Piante di Cristallo, Parte II

128 19 11
                                    

Era notte fonda ormai e negli uffici di produzione non si sentiva nessun suono. Nessuno tranne quello dei passi del creativo.

Aveva abilmente convinto la guardia all'entrata che si trovava lì per un progetto, cosa peraltro vera, e si era così procurato l'accesso alla sua sala di produzione. Si sedette sulla poltrona girevole e indossò il casco, poi avvicinò il pannello del tecnico abbastanza da poterlo manovrare dalla sua postazione. Era una strana sensazione stringere la cloche, solitamente lui si limitava a chiudere gli occhi e concentrarsi. Lo schermo si illuminò, rischiarando la penombra della stanza.

Anni di collaborazione con vari tecnici gli avevano insegnato qualche nozione, seppur basilare, sul funzionamento della macchina, quindi non si sorprese nel vedere un immenso paesaggio aprirsi davanti ai suoi occhi. In lontananza si intravedeva il profilo di alte montagne, in contrasto con la tenue luce bianca di un sole che non sorgeva e non tramontava mai, troppo basso per mostrare il suo disco e troppo alto per cedere il passo alla notte. Quell'eterno crepuscolo illuminava appena la sterminata valle, totalmente sterile, che si estendeva in tutte le direzioni. Quella era la sua mente. O almeno, era così che la rappresentava la macchina per permettere ai tecnici di esplorarla. Lo aveva sempre trovato un paesaggio un po' deprimente. Era bello, senza dubbio, ma avrebbe preferito qualcosa di più allegro come metafora del suo pensiero. Si era chiesto più volte se fosse un paesaggio comune a tutti, come una specie di sfondo, o qualcosa di più personale. I creativi e i tecnici, però, parlavano di rado del loro lavoro con altri, che fossero estranei o colleghi. In tanti anni non aveva mai trovato una risposta.

Appena questi pensieri si formarono nella sua mente, tremolanti piante di vetro cominciarono a nascere dal terreno. Sembravano rampicanti, ma si muovevano come acqua in un torrente. Dopo pochi attimi erano cresciuti in ampi alberi cristallini. Nodose radici legavano tra loro tronchi lontani, così come le alte fronde prive di foglie. Una linfa scorreva al loro interno, un insieme di immagini, colori, suoni ed emozioni che mulinavano simili a gocce di inchiostro. Quelli erano i suoi pensieri. Appena si concentrò sulla loro vistosa comparsa, le piante cambiarono. Alcune si adattarono a nuove forme, altre si consumarono in una nebbia leggera e molti nuovi arbusti sbucarono dal terreno. Ogni volta che si concentrava su qualcosa di diverso la piccola radura mutava. Era per questo che i tecnici chiedevano di chiudere gli occhi e concentrarsi su una singola eureka: orientarsi in quel luogo onirico poteva essere molto difficile per loro.

Per abituarsi ai comandi, il creativo mosse la cloche verso uno dei tronchi più vicini: rappresentava l'idea di intrufolarsi nell'edificio e trovare per conto suo l'eureka perduta. Se stringere la cloche gli era sembrato in un primo momento strano, muoverla fu a dir poco innaturale. Era abituato alla sensazione, simile a una spintarella data alla sua mente, che veniva provocata dal manovrare dei tecnici; essere lui stesso a causarla, però, lo metteva tremendamente a disagio. Era come toccare le proprie interiora con una mano. Trattenne un improvviso contato di vomito e tornò a concentrarsi su ciò che vedeva sullo schermo. L'albero era ovviamente sparito appena si era distratto. Non ci mise molto a farlo tornare: ben più difficile fu muoversi verso di lui senza perderlo di nuovo.

Quella specie di allenamento gli prese più tempo di quanto sperasse, ma era necessario. Alla fine fu in grado di spostare la visuale sullo schermo, in linguaggio tecnico la sonda, mantenendo il paesaggio abbastanza stabile. Quando finalmente raggiunse il tronco, se così si poteva chiamare, lo attraversò come uno specchio d'acqua: il vortice di immagini e suoni che riempiva la pianta investì lo schermo. Una serie di comandi per avviare la registrazione si illuminarono, pronti per essere attivati, ma lui non ci fece neppure caso: la sua mente era immersa in quella corrente di pensieri.

Dopo diversi secondi riuscì a tornare in se: non era mai facile riacquistare il controllo quando la propria coscienza era guidata dalla macchina. Fortunatamente lui sembrava avere un talento naturale, come aveva appreso a sue spese il tecnico Joe.

Quando fu nuovamente del tutto concentrato, si stiracchiò le dita e riprese con più convinzione i comandi.

"Diamo inizio allo spettacolo."

Sapeva che sarebbe stato saggio investire più tempo in quel riscaldamento iniziale, aveva solo grattato la superficie dell'immensa matassa di stranezze che gli potevano accadere, ma il tempo stringeva. O almeno, questo era quello che si raccontava: la verità era che non riusciva ad aspettare oltre, ora che l'eureka sembrava a portata di mano.

Concentrò tutta la sua attenzione sui pochi frammenti che riusciva a recuperare della trama perduta. Per lo più erano indistinte emozioni che tremolavano sulla superficie della sua coscienza prima di sparire; somigliava alla sensazione di avere una parola sulla punta della lingua senza riuscire a coglierla. Tuttavia, fu sufficiente a generare una nuova schiera di piante sinuose. Poteva distinguere le varie idee che gli erano giunte mentre meditava su quella storia: il dottor Mesos, il vecchio Kane, la nave per Vega... tutte nel proprio albero, tutte contornate da una serie di ricordi e considerazioni che fluivano tra rami e radici, come tra suoi neuroni. Eppure mancava il centro di tutto. Riusciva quasi a distinguere uno spazio vuoto nella radura, un posto che avrebbe dovuto ospitare la sua idea. O forse si stava solo illudendo: a volte le cose si dimenticano e basta.

Avendo perso la concentrazione, le piante mutarono e si ridisposero. In effetti erano in continuo movimento, instancabili. Non si fermavano mai, neanche quando si era totalmente presi da un pensiero. Il creativo ci era abituato. Tornò a pensare all'eureka, ma stavolta notò qualcosa di strano. Durò solo un attimo: appena si chiese cosa fosse quella stella lontana, lei scomparve. Era stato un fioco bagliore, tanto sfumato che non potè fare a meno di chiedersi se lo aveva solo immaginato. Mantenne lo sguardo fisso sul buio lontano che appariva sullo schermo. Non c'era nulla; quella cosa era apparsa solo... quando aveva pensato alla sua idea! Doveva esserci un collegamento. Provò a concentrarsi un'altra volta, ma gli tornò più difficile. Per un crudele scherzo della mente, la sua curiosità verso quella visione rendeva difficile concentrarsi a dovere sull'eureka. Quando un'ombra della trama attraversò la sua mente, però, potè distinguerlo chiaramente, anche se di nuovo sparì quasi subito. Ora ne era certo: c'era qualcosa in lontananza. Che fosse una delle piante? Solitamente la radura si estendeva per brevi distanze: i pensieri periferici, quelli più lontani, erano bassi e deboli arbusti in continuo mutamento che separavano gli alberi più importanti da un'immensa zona buia, interrotta solo dalle montagne. Non c'era mai nulla lì, tantomeno un pensiero. Eppure la debole luminosità che aveva interrotto l'oscura distesa sembrava proprio quella di un'idea o di un ricordo.

Non gli restava che andare a controllare.

L'impresa fu molto più ardua di quanto avrebbe potuto prevedere. Già di per sé, muoversi era molto difficile. Inoltre lui doveva farlo per un tratto davvero lungo: non sapeva di nessuno che si fosse mai spostato così tanto. Come se non bastasse, poi, una costante paura che quella deviazione avrebbe potuto menomargli la mente, mista all'insaziabile curiosità di sapere cosa fosse quel bagliore, rendevano tremendamente difficile concentrarsi; per questo motivo non riusciva a mantenere quella luce accesa per più di qualche sporadico secondo. Aveva pensato di usare i monti per orientarsi e, una volta arrivato nelle vicinanze, provare di nuovo a meditare sull'eureka: con sua grande sorpresa, però, si era accorto che perfino le vette mutavano. Probabilmente passarono delle ore. Provò a non pensarci: l'ansia per il tempo che scorreva avrebbe reso il tutto ancora più difficile.

Le cose cambiarono quando finalmente fu abbastanza vicino e potè chiaramente distinguere i contorni di una pianta. Più si era prossimi ad un pensiero nella rappresentazione della macchina, più la mente tendeva a concentrarsi su di esso. Il fatto che pensare all'idea perduta fosse diventato improvvisamente più semplice riempì il creativo di un rinvigorente ottimismo. Ormai era sicuro di avercela fatta. La sua eureka era lì: sperduta nel nulla, ma a pochi minuti da lui. Il suo sorriso titubò un secondo quando si rese conto che pure avvicinandosi non riusciva a ricordare nulla di nuovo, ma non se ne preoccupò troppo. La situazione era decisamente bizzarra e quell'ulteriore stranezza non faceva che adattarsi perfettamente al resto. Ciò che lo preoccupò davvero fu scoprire che le sagome erano tre.

La Terra del Crepuscolo EternoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora