In Fabula, Parte II

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Lo studio del dottore era uno spazio molto accogliente. Ampio ma non troppo, era interamente rivestito di lastre di legno pregiato: dal soffitto a cassettoni, scuro e ornato da piacevoli scanalature, alle alte librerie che coprivano le sue pareti. Nel centro della stanza, sopra un antico tappeto persiano, due poltrone si fronteggiavano. Al fianco di quella più grande era sistemato un basso tavolino, di legno anch'esso, su cui posava una pipa di schiuma. Il dottor Eimund la raccolse, la riempì col tabacco e l'accese. Durante tutto il lento rito non disse una parola, e Hume aspettò pazientemente. Quando finalmente, dopo una lunga boccata, lo psicologo emise un denso fiato di fumo, il paziente capì che la seduta stava per cominciare.

"Il mio assistente, Ross, mi ha parlato del vostro incontro." La sua voce era lenta e profonda, molto piacevole da ascoltare. La vecchiaia non aveva rovinato quell'aspetto dell'uomo, anche se era stata meno gentile col suo viso. "Avrei preferito che non le ponesse tutte quelle domande, volevo che prima del nostro incontro la sua mente fosse... libera."

"Non mi ha dato fastidio, dottore. Sembra un ragazzo molto appassionato." Hume assaporò l'odore della pipa che si spandeva nella stanza. Non era un fumatore, ma quell'aroma gli risultava gradevole.

"Lo è, ma preferirei che non parlassimo di lui. Siamo qui per lei, signor Hume. Posso chiamarla Renè?"

"Faccia pure."

"Si è riposato in questi due giorni, Renè? Ha visitato i giardini?" Hume sorrise. Aveva due scelte: poteva essere gentile, mentendo, oppure rispondere in modo onesto. Sapeva per esperienza che la seconda scelta era quella che generava le discussioni più interessanti. Dopotutto Eimund era lì per studiare la sua condizione. Perché nascondergliela?

"Mi piacerebbe dirle quanto siano state gradevoli le mie giornate qui, dottore, ma non sarebbe la verità. Dal mio punto di vista io sono arrivato poco fa." Il dottore in un primo momento sembrò non capire, ma poi annuì assorto.

"Certo... certo. Questi due giorni sono stati poco interessanti, quindi non compaiono nel... racconto. Giusto?"

"Esattamente."

"Ma se improvvisamente quegli eventi diventassero importanti, in qualche modo? Se si scoprisse che è avvenuto un crimine ieri, e la sua testimonianza risultasse fondamentale, ricorderebbe qualcosa?" Hume ci pensò. Era raro che gli fossero poste domande del genere, la risposta non era scontata.

"Direi di sì. Già il solo fatto che ne stiamo parlando, in effetti, genera nuovi ricordi nella mia mente." Lo psicologo annotò qualcosa su un taccuino. Il paziente era intrigato già da quel semplice inizio. Era molto diverso da ciò che aveva sperimentato in passato.

"Dottore, posso farle una domanda?"

"Prego." Rispose il vecchio, richiudendo il suo quadernetto.

"Solitamente le persone con cui parlo cercano subito di mostrarmi perché quella che chiamano 'la mia allucinazione' non abbia senso. Lei, invece, vuole ovviamente seguire un percorso diverso. Qual è il suo piano?"

Il dottore aspirò nuovamente una boccata, assaporando per alcuni secondi. Ancora una volta, una fumata bianca avvertì che era pronto a parlare.

"Scoprirai che quello che ho in mente non è troppo lontano da ciò a cui sei abituato, ma funziona meglio. Mi spiego: quando un uomo crede in qualcosa, quando ci crede fermamente, la sua visione del mondo cambia. Tutti gli eventi cui andrà incontro, li interpreterà nel modo che più valorizza la sua tesi, per quanto quest'interpretazione possa essere improbabile. Se qualcuno crede che la terra sia piatta, ad esempio, troverà più facile accettare che un intricato complotto nasconda i confini del mondo piuttosto che rassegnarsi al fatto che tali confini non esistono. Per ogni prova contro la sua fede troverà un'intricata spiegazione che la faccia rientrare perfettamente nella sua visione dell'universo. Mi segue?"

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