Mind War, Parte IV

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"Mi serve il tuo aiuto, Zeta." Mark lo stava praticamente trascinando per il corridoio. L'aveva trovato rannicchiato in un angolo, al buio, e non era riuscito a cavargli una parola. Per questo aveva deciso di portarlo lontano dagli altri uomini del plotone: forse se fossero stati solo loro due sarebbe tornato in sé. "Zeta, ti prego. Ho bisogno che torni quello di sempre. Sei tu quello forte del gruppo, mi serve il tuo aiuto."

Camminavano tra i sopravvissuti verso la stanzetta solitaria di Mark. Quello offerto dagli uomini buttati lì a terra era uno spettacolo deprimente. Erano pallidi, la maggior parte di loro feriti. Sedevano in mezzo al loro vomito misto a sangue, tremanti, tra gemiti e lacrime. È questo il risultato dell'arruolamento attraverso i giochi neuronali. Questi ragazzi si aspettavano gloria e adrenalina. Forse si aspettavano la fama. Di certo, non questo schifo. Distolse velocemente lo sguardo passando davanti a un ragazzo dai capelli rossi. Lo conosceva, era trai primi posti nelle classifiche di MW3. Gli avevano strappato un braccio.

Quando finalmente arrivarono, Mark spinse Zeta oltre la soglia e chiuse la porta. Lo fece sedere sulla poltroncina. "Zeta... Zach, ascoltami ti prego. Ho bisogno che tu mi aiuti." Era spaventosamente pallido. Per un lungo momento non disse niente, guardando il pavimento.

"Aiutarti?" Si decise finalmente. La sua voce era spezzata. Era evidente che avesse pianto.

"Sì Zach. Io non so che cosa..."

"Aiutarti?" Chiese ancora, con tono più deciso. Quasi minaccioso. "Come tu hai aiutato lei?" In un attimo si alzò in piedi, con un vigore che Mark non si aspettava. L'amico lo superava di tutta la testa. "Perché non l'hai salvata, Mark? Perché?" Sapeva bene di cosa parlava. I terribili secondi di quella scena si ripresentarono davanti ai suoi occhi.

"Io... Lei mi ha detto... Mi ha ordinato di salvare il caporale. Io non potevo... Ho provato a..." Non riusciva a trovare le parole. Non voleva cercarle. Avrebbe preferito cancellare tutto ciò dalla sua mente.

"Tu ha provato? Hai provato? Alicia veniva attaccata da Eva, o da qualunque... bestia fosse quella, e tu hai provato?"

Il fucile. Il sangue. Le urla. Gli ordini di lei. L'esitazione.

"Ti prego Zeta, non..."

"No, Mark. Non mi pregare. Affronta la realtà per una volta. Tu l'hai tradita." Nonostante il tono della sua voce, non c'era odio negli occhi di Zach. Solo dolore.

Mark non rispose. Non aveva intenzione di difendersi: non c'era nulla da difendere. La colpa gli stringeva le viscere in un pugno crudele.

"Sai, lei ha sempre creduto in te. Lei..." Si fermò, prendendosi un attimo per riacquistare la calma. "Lei ha sempre voluto che superassi le tue sciocche incertezze." Mark ci mise qualche secondo a rispondere. Una parte di sé non voleva rispondere affatto.

"Era solo questo che voleva da me? Che diventassi un membro migliore per il team?" Non avrebbe dovuto chiederlo. Non era la cosa giusta da dire, soprattutto in quel momento, ma non gli importava.

"No, Mark. Lei voleva che crescessi come persona, che..."

"Hai capito cosa intendevo." Zeta emise un sospiro stanco. Era ovvio che non volesse affrontare quell'argomento. Non in quel modo, non in quella situazione. Si lasciò ricadere sulla poltrona.

"Io non ho la risposta che cerchi, Mark. Non so se lei ti vede..." indugiò, soffocando un gemito di dolore. "Se ti... vedeva... solo come come un caro amico o come qualcosa di più. La conoscevo da tutta la vita, eppure non sono mai riuscito a decifrarla." Zeta lo fissò dritto negli occhi. "Però tu potevi chiederglielo, sai? Ogni giorno per gli ultimi cinque anni l'hai avuta davanti, in carne e ossa o in simulazione. Hai avuto un milione di occasioni per parlarle."

