Mind War, Parte II

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Le ore passavano e loro rimanevano nascosti nell'edificio. Mark, gli occhi arrossati da lacrime non ancora asciutte, guardava la cittadella da una finestra, attento a non esporsi. Era da solo, in una stanzetta sudicia e scialba. Non aveva voluto nessun altro. Alicia ne sarebbe stata fiera: invece di lasciarsi sopraffare dal dolore, studiava il campo di battaglia. Lui invece se ne vergognava. Avrebbe voluto rimanere a fianco a lei, ma la vista del suo cadavere lo faceva sentire male. In quella cameretta solitaria la morte dell'amica gli sembrava qualcosa di impossibile, irreale. Come se non fosse mai accaduta.

La sua dedizione al comando era in realtà un modo per non pensare a lei più che un vero impegno. Questo era l'unico motivo per cui lo faceva, anche se cercava vigliaccamente di convincersi che la ragione risiedesse nel suo senso del dovere. La verità era che voleva andarsene di lì con tutte le sue forze. Non gli importava di salvare tutti, voleva solo correre con tutte le energie che gli rimanevano in corpo fuori da quella cittadella maledetta. Se lo avesse fatto, però, sarebbe morto. Peggio: se lo avesse fatto, avrebbe tradito l'ultima richiesta di Alicia.

Scacciò quei pensieri. Lei vorrebbe che mi concentrassi sul mio compito. Scosse la testa, avvilito. Non era facile, né tanto meno piacevole. La sopravvivenza dei venti soldati ancora in vita e dei civili che avevano salvato dipendeva dalle sue scelte, ma lui non aveva idea di come agire. Come sempre, la pressione e l'agitazione impedivano alla sua mente di ragionare lucidamente. Non che fosse incapace di elaborare un piano: quando con Alicia, Zeta e Loki giocavano a Mind War III era lui ad organizzare le azioni per la battaglia. Purtroppo però gli riusciva solo prima degli scontri; finché la situazione era calma e ancora non erano connessi ai server, sapeva ragionare lucidamente. Quando entravano nella simulazione, però, i suoi pensieri diventavano lenti e goffi. Se non ci fosse stata Alicia a urlare ordini, sarebbe stato praticamente inutile in battaglia. L'ansia della simulazione lo bloccava.

Ansia.

Ripensandoci, avrebbe volentieri provato ancora quella blanda sensazione. L'emozione che lo attanagliava adesso era imparagonabile. Si avvicinava di più alla totale disperazione che all'ansia. Le mani non smettevano di tremargli, il petto pesava come fosse pieno di piombo e il cuore gli esplodeva ad ogni battito. La sua mente, poi, sembrava immersa nel catrame. La sua prima esperienza della vera guerra era molto diversa da come se l'era immaginata.

Anche quando sei sotto pressione, devi concentrarti su una cosa alla volta gli aveva consigliato Alicia in passato. Proprio come fai quando organizzi un piano d'attacco. Analizza la situazione e trova una soluzione. Analizza la situazione. Era facile analizzarla, bastavano due parole: siamo spacciati. Era sufficiente uno sguardo al panorama oltre la finestra per capirlo.

La strada da cui erano arrivati era immersa in quell'orrendo fumo nero. Avanzava lento e inarrestabile, simile a magma che si raffredda, con la differenza, però, che il suo moto sembrava in qualche modo premeditato. Era uno spettacolo inquietante. Se mai Mark fosse sopravvissuto, il profondo ronzio di quel fumo avrebbe ospitato per sempre i suoi incubi. Non aveva idea di cosa fosse realmente, ma a lui sembrava l'incarnazione del male. Eva e Lin ne erano la prova: il suo tocco li aveva cambiati. Li aveva resi dei pazzi assassini, pronti ad massacrare tutti i loro compagni; per fermarli erano stati costretti a ucciderli. Dannazione, tutta quella maledetta colonia ne era una prova. Appena il plotone era arrivato, i cittadini, in centinaia, l'avevano attaccato. Non era stato uno scontro normale. Erano troppo impetuosi, troppo violenti. Disumani. Ora che i sopravvissuti si nascondevano nell'edificio, quelli li cercavano come segugi. Non ci avrebbero messo molto a trovarli: avevano bloccato tutte le uscite dall'area urbana. Adesso che il comando spettava a lui si pentiva di aver fatto nascondere gli elicotteri dietro il colle. Le probabilità che un elicottero in volo sui palazzi non fosse abbattuto erano esigue, ma sicuramente non più basse di quelle che avevano loro di uscire vivi da quell'inferno.

