Capitolo 8.

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Dal giorno successivo all'intervista, per Fabrizio sarebbe iniziata una settimana intensa, che si sarebbe conclusa con il concerto al Fabrique del giovedì successivo. Fece moltissime interviste in radio e con varie riviste e se non era in giro per la promozione era in studio a provare. Furono proprio quegli impegni a salvarlo leggermente dal suo fiume di pensieri che scorreva quasi ininterrottamente. Spesso nelle pause tra una prova e l'altra si ritrovava a fissare il vuoto e pensare a quei riccioli, a quel corpo pallido, alla sua voce, al suo profumo. «Si può sapere che c'hai?» chiese un pomeriggio Claudio. «Ah? Niente» rispose distrattamente. «Fabrì, ti conosco da troppo tempo per crederti» aggiunse. «C'hai sempre la testa fra le nuvole. Anche mentre proviamo, è evidente che pensi ad altro». Fabrizio sospirò di fronte alle macerie del muro di indifferenza che si era creato.

Non poteva dirglielo. Era ancora presto.

Evitò di guardarlo in faccia girando la faccia dal lato opposto. «Fabrì, Maurizio mi ha raccontato dell'attacco di panico».
«Può succedere, è un periodo stressante. Non sono abituato a gestire il successo, lo sai». Tornò a guardarlo in faccia; lo sguardo fisso nei suoi occhi. «Sappiamo benissimo entrambi che non è questo». Fabrizio sbuffò. «E cos'è allora?»
«Non lo so. Me lo dovresti dire tu!»
«Claudio io t'ho detto che è solo stress. Passato il Fabrique passerà. Nun te preoccupa'» disse sorridendogli e dandogli una pacca sulla spalla. «Tutt'apposto?» chiese Andrea che era entrato in quel momento. Fabrizio guardò Claudio che non aveva uno sguardo pienamente convinto. «Sì, dai. Riprendiamo le prove».
«Sì, tutto bene» aggiunse Claudio con un sorriso beffardo «Fabrizio si è innamorato!». Il moro si girò di scatto fulminandolo con lo sguardo.

Lui non era innamorato. Era un illuso. E doveva lasciare Milano il prima possibile perché sapere di essere nella stessa città di Ermal lo faceva letteralmente impazzire. «Non è vero!» esclamò come facevano i suoi figli.
«Wohoo e chi è la fortunata?» commentò Andrea canzonatorio.
«Nessuna perché non è vero!» ribadì.
«Io lo so chi è!» si intromise Maurizio. «Silvia Notargiacomo. È una conduttrice radiofonica, però è già impegnata». Meno male che sono le donne ad essere pettegole pensò Fabrizio accasciandosi sul tavolo. Voleva sprofondare. Li lasciò parlare per buoni dieci minuti distaccandosi mentalmente dai loro discorsi intento a cercare un modo per smettere di pensare ad Ermal. Venne risvegliato dai suoi amici, che avevano ancora il volto provato dalle risate. «Visto, ve l'ho detto. È innamorato!» esultò Claudio.
«Vaffanculo Clà» sbuffò Fabrizio. 

Ermal aveva giurato a sé stesso che non avrebbe mai più sentito parlare di Fabrizio Moro per tutta la sua vita: se l'avesse sentito in radio avrebbe cambiato stazione, se l'avesse incontrato a qualche evento l'avrebbe evitato, se l'avesse rivisto ad Amici, com'era già successo, avrebbe fatto l'indifferente.

Eppure lui era lì. Chiuso in macchina a fare giri e giri di chiamate per tentare di racimolare un biglietto per la data di Fabrizio al Fabrique di Milano. Nonostante fosse il suo compleanno e lo avrebbe dovuto passare con la sua ragazza. Ma in quel momento, quando pensava all'amore la sua mente tornava all'estate di diciotto anni prima, quando aveva conosciuto Fabrizio.

Quella sera Ermal sapeva che non sarebbe stato un sabato sera normale. Per la prima volta gli Ameba 4 si esibivano fuori dalla Puglia. Certo, era il locale di un amico, ma era pur sempre meglio di niente.
Si presentarono al locale all'orario prestabilito dal proprietario, quando ancora la folla del sabato sera era del tutto assente. C'era solo un ragazzo magro con i capelli a caschetto seduto ad un tavolo. Ermal venne catturato dalla sua immagine solitaria perché stava scrivendo qualcosa su di un foglio, talvolta scarabocchiando e cancellando. Era così immerso che non si era manco accorto del loro arrivo, aveva il tatuaggio di un'indiana sul braccio, poco più giù della spalla; Ermal istintivamente si chiese se fosse la sua ragazza.