"Credi che non lo sappia? Credi che non parlerei con lei immediatamente se avessi una seconda occasione?"

"Una seconda occasione?" Lo sguardo di Zeta si riempì di commiserazione. "Svegliati Mark, non puoi continuare a vivere nella tua ingenua versione del mondo. Non ci sono seconde occasioni qui. Esistono azioni e conseguenze. La cosa più vicina che hai a una seconda occasione è sperare che ovunque lei sia ti stia guardando, per dimostrarle che aveva ragione, che puoi cambiare. Ha sempre creduto in te, fino alla fine. Per questo ti ha scelto per tirarci fuori da qui. Dimostrarle che non si è sbagliata."

Mark evitò di ribattere che non credeva a certe cose. Discutere di spiritualità con Zeta era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, ma soprattutto era l'ultima di cui aveva bisogno il suo amico, particolarmente in un momento in cui quelle credenze erano il suo unico conforto. Inoltre sentiva che in qualche modo aveva ragione. Non sul fatto che Alicia da qualche parte lo stesse osservando, ma su quello che le doveva qualcosa. Invece di rispondere, quindi, si limitò ad annuire.

Quando vide che Mark non aveva nulla da aggiungere, Zach si alzò in silenzio e si diresse verso la porta. Rimase fermo un secondo, dandogli le spalle. "Io non posso aiutarti a organizzare una ritirata, Mark. Lo farei, se sapessi come, ma non ne ho idea." La sua voce era calma, forse un po' spaventa, ma decisamente lontana dal tono accusatorio di pochi secondi prima. Sembrava che la loro discussione non fosse mai avvenuta. "Sono quello che si occupa di sparare, nel nostro gruppo." Continuò. "La tattica non fa per me. Ma so che alla fine tu troverai un buon piano. Lo fai sempre." Se ne andò, lasciandolo nuovamente solo.


Eravamo sdraiati sul prato, Zach ed io. Credo fosse il giorno prima del suo sedicesimo 

ompleanno. Mi stava raccontando qualcosa che aveva sentito dire da suo zio, un militare di alto grado in congedo. "... Subito dopo si è messo a parlare del Fronte Indipendentista. Ha detto che in realtà l'esercito non sa niente di loro, che tutte le informazioni divulgate dalla stampa sono fandonie che servono a dare un volto al nemico. Quelli ci hanno semplicemente attaccato, senza avanzare alcuna richiesta, feroci come bestie. Ha detto che la capitale non l'hanno veramente occupata: pare l'abbiano bruciata, o qualcosa di simile. Tutto ciò che ne rimane è fumo, un fumo nero che si vede da chilometri. Alla fine ha aggiunto che questa è una guerra senza senso, che non vale la pena combattere per quel buco del Pianeta Nero dove non cresce nulla e non si riesce nemmeno a comunicare come si deve."

"Tuo zio ha detto questo?"

"Parola per parola."

"Non mi sembra molto da lui." Ai miei occhi, lo zio di Zach era sempre stato l'archetipo dell'ufficiale di alto grado. Competente, composto e soprattutto fedele. Era strano che parlasse così.

"Era molto scosso. Mio cugino ha deciso di arruolarsi e lui cercava di dissuaderlo. Non ci è riuscito."

"Aspetta, tuo cugino si arruola? Tuo cugino Ares?"

"Martin, ormai nessuno lo chiamerà più Ares. Ha compiuto 20 anni, è normale che si unisca all'esercito."

"Ma è il leader della nostra squadra! Se se ne va rimarremo solo in tre e tra poco esce Mind War II. Come facciamo se lui parte?"

"Tranquillo, tranquillo. Ci ho già pensato io. Ti ricordi mia cugina Alicia, la sorella di Martin? Forse l'hai vista l'anno scorso alla mia festa."

Certo che la ricordavo.

"Non ne sono sicuro, Zeta. C'era tanta gente a quella festa."

"Non importa, la vedrai domani. Comunque, lei gioca e non ha una squadra. Volevo parlarvene al mio compleanno, ma visto che ci siamo: le ho chiesto di unirsi a noi."

"Davvero? Non lo so, Zeta, non mi sembrava il tipo da gioco di guerra." Zach sorrise.

"Non hai detto che non la ricordavi?" Agitai la mano in un gesto infastidito, o forse mi limitai ad arrossire. "Comunque non devi preoccuparti, lei ti sorprenderà."

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