Capitolo 19.

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Un timido raggio di sole quasi autunnale costrinse Fabrizio ad aprire gli occhi. Nonostante l'aria di settembre fosse più leggera rispetto a quella dell'estate appena passata, faceva ancora abbastanza caldo da permettergli di dormire con una magliettina leggera e un lenzuolo di cotone da usare all'occorrenza. Fortemente infastidito da quel risveglio, sbuffò e si girò dall'altra parte, tuttavia il sonno non accennava a tornare, anzi aveva proprio l'aria di essersene andato del tutto. Si passò una mano sul viso poi si sedette sul bordo del letto. Sospirando si alzò dal letto e scese giù in cucina per fare colazione.

La calma apparentemente piatta con cui era cominciata quella giornata sembrò cessare improvvisamente. Infatti non appena si sedette per bere il suo tè, il suo telefono comincio a vibrare. Resistette all'impulso di lasciarlo squillare tanto chiunque fosse, sarebbe stato a conoscenza che a quell'ora sarebbe stato irraggiungibile. I propositi da vecchio antipatico, però, svanirono nel momento in cui lesse un nome di cinque lettere sul display. Si schiarì la voce cercando di non farla risultare ancora troppo addormentato. «Fabrizio buongiorno!» esclamò una voce squillante dall'altro lato del telefono.
«Buongiorno» rispose lui giocherellando col cucchiaino.
«Mi manderesti il tuo indirizzo, per favore?» sul volto di Fabrizio si formò un'espressione accigliata.
«A che te serve?» Ermal ridacchiò.
«Sai com'è ancora non sono un indovino. Ti ricordi che oggi pomeriggio dobbiamo venire da te io ed Andrea, vero?»
Panico. Adesso Fabrizio provava proprio panico.

Guardò lo schermo del telefono per vedere che giorno fosse. Mercoledì. Aveva dato appuntamento ad Ermal e ad Andrea Febo per mercoledì pomeriggio, per iniziare la stesura della canzone. Solo che se n'era completamente modificato.
«Cazzo» mormorò.
«Ancora?» chiese Ermal stuzzicandolo. «Certo che non riesci a pensare proprio ad altro!» Fabrizio si riportò il telefono all'orecchio e lo sentì sogghignare.
«Ma che cazz...?» chiese confuso. A quel punto il più giovane scoppiò a ridere di gusto. Probabilmente se fosse stato davanti a lui lo avrebbe visto reggersi ai lati della sedia per non cadere.
«Com'è che dite voi a Roma? Aridaje?» disse tra le risate. Un accenno di risata comparve sul suo viso.
«Te manno l'indirizzo» disse chiudendo la chiamata per evitare di peggiorare ulteriormente la sua situazione già abbastanza compromessa. Adesso rimaneva solo una cosa da fare: pulire la casa.

Dopo aver fatto una doccia, accese Spotify e si arrese al suo duro destino. Si armò di aspirapolvere, secchi e mazza e iniziò la sua lunga mattinata. Di tanto in tanto si domandava perché non avesse una signora delle pulizie, un qualcuno che lo aiutasse nelle faccende domestiche, maledicendosi di averci pensato solo in quel momento. Sistemò il salone, cercando di sistemare le cose al millimetro, poi passò alla cucina dove lavò i piatti, il piano cottura, poi passò l'aspirapolvere e lavò il pavimento.

Poi fu il turno delle stanze, prima quella dei bambini, in cui era rimasto qualche giocattolo sparso, e poi la sua. E infine lo studio. C'erano dei fogli sparsi a terra qua e là perché la sera prima aveva buttato giù qualche verso e qualche accordo che aveva appuntato su un foglio per non rischiare di dimenticarlo. Alzò le tapparelle elettriche e poi aprì le finestre per permettere alla stanza di prendere un poco d'aria.

Una volta finite le pulizie si gettò a peso morto sul divano, portandosi una mano sull'addome e si mise a fissare il tetto, senza una reale motivazione se non la stanchezza ed un leggero mal di schiena causato dalle pulizie fatte fino a poco prima. La musica dei Radiohead continuava ad andare avanti ma lentamente iniziava ad affievolirsi, sovrastata dal rumore dei ricordi.

Sanremo 2010.

Fabrizio era appena entrato all'Ariston quando lo vide. Intorno a lui c'erano anche altri ragazzi con cui era abbastanza affiatato. Lo vedeva che rideva e scherzava. Era tranquillo, sereno. Non sembrava che la sua vita fosse stata rovinata, anni prima, da un certo Fabrizio Mobrici. Fabrizio, dal canto suo, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e sapeva che, probabilmente, se solo avessero incrociato i loro sguardi sarebbe successo l'inevitabile. E non poteva, Libero era nato solo da pochi mesi, non poteva già rovinare quella sua brevissima vita. Tuttavia era contento che avesse trovato una sua strada nella musica, vederlo lì a Sanremo gli fece provare una punta di orgoglio, perché era un gigante e meritava di stare tra i giganti.

