CAPITOLO 24 - HIRAM

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"Dovresti sapere, Craig, che se non ti apri non guarirai mai."
— It's Kind of a Funny Story (5 giorni fuori)


Sono trascorsi otto giorni da quando mio padre è morto.
Sono trascorsi sette giorni da quando Viktoriya è andata vita.
Sono uno straccio.
Ho cercato di ricominciare, di tornare a lavoro e concentrarmi su cose utili. Ma l'ufficio mi ricordava mio padre e tutte le risate e le discussioni avute lì dentro.
La postazione di Viktoriya era vuota ma io riuscivo ad immaginarmela ovunque. Accanto alla fotocopiatrice, accanto al distributore di caffè, poggiata su di un fianco alla sua scrivania mentre chiacchierava con qualcuno, fuori dal bagno delle donne accanto ad Elena.
Elena mi ricordava anche mio padre, tutte le volte che ci è stata per attutire la nostra cattiveria, i nostri sbagli. Tutte le volte che mi ha tolto il Whisky davanti quando non riuscivo a completare qualche commissione lasciatami da mio padre.
Il viso di Elena era un miscuglio di ricordi.
Mi ricordava Viktoriya. Me la ricordava anche quando mi sorrideva gentile, come a dirmi "lo so, manca anche a me."
Così, dopo due giorni, ci ho rinunciato e ho deciso di prendermi una pausa dal lavoro.
Sono tornato a casa ma anche casa mi ricordava mio padre, sebbene lui venisse di rado, riuscivo a ricordare il suo viso in ogni angolo di casa. E sebbene Viktoriya non ci fosse mai stata, riuscivo solo ad immaginarla sdraiata sul mio letto con solo in dosso delle mutandine a pois, seduta con le gambe incrociate sul divano, a bere vino in cucina e prendere il sole in giardino anche se siamo quasi a Dicembre.
Allora ho provato ad andare in giro, sono ritornato nel mio posto preferito, Le Santa Monica Mountains, ma una volta lì riuscivo solo a ricordare me e mio padre su di una qualche panchina a discutere del mondo, a riflettere sugli errori, a parlare di mia madre.
Ovunque mi girassi, vedevo me e Viktoriya intenti a raccontarci, me e Viktoriya felici e sorridenti. Vedevo me e Sydney.
Riuscivo quasi a sentire la sua risata dolce e le sue carezze.
Quella sera credevo davvero di poterla sentire.
Il giorno seguente ho girovagato per Los Angeles con la sua voce in testa che mi ripeteva "Ti amo, Hiram, credimi" senza ancora sapere se quelle parole sono uscite davvero così dalla sua bocca.
Ho chiamato Ashley, una vecchia amica, una di quelle che chiami per distrarti. Ci siamo visti fuori casa mia, ci siamo scambiati qualche frase di circostanza e poi ho provato a baciarla. Lei c'è stata subito, ma ero io a non esserci. Non c'ero con la testa. Non provavo nessuna emozione, eccitazione. Nonostante Ashley sia una delle ragazze più belle che io conosca, la sua bocca in quel momento quasi mi faceva vomitare. Perché non era quella di Viktoriya. L'ho capito perché quando ho provato a toccarle il culo il mio corpo non ha avuto alcuna reazione, forse qualche pulsazione, ma tutto è svanito quando ho ricordato che non era il culo di Viktoriya. Anche il suo profumo quasi mi nauseava, troppo forte e non dolce come quello di Viktoriya. Lei, lei non era Viktoriya.
Delle volte mi è sembrato anche di vederla appostata fuori qualche bar, dietro qualche cespuglio, intenta a seguire ogni mio spostamento inutile e fatto solo per non pensarla, ma poi ho capito che era solo la mia mente a fare brutti scherzi, che forse era solo il mio inconscio che provava a dirmi che avrei preferito che mi seguisse per uccidermi piuttosto che non vederla mai più, e quando ho capito questo sono tornato in casa e ci sono rimasto fino ad oggi.
Non penso di aver mai trascorso così tante ore chiuso in casa, non so neanche se ci sono mai stato un giorno di fila senza mai uscire. L'unica cosa che mi ha spinto ad alzarmi dal letto è stata la fame che ho iniziato a provare dopo due giorni di soli cracker e acqua fresca. Sì, lo so, sembro un'adolescente alla sua prima delusione d'amore, ma sono distrutto.
Stavo ascoltando "Broken Strings" di James Morrison con Nelly Furtado, proprio come un'adolescente distrutto.
Ho urlato con James e Nelly quando cantavano:

