di missioni non mi era mai successo.

«Sydney» la voce di Hiram mi fa voltare all'istante «Passo a prenderla alle 20:00. Non faccia tardi.» Conclude in maniera molto più formale rispetto al modo che ha utilizzato per chiamarmi, ma adesso non ho tempo per pensare anche a questo.
Annuisco con un lieve sorriso e mi dirigo verso l'uscita.
A parte questi piccoli dubbi, sta andando tutto secondo i piani, tutto va perfettamente. E se dovrò fingere interesse per lui per avvicinarmi ai Campbell ancora più velocemente, allora lo farò. Mischierò piano A e piano B se sarà necessario.
Farò tutto per poter vincere io.

Il pomeriggio libero mi da un po' di tempo per riflettere e per completare alcune cose per me.
Entro nella mia amata Range Rover e dal centro di Los Angels guido per circa cinquanta minuti per raggiungere Santa Clarita, un posto qui vicino Los Angeles.
Accosto davanti al Bar Onda e pezzi di una vita da Melissa Foster mi ritornano alla mente.
Ricordo perfettamente le sessantacinque mattine che sono passata qui davanti, senza mai entrarci; non era nei piani. Non lo richiedeva, quella missione.
L'aria fresca mi solletica il viso e mi chiedo com'è tornare alla libertà.
Una cosa che ho sempre ammirato di questa cittadina è proprio la libertà, o almeno è questo quello che ho percepito vivendoci per un po'.
Le strade pulite, il poco frastuono, i prati colorati, contribuiscono tutti ad offrire una certa calma.

Ricordo perfettamente quei sessantacinque giorni.
Derek era un bravo ragazzo. Certo, puzzava leggermente, aveva i piedi troppo piccoli e i denti troppo gialli, ma era buono. Davvero buono. Non ostentava il suo lusso, gli alberghi che possedeva in giro per Los Angles e i Motel nei dintorni, non ostentava nulla. Motivo per cui aveva deciso di rintanarsi in una piccola cittadina.
Il problema, infatti, non era questo. Ma il fatto che facesse concorrenza a qualcuno che voleva quell'esatta ricchezza: suo fratello.
Ho dovuto lavorarci a fondo, diventare dapprima sua amica, poi la sua confidente, poi la donna che voleva.
Ho sorriso alle sue battute, finto di avere un matrimonio precedente, come il suo, finito malissimo.
Col tempo gli ho consigliato di non assumersi troppo lavoro sulle spalle, di vivere in maniera più spensierata.
Ho fatto in modo che mi desse libero accesso ai suoi documenti, ho fatto in modo che Damon, suo fratello, risultasse l'erede di tutto.
Ci sono andata a letto, ho lasciato che toccasse ogni centimetro del mio corpo, ho finto di amarlo, e poi l'ho ucciso con del veleno in un Martini.

Il tintinnio del campanellino alla porta, al momento del mio ingresso, fa voltare la poca clientela. Nessuno aspettava qualcuno, a quest'ora. Non c'è quasi mai nessuno da queste parti.
Abbasso il cappellino rosa francese e aggiusto gli occhiali scuri sul naso.

«Buonasera, cosa posso portarle?» chiede gentile il proprietario del bar.
Sorrido perché la sua gentilezza non è meritata, non da me.
Io sono una brutta persona.

«Un Martini con poco ghiaccio, grazie.» Avverto lo sguardo dei pochi presenti posarsi su di me. Sul mio giaccone lungo nero, sulla borsa grande e gli occhiali da sole scuri alle 18:00.

«Cosa la porta qui? Il suo accento non sembra essere di queste parti.» Chiede, curioso. Capisco che intrattenere la clientela sia parte del suo lavoro, ma quando qualcuno vuole semplicemente rilassarsi non è molto piacevole.

«Lavoro» Rispondo con gentilezza. L'uomo non insiste più, ha colto nel segno. Ha compreso che non mi importa continuare a chiacchierare e che sono qui solo per bere.
Faccio un lungo sorso del mio Martini e una sensazione familiare torna a fare capolino.
Mi invade tutta.
Adoro l'adrenalina di questo momento.