Il proprietario era un affabile uomo sulla sessantina, guardò quel ragazzo sorridendo, poi notando che Ermal era focalizzato su di lui disse: «Lui è un cliente abituale. Viene qui ogni pomeriggio ma ancora so poco di lui, solo che frequenta un brutto giro, ma si vede che è un bravo ragazzo. Magari dopo la serata ve lo presento». I ragazzi annuirono, poi si fermarono a discutere del pagamento ed infine la serata iniziò.

Prendere in mano la chitarra, per lui era sempre una grandissima emozione. Suonava da soli due/te anni, ma doveva ammettere di essere abbastanza bravo, tant'è che era proprio lui il chitarrista del gruppo. La serata passò tranquilla, la scaletta era composta da alcune loro canzoni e da alcune cover e tutto andò come previsto. Scesero dal palco e si diressero verso il proprietario, di nome Enrico, che stava parlando col misterioso ragazzo di qualche ora prima ed un altro ragazzo. «Ragazzi!» esclamò agitando una mano per farsi vedere. «Come promesso, lui è Fabrizio e lui è Matteo». Entrambi i ragazzi avevano l'aria provata, erano magrissimi e sembrava che un tir fosse passato sui loro corpi un'innumerevole serie di volte. Ermal, Fabio, Tullio e Luca si presentarono a turno. «Piacere, Fabrizio», disse il ragazzo col caschetto e l'indiana tatuata sul braccio. Ermal sorrise educato rispondendo alla stretta di mano. Aveva una voce calda.

«Lo sapete che anche lui suona? E scrive!», disse una volta che Matteo si fu allontanato. Il ragazzo tatuato lo guardò male. «Ma i cazzi tua quando?» chiese Fabrizio seccato.

«Ah sì? E cosa suoni?» si intromise Ermal curioso.

«'A chitara».

«Guarda che coincidenza, la suono anche io!» disse Ermal facendolo ridere. La sua risata era calda e bella e raramente Ermal aveva sentito delle belle risate. Nel frattempo i suoi amici erano andati a prendersi una birra, così erano rimasti solo loro due a parlare. «Nun è vero che scrivo, comunque» aggiunse sulla difensiva.

«Non c'è niente di male a scrivere canzoni, lo faccio anche io» rispose Ermal facendo spallucce. Fabrizio abbassò lo sguardo torturando l'etichetta della bottiglia. «No, io non scrivo perché nun so' capace».

«Vedremo» rispose semplicemente Ermal. Rimasero in silenzio così il riccio si fermò a contemplare il suo corpo esageratamente magro e consumato. Sembrava molto più vecchio dell'età che probabilmente aveva. «Siete stati bravi» commentò Fabrizio poco dopo.

«Grazie», rispose Ermal.

La loro conversazione venne interrotta da alcuni ragazzi che chiamavano a gran voce "Moro", Fabrizio alzò lo sguardo e si congedò da lui ed Ermal l'aveva seguito con lo sguardo finché non era uscito dalla porta, quel ragazzo lo incuriosiva. «Bel tipo, vero?» chiese Enrico prendendo la bottiglia di birra che aveva lasciato il ragazzo.

«È curioso» rispose. «Cosa intendevi prima, quando dicevi che frequenta cattive compagnie?»
«Che quei ragazzi che l'hanno chiamato adesso sono gli amici con cui assume pasticche e alcol. Non so dove si posizionino di preciso, so che avevano iniziato a farsi dietro il locale ma gliel'ho impedito. Adesso non so dove si sono spostati, probabilmente qualche traversa più in là» Ermal annuì.

«Perché si vergogna a dire che scrive?» l'anziano uomo alzò le spalle.

«Perché ha bisogno di sentirsi forte ed invincibile e forse considera la musica una debolezza. Forse perché i suoi amici se scoprissero che scrive canzoni lo considererebbero un debole. Non lo so di preciso». Ermal sorrise e poi ritornò dai suoi amici.

Dopo l'ennesima chiamata, Ermal era finalmente riuscito ad ottenere il biglietto per il Fabrique. «C'è ancora qualche pass per il backstage, lo vuoi?» gli chiese un tizio della Sony. Io Fabrizio Moro non lo voglio più vedere, vado lì solo per curiosità, pensò. «Vabbè, sì dai!» disse.
«Non sapevo che tu e Fabrizio foste così amici» commentò il tipo, stuzzicando i nervi a fior di pelle di Ermal.
«Non lo siamo infatti». Il ragazzo lo guardò interdetto. «Senti mi vuoi dare sto pass o devo aspettare la fine del concerto?» chiese innervosito.
Una volta ottenuti pass e biglietto uscì dall'edificio felice come una Pasqua e si diresse verso la macchina. La sua serenità durò una frazione di secondo.

Cosa avrebbe detto a Silvia?

Tu sei nella mente mia,
Io nella mente tua.
(Romantica se ti va – Fabrizio Moro)

Amici mai || MetaMoroWhere stories live. Discover now