Si spostò ad un'altra finestra, da cui riusciva a intravedere la via di fuga più vicina: la porta principale della colonia. C'erano almeno una quindicina di cittadini a controllarla. Un palazzo semicrollato lì vicino poteva essere un'altra scelta per fuggire: una parete aveva ceduto aprendo un varco che conduceva fuori dale mura della cittadella. Lui, però, aveva il fondato sospetto che quello fosse il nascondiglio di altri nemici. Molti altri. Se ne stavano lì, pronti ad un'imboscata se qualcuno avesse attaccato i quindici alla porta. Di certo lui avrebbe agito così al posto loro. Altre vie per abbandonare quell'inferno non ne vedeva. Forse a casa sua, sulla Terra, lontano dal pericolo, avrebbe trovato un modo per salvare tutta quella gente. Forse. Quando giocavano ci riusciva. Adesso, però, non si trattava di un gioco.

Si allontanò dalle finestre per sedersi su una poltroncina impolverata, unico vero arredo della cameretta. Non avrebbe risolto nulla continuando a scrutare il paesaggio, quindi decise di dare un'occhiata al suo diario elettronico. Più che un diario erano quasi delle memorie. Ci annotava ogni tipo di cose, perfino le più sciocche, in modo quasi maniacale, cercando di fotografare a parole vari momenti della sua vita. Forse in quella montagna di chiacchiere avrebbe trovato qualcosa di utile, come era successo molte volte in passato. Sperava di trovarci un'intuizione. Ottenne solo dolorosi ricordi.


Zeta era particolarmente nervoso il giorno del trasferimento. "L'ha detto Loki che avrebbero ritardato la partenza. E' stato furbo a non presentarsi in anticipo, chissà quanto ci toccherà aspettare ora."

"Dimentichi che Loki ha sempre ragione?" gli chiesi, sorridendo. Alicia, Zeta ed io eravamo già da mezz'ora sulla piattaforma d'imbarco, ma la nave per il Pianeta Nero ancora non si vedeva. Per essere l'organo più efficiente della Terra, il nostro esercito lascia un po' a desiderare in quanto a trasporti.

"Come è nata questa cosa?" chiese Alicia dopo qualche minuto di silenzio.

"Cosa?"

"Sai, questa storia che 'Loki ha sempre ragione'. Che io ricordi, ha una bella collezione di errori alle spalle." Ha sempre quello sguardo concentrato quando si interroga su un problema, e comincia a intrecciarsi i capelli con le dita. Lo stava facendo anche in quel momento.

"Era una presa in giro." Rivelai. "A 15 anni aveva il brutto vizio di ripetere 'hai visto che ho ragione io?' ogni volta che indovinava qualcosa. Lo diceva continuamente. Era davvero irritante, così noi abbiamo cominciato a fargli il verso. Lo ripetevamo qualunque cosa facesse, giusta o sbagliata."

"E come mai ora lo dite solo quando ci azzecca?"

"Già, come mai?" Rimarcò Zeta, sperando che almeno io sapessi rispondere.

"Non ne ho idea. Forse... credo sia successo dopo quella volta."

"Giusto." Lui aveva capito cosa intendevo. "Se l'è davvero presa quel giorno. Hai ragione, probabilmente è stato lì che abbiamo smesso di prenderlo in giro quando sbagliava."

"Di cosa state parlando?" Alicia era nel gruppo da molto meno tempo di noi tre. C'erano cose che non sapeva.

"Scusa Ali, ma non possiamo dirtelo. Loki è stato piuttosto tassativo sulla cosa; ma credimi, è meglio così. Non ti piacerebbe."

"Come volete." Incrociò le braccia al petto. Non era contenta della risposta. "Per come la vedo io, vi ha preso in giro."

"Ma se non sai neanche cos'è successo!"

"Può darsi, ma prima 'Loki ha sempre ragione' era uno scherzo, poi è diventata una lode. Non lo conosco da tanto quanto voi, ma mi sembra proprio il tipo di cosa che solo lui riuscirebbe ad ottenere. Ingannandovi, ovviamente."

"Nah." Zeta scartò quell'ipotesi con un gesto.

"Non saprei, Zeta. Non è così improbabile." Più ci pensavo più la cosa aveva senso. "Noi in effetti non abbiamo visto di persona... quella cosa."

"Vuoi dire che..." Rimanemmo tutti e tre in silenzio, ognuno con le proprie considerazioni. Fui io a interrompere le riflessioni: "Se sapesse manipolare un fucile come sa manipolare le persone, saremmo in cima alle classifiche di MW3."

Zeta si limitò a sorridere. Alicia invece rise di gusto. Che suono meraviglioso, quella risata. Non mi stancherò mai di ascoltarla.

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