Capitolo 3.

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Ma siamo una storia che non si può dire 
Non abbiamo niente di speciale
Non fosse che io ho paura di crescere
E tu quella di nuotare.

(Niente di speciale – Lo Stato Sociale)

Ermal era rientrato a casa nel primo pomeriggio. «Ma dove sei stato?» chiese la sorella con tono quasi polemico. «Dovevo cercare una persona» aveva lo sguardo basso, non aveva il coraggio di guardare in faccia sua sorella e la sua fidanzata sapendo di mentire spudoratamente. «Ho bisogno di riposare un po'» aggiunse prima che potessero chiedergli altre informazioni.

Sabina aveva guardato il fratello con fare preoccupato. Cosa gli era potuto succedere in meno di metà giornata? Forse aveva litigato con Silvia, eppure lei era così serena! Con Rinald non poteva essere successo niente perché era uscito prima di loro quella mattina. Forse qualche telefonata di lavoro sgradevole. Sabina non sapeva più cosa pensare. Per troppo tempo Ermal si era preso cura di lei, adesso era il suo momento. «Ma che ha Ermal?» chiese Rinald. Sabina alzò le spalle confusa: «Non lo so, è da stamattina che è strano. Pensa che oggi non ha manco pranzato perché all'improvviso si è ricordato di dover andare a cercare una persona».
«E chi è questa persona?» chiese Rinald addentando un biscotto. «Se lo sapessi te l'avrei detto, no?»
«Ma non è che ha l'amante?»
«Rinald non dire queste cose! Lui non è così!» rispose seria la sorella.
«Già...» sospirò il fratello.

Ermal nel frattempo osservava il paesaggio fuori dalla finestra. Avevano affittato una casa in una zona fuori Roma per cercare un po' di tranquillità e passare un po' di tempo insieme. Di certo non aveva previsto un temporale chiamato "Fabrizio Moro". Sospirò portandosi entrambe le mani sul viso, come a volerlo lavare.
Nella sua mente riviveva i momenti passati con Fabrizio ormai diciassette anni prima, anno più, anno meno. Di come si erano conosciuti per caso in un bar, della sua tossicodipendenza, del dolore di Ermal, di come lui lo abbracciava e lo faceva sentire al sicuro nonostante avessero entrambi paura. Paura di cimentarsi in qualcosa di nuovo, paura di loro stessi, paura delle loro stesse paure. Avevano avuto paura d'amarsi quei due, finché un giorno Fabrizio era totalmente scomparso dalla circolazione. Tornato da Bari, quel ragazzo si era volatilizzato, letteralmente. Nessuno sapeva dove fosse e lui non sapeva nemmeno dove abitasse per poter andare a chiedere almeno ai suoi. Scomparso come se fosse stato un'allucinazione, ma la più bella della sua vita.
Per un certo periodo aveva anche creduto che fosse morto, forse per dare un po' di sollievo a quel suo dolore troppo lacerante, che alcune mattine gli toglieva addirittura il respiro. Però poi l'aveva visto a Sanremo 2007 ed era stato contento di sapere che almeno era vivo. Anche se lui non l'aveva voluto. Anche se si era allontanato per paura. Quella maledetta paura.

In quel periodo si parlava spesso di lui, le sue canzoni passavano spesso in radio e ascoltarle gli faceva male. Finché il dolore non divenne sopportabile. Non l'aveva dimenticato, solo si era arreso alla realtà dei fatti: Fabrizio non amava Ermal. Probabilmente era stato un'avventura di qualche mese per provare cosa significasse stare con un ragazzo. Per fortuna, anche in quel caso, c'era stato la musica a salvarlo.