"La verità fa male, e le bugie sono anche peggio. Come posso darti di più, come posso amare un po' meno di prima?
Oh, stiamo correndo dentro il fuoco, quando non c'è più niente da salvare.
"

Poi ho sussurrato le ultime parole "permettimi di abbracciarti per l'ultima volta, è l'ultima possibilità per sentirti ancora."

Ed ero intento a ricominciare daccapo per forse la terza volta, quando ha suonato il campanello. Per qualche secondo mi sono vergognato delle condizioni pietose in cui sono, della barba troppo lunga e dei denti che non lavo forse da tre o quattro giorni.
Ma l'idea che potesse essere Viktoriya mi ha spinto ad alzarmi e precipitarmi alla porta.
Sono stato deluso ma al tempo stesso sollevato quando i miei occhi hanno incontrato quelli scuri e rassicuranti di Elena che adesso mi guardano estremamente disgustati.

"Sei in lutto ma la doccia esiste comunque." Fa un ghigno disgustata e con gli occhi mi chiede se può entrare.

"La tristezza non conosce acqua diversa dalle lacrime." Apro la porta per lasciarla passare. "Ok, forse questa era un po' troppo." Elena annuisce dandomi ragione.
Elena, nonostante abbia perso il suo capo ed una potenziale amica, è come sempre impeccabile. Nell'aspetto e nell'atteggiamento.
Il suo sguardo severo mi suggerisce che disapprova categoricamente lo stato pietoso in cui mi trovo.
"Siediti pure" le dico indicando il divano in pelle nera ma Elena scuote il capo. Se non la conoscessi penserei che è agitata.

"Lo so, magari non vuoi saperlo. Magari è stato inutile, ma io dovevo... devo provarci." Prende un respiro "Ho rintracciato Viktoriya. Beh, in realtà non l'ho mai persa di vista. Dopo che è andata via ho chiesto a Nick di seguirla con molta, moltissima discrezione." Provo ad interromperla ma lei alza un dito per fermarmi. "Ho fatto delle ricerche, Hiram, ci è voluto un bel po' per mettere insieme i pezzi. Ma quando Nick è riuscito a ricavare il suo cognome non mi sono più fermata. Anche a lavoro, era il mio unico pensiero. Ho letto tutto di lei, di suoi fratello e dei suoi genitori che lavoravano nei servizi segreti. E non so com'è possibile ma sotto c'è qualcosa di molto più grande. Molto, Hiram." Prende un altro respiro "Su questo devo ancora lavorarci bene, ma so dove si trova Viktoriya Volkov. E' ritornata in Russia, dov'è nata, a San Pietroburgo. So che adesso mi rimprovererai, mi dirai che ho sbagliato, che dovevo lasciar perdere, che lei avrà sbagliato qualcosa, oltre ad aver mentito, ma non potevo lasciare che andasse senza sapere perché l'ha fatto." Fa un passo verso di me "E poi credo che tu ne abbia bisogno, Hiram. A te manca Viktoriya molto di più di quanto manchi a me." I suoi occhi sono sempre stati un libro aperto per me. Per qualcun altro magari no, magari sono troppo freddi o distanti, ma io sono sempre riuscito a leggere lei, e tutte le persone che ho incontrato nella mia vita, dai loro occhi. Quelli di Elena sono sinceri, non mentono.
Non so decifrare le mie emozioni. Sono in parte arrabbiato e irritato perché non voglio sapere dov'è Viktoriya. Sono arrabbiato perché avrei voluto essere io il primo a scovarla. Sono arrabbiato perché una parte di me è eccitata all'idea di poter correre da lei.
Eppure sono stato io a mandarla via, sono stato io ad incolparla della morte di mio padre, anche se ha provato con me a salvarlo dal suo inevitabile destino.

