Mind War, Parte VI

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Un'esplosione. Il piano di Loki era questo: far esplodere una carica in modo che il palazzo più vicino alla porta crollasse sulle guardie. Dalla finestra Mark potè osservare lui e i sei della sua squadra che uccidevano gli unici due sopravvissuti al crollo. Festeggiarono con delle urla, ma la loro gioia durò poco: una folla di pazzi, un po' meno numerosa di quanti Mark avesse previsto, uscì dal palazzo diroccato. Il capo-plotone distolse lo sguardo dal massacro: nonostante fosse tutto parte della simulazione, era uno spettacolo orribile. Dagli spari prolungati capì che gli uomini di Ludwig si stavano difendendo bene. Gli stavano facendo guadagnare tempo: ora però doveva darsi una mossa.

Tornò velocemente dal resto del plotone. Li aveva già fatti preparare. Aveva tenuto il discorso per Loki, ma aveva aggiunto che se le cose fossero andate male dovevano prepararsi ad un azione di emergenza.

"Piano B! Ludwig ha fallito. Charlie, Maddox, voi difendete le retrovie. Zach, tu coprigli le spalle. Johnson, vieni con me. Occhi bene aperti, quell'esplosione attirerà uno sciame di pazzi. E' ora di uscire da questo inferno!"

"Sissignore!"

Le file ordinate che aveva predisposto si mossero in fretta: ad ogni militare era affidato un civile o un ferito grave per difenderlo. Da quando aveva dato loro uno scopo e una speranza, gli uomini erano tornati vigili, pronti. Reagivano, stavano all'erta, obbedivano all'istante. Era una bella sensazione. Nel giro di trenta secondi avevano tutti raggiunto la strada.

"Ore sei, signore! Si avvicinano!"

"Non ingaggiate! Sono ancora lontani!" Urlò Mark. "La nostra priorità è raggiungere l'edificio crollato!" Obbedirono. Era il momento più pericoloso, ora erano esposti al fuoco nemico. "Rimanete nascosti dietro ogni copertura possibile e muovetevi in fretta!"

Si rivolse a Jhonson. "Hai trovato le cariche che ti ho chiesto?"

"Gli uomini di Loki le hanno prese tutte, signore. Abbiamo trovato solo mezza dozzina di granate."

"Dovremo farcele bastare."

Correvano per le larghe vie della cittadina coloniale. Non facevano caso a rimanere silenziosi, Loki aveva cancellato ogni possibilità di un effetto sorpresa. Per quanto si muovessero in fretta, però, i folli inseguitori si avvicinavano rapidamente. Quando i primi uomini varcarono la soglia del palazzo diroccato, si sentirono le urla e gli spari di Charlie e Maddox. Erano stati raggiunti.

"Johnson, corri a dare le granate a Zach. Lui saprà cosa fare." Prima che la fuga cominciasse, Mark aveva raccontato tutto a Zeta. Si erano trovati entrambi d'accordo sul fatto che non sarebbero riusciti a farsi valutare positivamente entrambi, ma il capo-plotone aveva un'idea: l'esercito amava molto il sacrificio. Le statue che venivano continuamente erette ai martiri di guerra ne erano la prova. Se uno di loro fosse morto in modo eroico, la cosa non sarebbe passata inosservata. Zeta si era proposto senza esitazione: "Il piano è tuo dopotutto, è giusto che sia tu ad essere premiato. Io cercherò di portarmi dietro tutti i pazzi che posso, sperando di regalare un bello spettacolo ai nostri ufficiali. Ci rivediamo al campo di addestramento."

Quasi tutti ormai avevano varcato la soglia e navigavano tra le macerie per raggiungere lo squarcio che portava fuori dalla colonia. Zach difendeva l'entrata aiutato da un paio di uomini. "Voi due mettetevi in salvo!" Lo sentì urlare Mark. "A questi bastardi ci penso io." I due soldati non se lo fecero ripetere: in un attimo raggiunsero gli altri.

Ci rivediamo al campo, amico mio.

L'esplosione fu sufficiente a far cedere l'architrave del pericolante edificio, spazzando via dieci pazzi assassini e un finto martire. I superstiti del plotone corsero nel campo aperto che li separava dal colle poco distante, senza mai guardarsi indietro. Finalmente Mark riuscì a scorgere i profili degli elicotteri. Fine della missione pensò con sollievo.

Aiutò i civili a prendere posto sui velivoli, mentre ordinava ai suoi di coprire loro le spalle. Uno alla volta, tutti presero posto. Nove coloni e diciassette militari. Lui fu l'ultimo a salire.


Corro verso Alicia. L'abbraccio. La bacio. Lei mi sorride, felice. Mi perdo nel suo profumo, nel suo calore. Finalmente siamo di nuovo insieme.

La scena continuava a ripetersi nella mia mente mentre aiutavo quei civili. Era come se fosse lì davanti a me, a un passo, come se potessi allungare una mano e prenderla. Non appena fossi salito sull'elicottero anch'io, la simulazione sarebbe cessata e tutto ciò sarebbe finalmente accaduto. Quando però mi imbarcai, la simulazione non si fermò. Ovvio, pensai, ancora non eravamo fuori pericolo. Ordinai a tutti quelli sul mio elicottero di sparare sugli inseguitori a terra, soprattutto se imbracciavano armi. Ne falciammo a decine. Decollammo in fretta, allontanandoci dalla cittadella. C'era ancora qualcosa da fare, perché la simulazione continuava. Ordinai a tutti di tenere gli occhi aperti sull'entrata della colonia: da un momento all'altro poteva arrivare il cannone antiaereo. Successe, ma oramai eravamo troppo lontani per fare qualcosa. Uno dei cinque elicotteri fu colpito. Volando basso, per fortuna, gli altri riuscirono a salvarsi.

La simulazione, però, non si fermò neanche in quel momento.

Non si fermò quando raggiungemmo il campo di addestramento. Non si fermò durante il briefing per valutare le perdite. Non si fermò durante il funerale dei miei amici, né durante la cerimonia in mio onore per il conferimento di una medaglia al valore. Durante gli anni che passarono, la simulazione continuò senza sosta, ricca di un sorprendente numero di dettagli. Scalavo i gradi di quel gioco perverso, guidavo battaglie, rifiutandomi sempre di rimanere al sicuro su una poltrona. Non avevo nulla da temere, dopotutto. La simulazione non ha dato segni di cedimento neanche quando ho ordinato, in qualità di massimo generale delle colonie , il ritiro dal Pianeta Nero. Ha simulato il viaggio, ha simulato la Terra.

Ovviamente il dubbio mostruoso che non si trattasse affatto di una simulazione mi ha assalito spesso in questi anni. Il pensiero di aver lasciato morire Ludwig, di aver convinto Zach a suicidarsi. Il pensiero di essere davvero colpevole della morte di Alicia. Solo un pazzo non si porrebbe il dubbio. Solo un uomo troppo roso dal rimorso e dal senso di colpa insabbierebbe tutto con una sciocca spiegazione. Sono emozioni orribili dopotutto, di quelle che mettono a dura prova la sanità mentale. Per questo, molte volte mi sono trovato ad affrontare queste spaventose supposizioni, chiedendomi se non mi fossi sbagliato. Tutto ciò, però, non è possibile. So di essere in una simulazione, non è possibile altrimenti. Lo so perché così mi ha detto Loki. E Loki ha sempre ragione.

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