I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta. Il tenero viso di sua sorella fece il suo ingresso nella stanza. Gli aveva portato un tè e dei biscotti. Sorrise pensando di non meritare quelle attenzioni. Anche Sabina sorrise. «Mi dici che c'hai?» dal suo tono trasparivano dolcezza e preoccupazione. «Mancanza» rispose sincero. «E di chi?»
«Forse un giorno te lo dirò, ma non in questo momento». La donna sbuffò e poggiò il tè sul comodino. «Questo te lo lascio qui. Non hai manco mangiato a pranzo, perciò ho pensato avessi fame». Si fermò un attimo prima di uscire dalla stanza. «A te mancherà pure qualcuno che io non conosco, ma a noi tu manchi di là. Hai proposto tu questa vacanza, non puoi essere proprio tu a boicottarla».
Ermal sorrise ripromettendosi che sarebbe andato dalla sua famiglia perché adesso doveva pensare solo a loro. Loro che non vedeva da tanto. Loro con cui aveva vissuto i giorni più duri e più bui della sua esistenza. Meritavano di stare insieme ed essere felici.

Dopo aver lasciato casa dei suoi, Fabrizio si era recato in studio di registrazione. Dove avrebbe iniziato a provare per il concerto al Fabrique che sarebbe stato il mese dopo. Quando fu quasi ora di cena, vide i suoi musicisti stanchissimi e concesse loro di andare a casa. «A proposito di cene e case», iniziò Claudio. «Domani sera Roberto Cardelli ci ha invitato a cena da lui. Ha detto che vuole farci conoscere un amico suo che non so da dove viene, non mi ricordo.» Fabrizio sbuffò, odiava le cene, le odiava soprattutto in quel momento in cui non avrebbe voluto far altro che fermarsi un attimo a riflettere su ciò che gli stava accadendo. Si sedette sul divano e si mise a pensare.
La sua mente ritornò a diciotto anni prima in cui aveva conosciuto Ermal per la prima volta. All'epoca era ancora dedito a droga, alcol, e donne. Ermal era stato un faro, la luce di cui aveva bisogno. E non aveva fatto niente di straordinario, solo l'ordinario. Erano stati bene in quei mesi, erano molto più che amici, almeno da parte sua. Però si era reso conto che lui non era adatto ad Ermal. Quel riccioletto aveva già i suoi casini, un passato difficile e pesante da superare e lui l'avrebbe incasinato ancora di più, con la droga, l'alcol, il fumo. Così era sparito. A settembre non si era fatto più trovare al solito posto. Nel frattempo era pure stato cacciato di casa da suo padre. «O la roba o noi, devi scegliere», aveva detto. Fabrizio all'epoca era ancora troppo debole per dire di no a quella vita di vizi e riuscire a dimenticare Ermal senza il supporto di un qualcosa che lo sballasse, e aveva scelto la droga. Così aveva preso i vestiti, la chitarra, il suo block-notes ed era partito senza ben sapere dove andare. Per un primo periodo si era appoggiato ai suoi amici. Poi aveva il lavoretto all'hotel era diventato quasi stabile e aveva potuto affittare una stanza per studenti. Era riuscito a disintossicarsi con l'aiuto di un buon dottore, qualche amico fidato e un percorso in comunità durato due anni.
E poi aveva incontrato Giada che gli aveva cambiato la vita. Era stato grazie a lei che aveva ricucito i rapporti con la sua famiglia e sempre grazie a lei era riuscito a rimettere in sesto la sua anima ed il suo cuore. Si erano innamorati ed avevano deciso di metter su famiglia. Una storia da romanzo, in pratica.

Si ridestò quando sentì lo squillo del telefono, era Giada. «Giadì» sospirò.
«Fabrì, tutto bene?» Fabrizio annuì anche se lei dall'altro lato del telefono non poteva sentire. «Te sento 'n po' giù».
«È solo stanchezza. Oggi abbiamo provato tutto il pomeriggio e sono stremato». In parte era la verità. «Senti i piccoletti?»
«Sono a casa con la baby-sitter, io sono ancora in studio». Chiuse gli occhi e reclinò il capo, cercando di apparire il più sereno possibile. «Fabrì».
«Mmh».
«Vai a casa. Sei distrutto, non stai bene, lo si sente dalla voce. Dormi un po' che ormai non c'hai più l'età per fare le ore piccole» Fabrizio rise di gusto. «Che stronza che sei!»
«Ciao Fabrì. Buonanotte e guida piano, vorrei ancora un padre per i miei figli». Le augurò la buonanotte poi sorrise e chiuse la chiamata. Si mise in macchina e tornò a casa.

Amici mai || MetaMoroWhere stories live. Discover now