"Mio padre è morto perché suo fratello gli ha sparato." Le parole escono veloci, troppo per poterle pensare davvero. Gli occhi di Elena strabuzzano fuori dall'orbita. "Sì, è stato lui. Ma non ti racconterò il resto. Sarà lei a farlo. Perché tu devi farlo, Elena. Devi mettere un punto a questa faccenda, trovare tutte le risposte che meriti. Ma questa è una cosa di cui non posso fare parte."

"Non puoi o non vuoi, Hiram? Perché a me sembri solo troppo spaventato per conoscere le tue di risposte."

"Sono io che l'ho mandata via."

"Non è troppo tardi per andare a riprendertela. Anche solo per chiarire. E' sempre meglio del starsene in casa senza neanche lavarsi."

Per un momento ci rifletto sul serio. Ho davvero paura di sapere altro da Viktoriya? E cosa, di preciso?
Elena sospira amareggiata, per me, non per se stessa.

"Viktoriya non è suo fratello. Come tu non eri tuo padre. E' giusto che tu lo ricordi."

"Non sono pronto a perdonarla."

"Allora la perdoneresti, vedi?" sorride "Non te ne accorgi ma dentro te sai cosa vorresti davvero."

Scuoto il capo. "Non so se riuscirò a guardare negli occhi della persona che ha lo stesso sangue di chi ha ucciso mio padre. Ma il pensiero di non vederla più mi sta uccidendo." Ammetto. "Il momento prima penso di amarla, il secondo dopo credo di odiarla. Cosa farò se vedendola capisco che il mio risentimento è più forte dell'amore che provo? Cosa farò se non amerò più nessuno come amo lei? Cosa farò, Elena?" Non mi rendo conto di star urlando fin quando termino l'ultima frase con la gola che mi brucia e una lacrima che mi solca la gote. Sembro decisamente un'adolescente.
Come ho fatto a ridurmi così?
Elena mi attira a se mi riscalda nel suo abbraccio amichevole. E' così alta che non devo neanche sforzarmi di chinare il capo per appoggiarlo alla sua spalla, dove sprofondo in un pianto incontrollato. Provo a fermarmi, ve lo giuro, ma non ci riesco.
sono stato chiuso in me stesso per così tanto tempo, ho trattenuto così tanto che adesso non riesco più a fermarmi.
Le braccia di Elena mi stringono forti e delicate attorno alla vita.

"Dovresti iniziare a guardarla negli occhi, solo allora capirai cosa prevale. E se fosse come dici, se l'odio prevalesse sull'amore... beh, almeno saprai perché non dovrai più guardarti indietro. Saprai che devi correre lontano, il più lontano che puoi. Ma saprai perché non tornerai indietro." Sussurra quasi vicino al mio orecchio.
Quando sono abbastanza calmo da potermi ricomporre, mi scosto da lei per guardarla nei suoi bellissimi occhi scuri.

"E da chi dovrei correre, dimmi? Dove dovrei andare?"

"Lontano da lei. Basta sapere questo."

"Lontano da lei." Sussurro.
Non so cosa succede, non so nemmeno quando mi sono convinto e se sono mai stato davvero contrario, ma dopo dieci minuti sono in camera intento a fare una valigia con maglioni pesanti e cappotti che qui non sono abituato ad indossare.
Non so cosa succede, ma una parte di me è quasi felice all'idea di rivederla.
Non so cosa succede, ma una parte di me ringrazia di aver incontrato Elena tanto tempo fa, in quel centro di recupero, quando ero troppo attaccato al Whiskey dopo la perdita di mia madre. Quando ho capito che una persona così buona e così intelligente non potevo lasciarla andare, che meritava un lavoro vero e non di mendicare per avere soldi a sufficienza per poter comprare la dose successiva.

"Hey..." Elena si volta dopo essersi posizionata accanto a me, nella mia auto, e dopo aver posato la sua valigia nel portabagagli. "Grazie." Sussurro. Lei sorride.

"Tu mi hai salvata quattro anni fa, adesso è il mio turno."

Sospiro, perché saprei da chi correre, in ogni caso.

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