L'Essere di Un'Altra Dimensione, Parte I

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Quando si svegliò, quella mattina di Agosto, Julien non aveva idea di ciò che lo aspettava. Era il giorno dell'Incidente. Il giorno che avrebbe cambiato tutto.

Il giorno della sua morte.

Come dicevo, però, lui non aveva modo di immaginarlo. Così, quando aprì gli occhi, la sua più grande preoccupazione fu di essere in ritardo. Non era un'esperienza nuova per il giovane fisico, sempre disordinato e male organizzato, e solitamente poco gli importava di rispettare orari e programmi; tuttavia quel giorno avrebbe preferito che la sveglia fosse un po' più insistente. Temeva che non lo avrebbero aspettato: l'esperimento era troppo importante per ritardarlo, o almeno questo avrebbe detto Dante al professore. Il guaio era che il professore lo avrebbe ascoltato.

Neanche mezz'ora più tardi, vestito alla bene e meglio, Julien lasciava la sua bicicletta nel parcheggio semivuoto del laboratorio, senza curarsi di metterle il cavalletto. Se avesse avuto più pazienza, o se fosse stato semplicemente meno distratto, avrebbe notato l'assenza della vecchia Ford che di solito sostava nell'unico posto all'ombra. Ovviamente non successe, o le cose sarebbero andate in modo diverso. La sua mente, al momento, era troppo occupata a calcolare quanto avrebbe influito sul suo ritardo una sosta per il caffè nel cucinino. Il cosiddetto cucinino, una stanza al primo piano sotterraneo impropriamente convertita in dispensa, era sette livelli più in alto della camera di comando, la sua meta. Sette piani senza ascensore. Dopo la pedalata disperata che lo aveva portato lì, non sarebbe mai arrivato vivo di sotto senza carburante. Optò per la sosta.

Il Nuovo Laboratorio dell'Università di Laurensbridge era, per l'appunto, nuovo e per la precisione non ancora inaugurato. I lavori per la sua costruzione erano da poco finiti e l'unica attività che si svolgeva all'interno, almeno ufficialmente, era la calibrazione del suo strumento più importante, il primo laser S-char. Per questo motivo l'intera struttura, un articolato labirinto che cresceva nel sottosuolo come un formicaio, era disabitata e avvolta da un imperturbato silenzio. Quasi imperturbato: l'affannarsi di un giovane scienziato che tentava in vano di non versare la sua bevanda disturbava quella quiete solenne. Ignorando la piega inquietante che presero gli eventi, la situazione poteva sembrare quasi comica. Julien correva mentre cercava nel taschino il suo badge, lasciandosi alle spalle una traccia di gocce marroni. Quando trovò la schedina, inevitabilmente, la fece cadere a terra. Chinandosi per recuperarla, lasciò al suo posto quel che rimaneva del caffè, senza mancare di innaffiare una gamba dei suoi pantaloni. Quantomeno riuscì a non scivolare sulla pozza e a dirigersi con una certa dignità verso la porta a chiusura magnetica: quella che permetteva l'accesso a quell'ala era l'unica serratura elettronica funzionante nella struttura, oltre all'entrata principale. Con il bicchiere vuoto ancora in mano, percorse in tutta fretta l'ultimo breve corridoio che lo separava dalla sala di controllo, concludendo la sua maratona con una goffa entrata in scena. Due paia di occhi perplessi gli si puntarono a dosso. Solo due. Finalmente si rese conto di chi mancava, e del perché l'esperimento non fosse già stato avviato.

"Lui...?" Non riuscì a completare la frase: appena aprì bocca i suoi polmoni ne approfittano per ingurgitare tutta l'aria di cui erano stati privati durante la discesa. Una quantità notevole, in effetti.
"Sei in ritardo." Fu tutto ciò che ottenne come risposta. Dante, come al solito, non era gentile con lui. Per essere precisi, era poco gentile con tutti, a meno che non fossero più in alto di lui su una qualsiasi gerarchia sociale. Era ovvio che fosse innervosito: lo era sempre quando non venivano rispettati i programmi. L'organizzazione era la sua vita. Aborriva tutto ciò che non rientrava nei suoi schemi e nelle sue previsioni. Julien credeva che fosse questo il motivo per cui era diventato fisico: voleva una legge e una regola per ogni cosa. Però, sempre secondo Julien, mancava di quella flessibilità mentale necessaria per il lavoro. In altre parole: non lo riteneva abbastanza intelligente, e non mancava di farglielo notare.

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