Piante di Cristallo, Parte III

108 21 3
                                    

Tre piante, una vicino all'altra. Non se ne era reso conto prima perché in quella zona il paesaggio diventava tremendamente irregolare: un susseguirsi di dune e gole copriva i due alberi più lontani. Crescevano intorno a una ripida cunetta, vicino a quello che sembrava uno strapiombo. Le sorprese non finivano lì: i confini definiti e i movimenti lenti rendevano chiaro di cosa si trattasse. Erano ricordi. Solo l'albero centrale, il più grande, era abbastanza agitato da poter sembrare un'eureka. Non indugiò oltre: tre piante erano meglio di nessuna. Questo non cambiava il motivo per cui era lì. Prese un profondo respiro e mosse la cloche per attraversare la prima vitrea corteccia.


"...mi fa impazzire. Qualunque cosa faccia, è sempre lì." Il creativo si trovava nella sala di produzione insieme al suo tecnico. "È come le canzonette delle pubblicità che ti ronzano in testa fino a farti andare di matto."

"Le sembra una scusa sufficiente?" Joe stava giocherellando pigramente con l'apparecchiatura. Aveva ancora la barba lunga, quindi tutto ciò era successo almeno un mese prima. "È il terzo giorno di fila che non registriamo niente. Possibile che non riesca a farsi venire in mente neanche una storiella da quattro soldi?"

"Crede che non ci abbia provato? Appena cerco di pensare a qualcosa, però, la stupida eureka del piccolo Ivan prende il sopravvento. Anzi, non merita il nome di eureka. È un maledetto virus."

"A questo punto anche mettendo insieme scene a caso farebbe meglio di come sta facendo."

"Molto spiritoso." Lui se ne stava stravaccato sulla poltrona da lavoro, dondolandosi con un piede. "Se vuole ho una mezza dozzina di variazioni della storia di Ivan."

"No grazie, ne ho abbastanza di quella robaccia. Dubito che Hoeder riuscirà mai a venderla. Come ha fatto un rinomato creativo come lei a proporre una cosa del genere?"

Non rispose, lasciando che un silenzio imbarazzante colmasse la stanza. Dopo qualche minuto Joe provò a ravvivare la discussione, come se questo potesse in qualche modo rendere meno straziante quell'ozio.

"Mi attaccherei io alla macchina, ma non mi pagano per questo."

"Posso almeno provare a convincerla? Magari è un talento nascosto."

"Se io mi mettessi il casco, lei dovrebbe mettersi ai comandi. Senza offesa, ma non mi fiderei a lasciarla manovrare la mia mente. Questa è una macchina troppo potente per un non addetto ai lavori."

"Se è così potente perché non può liberarmi da questo sassolino nel cranio?"

Il tecnico non disse nulla, si limitò a grattarsi la barba incolta fingendosi distratto.

"Perché non può, vero Joe? La macchina non può cancellare le eureka, o sbaglio?"

"Non è un argomento che..."

"Parli. Ora." Avrebbe fatto qualunque cosa per sfuggire a quel supplizio.

"Va bene, ma non le piacerà. Diciamo che ci sono teorie contrastanti sull'argomento."

"Allora si può fare!"

"Mi lasci finire. Ci sono teorie contrastanti e nessuna di esse è positiva. L'idea più comune è che si possa in qualche modo isolare un pensiero e allontanarlo dalla mente cosciente di qualcuno. Dopotutto è per questo che era stata ideata la macchina."

"Mi sembra fantastico. Per me possiamo cominciare anche subito."

Il tecnico scosse energicamente la testa.

"Peggiorerebbe solamente le cose. La mente umana non è fatta per essere manovrata in questo modo. Già l'utilizzo che facciamo noi del macchinario è al limite del prudente."

"Cosa potrebbe mai succedere di così grave?"

"Già, cosa potrà mai accadere di brutto giocando con un cervello?"

"Beh, messa così..."

