Capitolo 18.

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Fabrizio tornò nella stanza più meno per le quattro di notte. Ermal era rimasto a parlare fino alle due e mezza, più o meno, e poi era rimasto lì da solo a rimuginare. Si chiedeva se avesse fatto bene ad omettere quel piccolo dettaglio dell'essere stato intimorito da qualcuno, era contento, però, di avergli raccontato la verità. Si sentiva il cuore più leggero e leggermente meno in colpa. L'aria estiva della notte lambiva la pelle di Fabrizio provocandogli piccolissimi brividi, sentiva la stanchezza della giornata gravare su di lui ma nonostante ciò non aveva voglia di andare a dormire. Nella sua testa i pensieri si susseguivano ininterrottamente alternandosi a qualche ricordo dei tempi passati.

Non poté fare a meno di sorridere pensando a qualche istante prima, quando aveva chiesto ad Ermal di scrivere una canzone con lui. Che poi non era una canzone qualsiasi, era LA canzone. Lo sapeva che aveva pensato a Renga o Nek, ma chi li conosceva? Avrebbe dovuto contattarli, conoscerli, mettersi d'accordo con le case discografiche e non ne aveva tutta sta voglia. C'era Ermal, si conoscevano, si erano trovati bene, avevano chiarito, almeno in parte, il loro rapporto e in più sarebbe stata una scusa per cercare di mantenerlo il più neutrale possibile. Perché avrebbe dovuto cercare altre persone se bastavano loro due? Sentendo la testa troppo pesante decise di andare finalmente a dormire.

La mattina dopo si svegliò sentendo Claudio trafficare per la stanza. Emise un suono roco e si coprì la faccia con il cuscino. «A Fabrì svejate» disse il maestro. «Dobbiamo riparti' movete» continuò.
«Nun c'ho voja d'arzarmi dal letto» protestò.
«E smettila! A che ora te sei coricato?». Troppo stanco per parlare ulteriormente, mimò un quattro con la mano destra. Sentì qualche borbottio di Claudio e poi decise di alzarsi, giusto per non sentirlo più parlare. Di prima mattina era particolarmente irascibile, soprattutto quando aveva addosso poche ore di sonno. Prendendo il cellulare per verificare le notifiche, notò che in realtà non aveva dormito poi così poco, erano le 12 del mattino.
«Ma nun me potevi sveja' prima?» chiese rivolgendosi a Claudio. L'amico gli lanciò un'occhiataccia fin troppo eloquente che permise a Fabrizio di capire le sue ragioni senza troppe cerimonie.

Dopo essersi fatto una doccia ed essersi sistemato, lui e Claudio scesero sotto per pranzare o fare colazione, dipendeva dai punti di vista. «Fatte le valigie?» chiese Maurizio. «Ma che te sei appena svejato?» aggiunse guardando la faccia di Fabrizio. L'uomo si grattò la nuca imbarazzato senza dare realmente una risposta.
«Vabbè, entro le 14 dobbiamo lasciare l'hotel» specificò Max.
«Nun ve preoccupate. Dobbiamo posare le ultime cose e le valigie ci sono» rispose Claudio. Fabrizio amava stare sul palco. Era nato per farlo. Lo seppe con certezza quel giorno in cui impugnò la chitarra per la prima volta e avrebbe continuato a suonare finché il suo fisico avrebbe retto. Ma odiava dover lasciare la sua famiglia, i suoi bambini, spesso dover sacrificare i compleanni, i capodanni o le feste, spostarsi da una parte all'altra dello Stivale senza sosta e in pochissimo tempo poteva essere stancante. Ringraziò il cielo che quel giorno sarebbe stato un giorno di viaggio, almeno avrebbe potuto riposarsi, nonostante le condizioni poco comode.

«Hai parlato con Renga?» chiese Max una volta che si furono accomodati a tavola. Già. C'era quel piccolo dettaglio di cui i suoi manager non erano stati informati.
«No» rispose semplicemente.
«Be', puoi andare ora, sta mangiando qualche tavolo più in là». Fabrizio si girò nel punto che gli era stato indicato ma ben presto si accorse che il suo sguardo vagava per la stanza alla ricerca di un altro paio di ricci. Tornò deluso ad osservare il suo piatto, probabilmente era partito la mattina.
«C'è stato un piccolo cambio di programma» cominciò giochicchiando con la forchetta. «Non voglio più duettare con Renga. Ieri ho conosciuto Ermal Meta e abbiamo scoperto che il problema che anche lui ha ricevuto messaggi simili a quelli che ho ricevuto io. Mi sono trovato molto in sintonia con lui, quindi io...ehm» Fabrizio sapeva che chiedere direttamente al cantante di duettare, senza prima comunicarlo ai manager, non era una mossa particolarmente saggia, però ormai l'aveva fatto, no? Non potevano più tirarsi indietro. «...ecco io gli ho chiesto di duettare».
«Che cosa?» chiese Maurizio. «Perché non ce l'hai detto prima? Perché l'hai chiesto direttamente a lui?» Fabrizio sospirò conscio del suo errore.
«Lo so, scusate, ma ci siamo trovati talmente tanto bene che mi è venuto spontaneo. E poi suona meglio Moro-Meta di Moro-Renga».
«È lui vero?» gli chiese Claudio sotto voce.
«Eh?» rispose Fabrizio confuso.
«Ermal è il ragazzo di Milano?» Fabrizio abbassò la testa in notevole imbarazzo, tornando al suo piatto di pasta.
«No, perché dovrebbe essere lui?» cercò di mascherare l'imbarazzo con un boccone di rigatoni. «Perché è appena entrato e ti sta mangiando con gli occhi».