Apro la borsa e prendo ciò che mi serve, non bado ai due uomini seduti sulla sinistra e i tre vecchietti all'angolo, né bado alla cameriera che serve una fetta di torta al cioccolato ad una coppia sulla quarantina.
Guardo solo davanti a me. Osservo ogni cosa: le lucine sospese in aria, il bancone troppo rovinato, i muri troppo scuri, poi fisso il sorriso di Robert Barner, e infine sparo.
Un solo preciso e pulito colpo. Al centro del cuore.
Ho studiato per anni tante cose, tra queste ci sono anche le angolature per tutti i colpi mortali, e questo è sicuramente il mio preferito, subito dopo viene quello al centro fronte.
Non mi curo delle urla attorno, faccio un ultimo sorso di Martini, poi afferro la borsa e mi avvio all'uscita.
Non corro, non ne ho bisogno, non provo neanche a difendermi, perché nessuno si avvicinerebbe a chi spara in aria per tutto il tragitto fino alla porta.

«Caleb, cancellami da tutte le telecamere qui nei dintorni e cancella i video di sicurezza al Bar. Sono fuori.» L'auricolare è sempre un fastidio nelle missioni, ma è un ottimo modo per poter essere sempre in contatto con la squadra.

«Ricevuto. Ottimo lavoro!» Annuisco anche se non può vedermi, infine chiudo il collegamento perché sono stanca al solo pensiero che possa intervenire Conrad e iniziare ad elogiarmi.
Non mi interessano gli elogi, le lodi, non mi importa della vita di queste persone.
Non ho interesse per nulla, se non per rendere libero mio fratello. E se per fare questo dovrò far saltare una città intera, allora ne farò saltare dieci.

Getto il cappello, il cappotto e gli occhiali nel borsone, sotto porto ancora l'abito verde messo stamattina per il lavoro. Indosso il mio cartellino di riconoscimento per il "The new Day", tolgo il rossetto rosa e mi dirigo verso casa.

Qualcun altro proverebbe risentimento, dolore o pentimento per quanto appena fatto, ma non io.
Robert ha avuto la sfortuna di essere il padre di uno spacciatore della zona che non ha saputo prendere le decisioni giuste, e che si è messo contro le persone sbagliate.
Ma questo è un loro problema, non mio.
Io porto a termine il lavoro richiesto, e basta.
Non sono responsabile delle scelte altrui.
Il cellulare vibra all'arrivo di un messaggio da parte di Hiram. Lo afferro in fretta e leggo:

«Metti qualcosa di elegante. E non fare tardi, o ci vieni da sola con il navigatore!»

Sorrido al messaggio ma soprattutto per il fatto che è costantemente indeciso se parlarmi come una persona normale, o darmi del "lei".

«Sono sempre elegante, io.» Ridacchio quando, come risposta, invia una faccina con una mano sul viso. Chi lo avrebbe mai detto che fosse tipo da emoticon.

Alzo il volume della radio quando sento intonare "Don't You Know" di Kungs.
Canticchio"ho ancora bisogno di te nella mia vita, nessuno dovrebbe essere da solo"  tranquilla e serena, pensando all'abito che indosserò stasera e a come anche la missione affidatami da Derrick sarà portata a termine senza nessun problema, come al solito.
Non mi importa di cosa dovrò fare per conquistare la loro fiducia.
Se stasera dovrò estorcere dei soldi a quella donna, lì, davanti a tutti, allora lo farò.
Non mi importa di nessuno, non mi importa delle conseguenze e non temo la morte.

L'addestramento ci aiuta a questo, ad essere invincibili e a pensare come tali.
A non aver paura di niente.
Ma se hai un cuore, parte di te resterà sempre lì. E allora ogni colpo in più sarà un tassello in meno in te stessa. Ogni vita in meno sarà uno squarcio in più in te stessa.
Ogni missione completata, che ti vede illesa, ti ricorderà quante vite hai rovinato.
Ma io non sono così, io non temo nulla.
Sono nata per questo!
Sono nata per distruggere tutto.

Sono nata per vincere,
e vincerò.

LIES Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora