CAPITOLO 13

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"Non è tanto restare vivi, quanto restare umani che è importante."
( George Orwell 1984 ) 



Un giorno ti svegli e senti di essere cambiato.
Un giorno ti svegli e ti rendi conto che così non ti piaci, che magari con un altro colore di capelli staresti meglio, e forse anche con qualche chilo in meno, ma a te piace mangiare quindi quest'idea la scarti.
Un giorno ti svegli e senti che quei pantaloni neri, che hai sempre amato, non ti stanno più così bene e che in realtà non ti piacciono così tanto, e allora decidi di cambiarli.
Un giorno ti svegli, e capisci che devi migliorare. Che forse fai troppo poco quando potresti fare tanto altro.
Un giorno ti svegli e senti che vuoi essere una persona migliore.
E allora quel giorno cambi.
Oggi dev'essere quel giorno.


Ho sempre creduto di essere una persona coraggiosa, ma lo sono solo per uccidere.
Non sono abbastanza coraggiosa per smettere, non sono abbastanza coraggiosa da combattere onestamente per rendere libero Ermak.
Non sono abbastanza coraggiosa, perché sto lasciando entrare dei sentimenti quando nella guerra, i sentimenti, non ci sono.
Ma posso cambiare qualcosa, lo posso fare.

"Che bello rivederti. Anche se avrei preferito che fosse una visita volontaria piuttosto che richiesta dal sottoscritto. Ma me la farò andare bene comunque e dovresti anche tu, dato che ho rimandato numerosi incontri solo per vedere te." Conrad siede dietro l'imponente scrivania, con il suo solito completo elegante e un sigaro tra le mani che non fumerà prima delle 20. Sorride soddisfatto con lo sguardo perso nel suo stesso ego. Mi chiedo se la stanza possa contenerci entrambi.

Sospiro e mi preparo per ciò per cui sono venuta fin qui. So cosa vuole sapere.
Non sono abbastanza coraggiosa per smettere di uccidere, ma posso trovare un modo, una soluzione.
Ho deciso che non racconterò di Hiram, che non dirò in cosa è implicato. Ho deciso di salvarlo.
Non so cosa il destino riserbi per noi, ma so cosa non voglio per lui: una morte per mano di un viscido.

"Vorrei che mi facessi un rapporto dettagliato su tutto ciò che è accaduto fin ora." Chiede serio.

"Di nuovo? L'ho già fatto la settimana scorsa." Lamento annoiata.

"Adesso ne vorrei uno completo, dall'inizio fino alla fine." Sorride compiaciuto.

Sospiro e fingo di avere tutto sotto controllo.
"Sono arrivata al "The new day" dei Campbell, i primi tempi sono stati difficili ma sono riuscita ad avvicinarmi ad Hiram, il figlio di Derrick. Grazie al mio russo sono riuscita a fare un grosso favore a Derrick Campbell e questo mi ha concesso di entrare nel suo giro, Hiram, tuttavia, credere ancora nella buona fede del padre. Fin ora ho collaborato a diverse estors..."

Mi interrompe con un fastidioso schiocco della bocca e con un dito alzato che vale per un "Silenzio."

"Sbagliato." Ribatte. "Ripeti daccapo, Viktoriya." Chiede serio.
I suoi occhi sono fissi nei miei che reggono assolutamente lo scontro.

"Fin ora ho collaborato a diverse estorsioni." Ripeto.

"No, quello che hai detto prima."

"Hiram crede ancora nella buona fede del padre." Ribatto.
C'è qualcosa che non va, e lo capisco dal suo sguardo che diventa furente.

"Sbagliato!" ripete. "Ho detto che voglio un rapporto dettagliato e questo non lo è. Quindi, te lo ripeto, voglio che mi racconti tutto dall'inizio fino ad oggi." Alza la voce sulle ultime parole e capisco.
Conrad sa di Hiram. Non so come ma l'ha scoperto.
Sospiro piano ma non lascio trapelare nessuna emozione, nessun dubbio che quanto ho appena detto possa essere falso.

"Qual è la regola 30, Viktoriya? L'ultima, ma una delle più importanti." Chiede alzandosi e raggiungendomi con qualche falcata.

"Non innamorarsi dell'individuo per il quale si richiede l'eliminazione o persone a lui vicine, signore." Mi alzo per poter reggere il confronto che so certamente di vincere.
Non importa quanto io possa essere in torto, vinco comunque.
Conrad osserva il mio viso e si lascia andare a qualche espressione perplessa.
So che ha capito, glielo leggo in faccia.

"Allora ti do un'ultima possibilità, Viktoriya. Come sono andati davvero i fatti? Senza nessuna esclusione." Si avvicina di qualche passo "E non provare a fottermi, perché so tutto." Bisbiglia piano.

Non tradisco nessuna emozione e mi incammino sicura nell'ufficio che per anni ho visto come una gabbia.
La mia stessa vita l'ho vissuta come una gabbia.
Tanti anni passati a non vivere. Sopravvivendo solo con la morte di altre persone.
Ma tutto questo l'ho fatto solo per Ermak. Ermak è sempre stata la mia risposta a tutto, e sempre lo sarà.
Ma adesso posso cambiare le cose.
Adesso posso provare a vivere e non più sopravvivere.
Devo provarci.

"Volevi il tuo colpevole?" Chiedo esaltata. "Ce l'ho. Derrick Campbell." Mi avvicino alla sua sagoma imponente per nulla intimorita. "Volevi delle prove? Ce l'ho, ci ho lavorato io stessa. Con Derrick Campbell. Vuoi i documenti? Io sono l'unica che può ottenerli!" sibilo piano.

"Tu sei pazza!" urla. "I colpevoli sono due! Derrick ed Hiram Campbell! Due!" urla ancora di più battendo le mani sull'imponente scrivania. Sospira piano e poi riprende. "Nessun sopravvissuto, ricordi?" chiede.

Ricordo. Ricordo di quante persone innocenti ho ucciso solo perché mi avevano vista, o perché pensavo potessero sospettare di me.
Ricordo tanti uomini, donne ed anche qualche bambino che hanno perso la vita a causa mia.
Ricordo quella donna al primo mese di gravidanza, e il sangue attorno al suo corpo quando le ho conficcato due pallottole nel cuore, solo perché aveva visto il colore dei miei capelli.
Ho ucciso tanta gente innocente per quella stupida regola e so perfettamente che Hiram non lo è, non ha quasi nulla di innocente, ma sono stanca di giocare alle sue regole.
Sono stanca di uccidere ancora per la Sebak.
Sono stanca di uccidere ancora.

Cammino lenta per la stanza osservando per bene quelle stupide medagliette che conserva in un angolo.
Una per tutte le missioni migliori che i miei genitori hanno compiuto, che io stessa ho compiuto e che hanno fruttato alla Sebak tanti soldi.

"Ricordo cos'ho fatto per la Sebak, Conrad. Ci convivo ogni giorno." Mormoro.

Ridacchia scuotendo il capo mentre ritorna alla sua postazione alla scrivania, quella che tanto gli piace. "Ci convivi? E da quando hai una coscienza, Viktoriya?" ridacchia ancora.

"Sono l'unica che può darti quei documenti, Conrad." Minaccio calma.

"Oh" ride ancora. "Sei una scoperta continua. Credi davvero che coprendo il tuo nuovo fidanzatino allora questo potrà cancellare tutto quello che hai fatto? Soprattutto, pensi ne valga la pena tradirmi?" incrocia le mani e poi le porta davanti al viso. "Vuoi davvero sfidarmi, Viktoriya?"

Una strana sensazione allo stomaco mi pervade tutta. D'improvviso gli occhi iniziano a bruciarmi e avrei voglia di crollare qui sul pavimento, ma io non crollo.
So che non posso cancellare i miei errori e neanche voglio provare a farlo, ma posso almeno cambiare le cose. Posso rendere migliore il mio futuro che prima di incontrare Hiram credevo perso.
Prima di incontrare Hiram ero certa che la mia vita sarebbe finita.
O mi avrebbe ammazzato la Sebak, o l'avrei fatto io.
Ma adesso posso cambiare le cose.
Dovrò mentire ancora, dovrò spezzargli il cuore, ma posso salvare una vita.
Posso smettere di uccidere ancora.

Sospiro e sorrido sarcastica. "E' vero, ho commesso degli errori. Sono stata una persona terribile. Ho nuotato nell'orrore, ma tu mi ci hai spinto, Conrad. E se dovrò vivere all'inferno e scontare tutte le mie pene, sarò felice di farlo. Ma sarò ancora più felice sapendo che tu sarai laggiù, con me!" sibilo piano, scandendo bene le ultime parole.
Conrad mi osserva per un attimo sconvolto ma pochi secondi gli bastano per ritornare impassibile come sempre.

"Nessun inferno sarà abbastanza grande per i nostri crimini, Viktoriya, e mai abbastanza cattivo per le nostre azioni mostruose. Nessun inferno potrà mai competere con l'orrore che io ho commesso." poi mi indica "Che tu hai commesso." Sorride compiaciuto. "Quindi prova anche a salvare un uomo che non ha futuro, e goditelo finché puoi, perché lo ucciderò io stesso se non sarai tu a farlo." Si alza senza attendere una mia risposta e con qualche falcata raggiunge la porta.
"Voglio quei documenti in due settimane. Due, nessun giorno in più. O sai cosa accadrà. Ora va pure."

Conrad ha sempre saputo cosa dire per ferire le persone, ha sempre saputo come esaltare il suo lavoro e vantarsi della sua malvagità.
E questa volta forse ha fatto centro, forse è così, forse sono davvero un mostro, ma ho ancora un cuore. E questo è sufficiente per cambiare qualcosa, per migliorare qualcosa.
E' sufficiente per non uccidere più.
Derrick sarà la fine di tutto.

Cammino convinta delle mie scelte e raggiungo in breve la porta.
"Nessun inferno è abbastanza cattivo per un diavolo che venderebbe l'inferno stesso per un paio di ali bianche."
Sussurro prima di andar via.

In altre circostanze avrei lasciato perdere.
Non è la prima persona che provo a salvare, non è la prima volta che provo a disobbedire Conrad.
Nei primi mesi, nelle prime missioni, cercavo ogni pretesto per non uccidere, per poter salvare anche solo una vita, ma c'era sempre e solo una domanda "Ermak o lo la loro vita?" E la scelta è stata sempre e solo Ermak.
So che intendeva questo con "Sai cosa accadrà.", so perfettamente l'ultimatum che mi ha dato. E' lo stesso da anni.
Ma stavolta farò a modo mio. Stavolta salverò qualcuno. Questa volta ci riuscirò.

Esco fuori dall'edificio nel vento fresco di fine ottobre e mi incammino verso l'auto.
Ho ancora quella strana sensazione allo stomaco e un leggero bruciore agli occhi.
Ermak direbbe che questo vuol dire che ho bisogno di piangere, che ho bisogno di sfogare la mia rabbia.
Allora mi fermo davanti la prima auto che trovo e guardo il mio riflesso in un finestrino nero, come ogni macchina posseduta dalla sebak.
L'immagine non è nitida dato anche il calare del sole, ma riesco comunque a scorgere i miei occhi.
Li osservo, sono stanchi e lucidi. Vorrebbero urlare.
Piangi.
Piangi, mi impongo. Ma niente, neanche una lacrima.
Sento il dolore al petto crescere ad ogni respiro, sento quell'unico pezzo di cuore consumarsi al pensiero di uccidere ancora, di ferire ancora qualcuno, di poter perdere Ermak, ma niente, neanche una lacrima.
Strizzo il mio braccio destro con forza, tengo il più che posso la carne tra le mani, ma niente, neanche questo, neanche il dolore riesce a farmi piangere.
Neanche il ricordo dei miei genitori morti, di Ermak morto.
O di Hiram morto.
Lascio cadere le braccia lungo il corpo e sospiro frustrata.
Sono rotta.
Sono rotta da sempre.

Scuoto il capo e provo a raggiungere la mia auto, consapevole che un diavolo resta diavolo e avere clemenza con i dannati non lo renderà un angelo buono.

Poi solo un rumore assordante, il buio pesto, qualcosa che mi colpisce alla testa, il battito che rallenta.
Sbatto lentamente le palpebre, abbastanza da poter notare il sangue che ho sulle dita.
Poi il nulla.
Solo il vuoto che ho dentro.

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