Rimase a fissarlo per tutta la durata dell'intervista, aveva i ricci poco definiti rispetto a come li portava di solito, fisicamente stava leggermente meglio rispetto a come l'aveva lasciato, aveva messo su 1-2 kg in più che non guastavano sul suo fisico. Come al solito lo vide gesticolare mentre faceva qualche battuta o raccontava qualche aneddoto divertente che aveva fatto ridere il resto del gruppo. Sorrise anche Fabrizio di rimando, nonostante sapesse che non lo avrebbe visto perché gli dava le spalle. Era la prima volta che lo vedeva dopo 10 anni e forse sarebbe stata anche l'ultima volta.

Ermal si trovava a Roma per una piccola pausa dal suo tour estivo che sembrava infinito. Avrebbe avuto ancora un paio di date a fine settembre e poi, a novembre, avrebbe avuto il tour all'estero. Ne avevano approfittato con Fabrizio per vedersi ed iniziare a buttare giù qualcosa. Era già stato informato dal collega che esisteva un ritornello a cui potevano tranquillamente rifarsi. Era già un buon punto di partenza. Si erano dati appuntamento nel pomeriggio, intorno alle 17, non era stato poi chissà quanto preciso, come sempre.

La chiamata con Fabrizio quella mattina lo aveva messo di buon umore, tant'è che aveva iniziato a scrivere qualcosa per il nuovo album che stava progettando. "E tu lo sai che il tempo non ci ferma, non funziona". Questa frase continuava a ronzargli in testa perché tra loro due era stato sempre così. Non si erano mai fermati, si erano sempre inseguiti, a distanza di sicurezza, per non essere visti e per la paura di farsi male, ma erano presenze costanti nelle loro vite.

Preso da quel flusso di pensieri imbracciò la chitarra e iniziò a suonare quella che poteva essere la melodia della canzone che aveva in testa. Trascrisse gli accordi che gli sembravano più adatti a quel tipo di canzone. Cercò delle parole che fossero abbastanza musicali e che potessero descrivere al meglio l'essenza della canzone. Quando improvvisamente la soluzione arrivò: «Io mi innamoro ancora» sussurrò. Era vero? Si sta innamorando ancora? O semplicemente non aveva mai smesso di essere innamorato di Fabrizio? In entrambi i casi sarebbe stato un casino. Il moro era stato chiaro fin dall'inizio: solo amici. Ma Ermal sapeva che era una bugia per entrambi. Non sarebbe stato facile rimanere solo amici per due che si erano amati tanto come loro. Lo diceva anche Venditti, no? "Amici mai, per chi si cerca come noi" e Dio solo sa quanto si erano cercati, per tantissimo tempo, anche inconsapevolmente.

Con la testa ancora fra le nuvole, poggiò la chitarra sul letto e uscì da quella stanza d'hotel per prendere un taxi e andare da Fabrizio. Abitava fuori Roma, perciò ci sarebbe voluto un po' di tempo. Nel frattempo nella sua testa si alternavano frasi della canzone di Venditti alla sua ultima composizione che non era poi tanto sicuro di voler inserire nell'album. Sembrava un'accozzaglia di cose, di sentimenti che non riuscivano a venir fuori in nessun modo. Arrivò a destinazione dopo circa 40 minuti. Scese dal taxi prendendo un respiro profondo. Si aggiustò la maglietta da alcune pieghe invisibili e si incamminò verso la porta di casa.

D'improvviso tutta la spavalderia che aveva mostrato la mattina al telefono era sparita. Adesso l'ansia gli opprimeva il petto peggio di quando doveva salire sul palco. Sospirò profondamente prima di suonare. La mano tremava vistosamente, così decise di metterla in tasca. «Ho dimenticato la chitarra» osservò nel momento in cui Fabrizio apriva la porta. Il romano sorrise divertito. Ermal ricambiò leggermente imbarazzato.
«Adesso nun so' io quello che ha salutato nel modo sbagliato» disse. Ermal fece un sorriso sghembo.
«Touché» rispose con un'alzata di spalle. Il moro lo invitò ad entrare.

Il soggiorno della casa era veramente molto bello, tant'è che Ermal ne rimase incantato. Le pareti erano di un bianco splendente, al centro c'era un tavolino in cui vi erano impilati dei libri, probabilmente più per scenografia che per reale interesse, e qualche centro tavola. Alle pareti vi erano delle librerie in cui più che libri vi erano riposti cd e vinili, il susseguirsi delle librerie era interrotto solo da un mobiletto su cui si poggiava la televisione posta di fronte al divano in ecopelle nera e da qualche quadro che Ermal non aveva mai visto.
 «Ciao Ermal» disse Fabrizio sorridendo e porgendogli una birra.
«Ciao Fabrizio» rispose Ermal facendo scontrare la sua bottiglia con quella del moro. 

Fermati, fermati, fermati qui

Consapevole ormai di ogni errore passato 

saremo noi due in un astro di luce 

che emana splendore 

saremo energia e calore.

(Buongiorno alla vita - Noemi) 

Amici mai || MetaMoroWhere stories live. Discover now