Ermal era entrato nella sala da pranzo e il suo sguardo era stato subito accidentalmente caduto su Fabrizio Moro. Accidentalmente, sì, era più falso di una bancarella che vende merce taroccata. Si morse l'interno della guancia per cercare di scacciare ogni pensiero impuro. Fabrizio era stato categorico, non avrebbero avuto niente di quello che c'era stato in passato. Doveva mettersi l'anima in pace. Come se fosse facile.

Si accomodò nel tavolo dove c'era già la sua band, «Ma dove sei stato ieri sera? Sei tornato tardissimo» gli chiese Marco, il suo chitarrista. Ermal non sapeva se mentire o no. In fondo cosa c'era di male a parlare con un collega fino a tardi?
«Ho conosciuto Fabrizio Moro. Siamo rimasti a parlare per un bel po'» rispose semplicemente. «Veramente?» chiese Vigentini emozionato.
«Sì, perché?»
«Perché io lo adoro! Anni fa sono stato ad un suo concerto è magnifico. Domina il palco con una semplicità strabiliante! Era Carroponte nel 2013, se non sbaglio», Ermal non poté trattenere un sorriso orgoglioso ripensando a quel ragazzo insicuro al bancone di un bar.
«Non sapevo ti piacesse così tanto» osservò.
«È tipo una passione segreta» rispose ridendo.
«Ti capisco» soffiò.
«In che senso?» chiese Emiliano.
«No, dico, anche a me piace tantissimo, da molto tempo». Salvato in calcio d'angolo. «Mi piace artisticamente, intendo».
«In che altro senso potrebbe piacerti, scusa?» chiese Dino divertito.
«No, ehm, intendevo che... oh è arrivato l'antipasto!». Ermal aveva iniziato impercettibilmente a sudare. Perché era così coglione? Sarebbe bastato fermarsi alla prima frase e invece aveva dovuto proseguire.

Finito il pranzo, il riccio andò a fumare una sigaretta prima di portare giù le valigie. «Ermal». La sua voce gli provocò un fremito. «Posso disturbarti un attimo?». Ermal annuì aspirando del fumo della sigaretta.
«Vuoi?» chiese porgendogli una sigaretta. Il moro rifiutò. «Fumi ancora solo Marlboro?» chiese l'albanese con un sorriso divertito.
«Rigorosamente» rispose. «Ti devo parlare».
Quando una persona ti dice queste tre parole, che tu sia colpevole o innocente ti passano davanti tutti i tuoi errori, da quella volta che hai fatto quel dispetto a quella compagnetta d'asilo, fino all'ultimo sgarbo che hai fatto ad un amico. Ermal rimase immobile sul posto, come immobilizzato. «Ho fatto un mezzo casino» esordì. Ermal lo invitò a continuare. «Ho detto al mio staff che faremo una canzone insieme». Ed Ermal non resistette. Cercò di frenare l'impulso, ma fu più forte di lui. Gli tirò una botta sul braccio. «Ma che te sei 'mpazzito?» chiese Fabrizio indietreggiando.
«Ti hanno mai detto che non si inizia un discorso con "ti devo parlare" quando è una cazzata?». Fabrizio lo guardò senza capire cosa volesse dirgli l'amico. «Mi era preso il panico» spiegò «Pensavo volessi tornare all'indifferenza più totale». Vide Fabrizio sorridere compiaciuto e mormorare "scusa".
«E famola» disse Ermal. «Scriviamo questa canzone». Fabrizio lo abbracciò e poi tornò verso l'hotel.
Ermal, invece, lo osservava sorridendo, felice di aver aperto quel nuovo capitolo della sua vita.

E lo capisco mentre te ne vai

Casa è dove tu

Mi penserai.

(Giordana Angi - Casa)

Amici mai || MetaMoroWhere stories live. Discover now