"Appunto. Se vuole i dettagli: rischierebbe di impazzire. Non subito però. Inizialmente la sua mente non riuscirebbe a sopportare la mancanza di un pensiero da lei generato. Cercherebbe in tutti i modi di ricostruirlo, dandole la costante sensazione di qualcosa sulla punta della lingua. Il suo cervello seguirebbe le associazioni di idee che avevano portato alla formazione di quella particolare eureka finendo per produrre un'infinita quantità di trame della stessa lega. Lei diventerebbe un distributore di storie di bassissima qualità. A quel punto la ricerca dell'idea scomparsa diventerebbe una vera ossessione. Finirebbe per non pensare ad altro, soffocato da una valanga di brutte idee. Smetterebbe di svolgere il suo lavoro, poi di avere interazioni sociali e alla fine di occuparsi del suo sostentamento. Solo a quel punto comincerebbe veramente a impazzire. Per mantenerla sano bisognerebbe inventare un qualche stratagemma per rimetterle a posto il cervello, stratagemma che però rischierebbe di far ricominciare tutto da capo."

"Mi aveva convinto a 'infinita quantità di trame della stessa lega'."

"E questa era solo la previsione più ottimistica..."


Il ricordo si affievolì, e l'albero scomparve appena la sua mente ricominciò a funzionare da sola. Cosa aveva appena visto? In qualche modo quello stesso ricordo rispondeva alla sua domanda, ma tutto ciò non era molto confortante. Qualcuno aveva cancellato la sua memoria. Perché avrebbero dovuto fare una cosa simile? Poteva indovinare anche questo. Probabilmente avevano rimosso una sua idea, quell'idea, e non volevano rischiare che lui se ne rendesse conto. Così avevano cancellato le prove.

Sapeva che l'eureka scomparsa non era la storiaccia del piccolo Ivan: la banalità di quella trama continuava a infastidirlo di tanto in tanto. Da un mesetto, però, i suoi schiamazzi erano sovrastati dal richiamo della storia perduta. L'unico modo per sapere di cosa si trattasse era andare avanti. Riportò, stavolta con una certa facilità, le piante su quel terreno irregolare. Per raggiungere la seconda, quella che sospettava essere proprio il premio che cercava, avrebbe dovuto muoversi vicino allo strapiombo.

Non sapeva cosa rappresentasse la gola, solo i tecnici riuscivano a interpretare le infinite metafore mostrate dalla macchina. Di sicuro, però, non presagiva niente di buono. Con la cloche poteva muoversi solo avanti e indietro, a destra e a sinistra: non aveva idea di come sarebbe risalito se fosse caduto. Peggio ancora, non aveva idea di dove la macchina avrebbe trascinato la sua mente. Già solo la lontananza dalla sua radura lo lasciava in uno stato di perenne fastidio, agitato dal bisogno urgente di tornare indietro. Non lo faceva solo perché il desiderio di andare oltre era più famelico.

Mentre si muoveva su uno stretto bordo che separava il terreno dal vuoto, si soffermò a guardare nelle profondità della voragine. Quella chiazza nera sul terreno scuro pareva quasi allargarsi pigramente: un'allarmante macchia, un buco nel tessuto della sua mente che sembrava avere origine dal secondo albero. Questo, ora poteva vederlo, era enorme: sospeso sull'abisso, sorretto da mastodontiche radici che lo avvinghiavano alle pareti della fossa, sbucava sopra la linea dell'orizzonte solo in minima parte. Aveva già visto piante simili: quando nei suoi anni migliori riusciva a ideare eureka complesse e profonde, era quella la forma che prendevano. Voragine a parte, ovviamente.

Per raggiungerlo fu costretto a muoversi lungo uno dei rami più bassi, che fortunatamente arrivava fino al bordo. Lenti, precisi movimenti della cloche gli permisero di seguire la curva irregolare e variabile di quel precario ponticello. La sua fronte era imperlata da gocce di sudore, dovute allo sforzo di concentrazione: se avesse deviato il corso dei suoi pensieri anche solo un secondo, avrebbe letteralmente perso il terreno sotto i piedi. La sonda che muoveva sullo schermo sarebbe scomparsa nel buio e con lei, probabilmente, la sua coscienza. Non si concesse di riprendere fiato neanche quando fu ai piedi dell'immenso fusto. Superò la barriera cristallina e si lasciò invadere dal travolgente flusso dell'eureka.

La Terra del Crepuscolo EternoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora