Capitolo 21.

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Scorre un fiume e assomiglia alla vita

E la nostra sembrava in salita

Non è vero, era solo paura

Di affrontare la parte più dura.

(Odio le favole - Ermal Meta)

Fabrizio osservava la nuvola di vapore che si era formato nel bagno senza sapere cosa fare. Aveva ricominciato a parlare con Ermal, si erano baciati, sarebbero anche andati oltre, se Andrea non fosse arrivato e poi adesso avevano una lunga collaborazione davanti.
Cosa doveva fare a quel punto? Dirgli la verità riguardo a ciò che era successo anni prima, oppure sarebbe stato meglio tenerlo all'oscuro? Da una parte sentiva il bisogno di dirglielo per liberarsi di un peso che lo angosciava da ormai diciassette anni, e poi perché avrebbero costruito questo nuovo rapporto sulla base di una bugia, dall'altro lato però era fermamente convinto che forse era meglio tenersi tutto per sé, no? Tanto alla fine dovevano solo condividere lo studio qualche ora, dividersi le strofe, scrivere gli spartiti dei vari strumenti, girare il video... Sbuffò passandosi una mano sul volto mentre la sua testa non si dava pace. Si vestì velocemente e decise di chiamare Giada. Convinto che lei sapesse sempre cosa fare in queste situazioni.

Con Giada si era aperto fin da subito. Sapeva che nella sua vita c'era stato questo ragazzo prima di lei e aveva capito quanto Fabrizio ci avesse tenuto e quanto ne avesse sofferto. Ai tempi gli aveva anche detto il nome, perché non aveva tutti quei paletti che si erano creati nel tempo dovuti alla successo che entrambi avevano intrapreso con le loro carriere. Fabrizio aveva invitato Giada a casa sua, Libero era a calcio e Anita a casa di una compagnetta, così aveva qualche ora libera e di tregua. «Allora, spera che sia una cosa veramente importante perché io in mezzo alle campagne, l'unico giorno che avevo un po' di tempo per me, non ci sono venuta per niente!» disse puntandogli l'indice contro.
Fabrizio sorrise e la fece accomodare in cucina offrendole un bicchiere di vino. «Ho bisogno di un consiglio».
«Vai» disse sorseggiando un po' del liquido rosso contenuto nel calice.
«Ti ricordi di quel ragazzo con cui stavo prima che ci conoscessimo? Te ne avevo parlato prima che iniziassimo ad uscire seriamente» iniziò, attanagliato dal dubbio se parlare con la sua ex della sua vita sentimentale attuale fosse una buona idea.
«Sì, certo che me lo ricordo. Aveva un nome strano, iniziava con la E...» portò l'indice e il pollice sul mento, sollevando leggermente la testa all'insù, com'era solita fare quando si sforzava di pensare. D'un tratto sgranò gli occhi e saltò giù dalla sedia.
«Ermal» disse con un filo di voce. «È quell'Ermal?» chiese. Fabrizio annuì guardandosi i piedi. «Oh» mormorò. «Come stai?» chiese dopo un momento di silenzio in cui nessuno dei due sapeva cosa dire.
«Come devo stare Giadì? Lo amo ancora». Giada annuì consapevole. Sapeva che in parte il loro rapporto non era durato perché Fabrizio sentiva ancora il peso del senso di colpa per aver abbandonato Ermal.
«E cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so» sbuffò. «È per questo che ti ho chiamato. Non riesco a capire se devo raccontargli quello che è successo in hotel o no».
«Prima dovresti capire quali intenzioni hai con lui» iniziò la donna.
«Non andremo oltre il mero rapporto professionale e amicale» rispose Fabrizio facendo spallucce.
«Che te magnato 'n vocabolario stamattina?» chiese Giada per alleggerire la tensione e facendo sorridere Fabrizio. «Perché non ci riprovate?» Fabrizio strabuzzò gli occhi. 

Non aveva manco minimamente pensato a quell'ipotesi. Troppe responsabilità, i bambini, la sua famiglia, le loro carriere, cosa ne sarebbe stato se la storia fosse venuta fuori nei media? È vero, in vita sua non aveva mai dato peso al giudizio degli altri, ma adesso che stava iniziando a raccogliere finalmente quello che aveva seminato nel tempo non sapeva se fare una mossa così azzardata sarebbe stato produttivo.

«Ma come faccio? Come lo si spiega poi ai bambini? E poi a mio padre? Già ora ci parliamo quasi per miracolo, ti immagini se gli dicessi che mi piacciono gli uomini. Anzi, gli uomini e le donne! E poi il lavoro? Sarebbe un casino. I giornalisti, la gente...» rispose mentre si torturava le dita.
«Ma non vedi che sono tutte scuse? I bambini li puoi prendere in tempo, finché sono piccoli non hanno pregiudizi. Tuo padre? È meglio di quanto credi. Sei genitore, dovresti sapere che la cosa importante per un genitore è sapere i figli felici. I giornalisti, la gente? Chi l'ha detto che dovete dirlo in giro? Potrebbe anche rimanere una cosa vostra». In cuor suo sapeva che la sua ex compagna aveva ragione.
«E se poi sarò così preso da lui da non calcolare i bambini?»
«Be' a quel punto sarò costretta a darti 'na pizza 'n testa» rispose facendo ridere entrambi. «L'amore è bello Fabrì, non privartene per delle seghe mentali. Stai raggiungendo quello che per anni avevi sperato. Puoi anche farlo dal punto di vista sentimentale e per di più con un collega che capirà i tuoi alti e bassi molto meglio di me».
«Sei stata una compagna fantastica, Giada» disse Fabrizio per rassicurarla. Il solo fatto che lei pensasse di non essere stata alla sua altezza lo faceva sentire male.
«Anche tu non eri male, sai» Fabrizio si ritrovò a ridere di nuovo. Per questo si era innamorato di Giada, era ironica, intelligente, e bella.
«Dovresti dirglielo, Fabrì. Stai iniziando a lavorare con lui e avete già un passato insieme. Glielo devi. E poi fondamentalmente non gli hai manco mai spiegato perché sei sparito. Dirgli la verità è il minimo che tu possa fare». Fabrizio annuì mesto, fermamente convinto che a volte una bugia può evitare il dolore.
«Che fortuna che avete voi donne a ragionare col cuore» disse lasciandole un lieve bacio sulla fronte.

Erano passati un paio di giorni da quando Fabrizio aveva parlato con Giada. Era convinto che Giada avesse ragione, ma il solo pensiero di dover affrontare quel discorso con Ermal gli faceva tremare le gambe e sentiva il respiro farsi più affannoso. Ermal, nel frattempo, era rientrato dal tour europeo, cosi Fabrizio lo aveva raggiunto a Milano, dove aveva alcune cose da sistemare con la Sony. «Ti devo dire una cosa» esordì. Mentre erano fuori dallo studio di registrazione. Il riccio lo invitò a continuare. «È una cosa complicata» disse mentre dava il primo tiro alla sua Marlboro.
«Fabrizio, mi stai preoccupando» il riccio si bloccò dalla sua camminata.
«Possiamo andare in un posto più tranquillo?» Ermal annuì.
«Vieni, andiamo da me».

Poco tempo dopo arrivarono a casa di Ermal. Era piuttosto vuota. C'era solo l'essenziale, un divano, un tavolino di vetro con un centrotavola di fiori finti, e una televisione, non c'erano foto o ricordi di alcun tipo. «Scusami, mi sono trasferito da poco. Ed è più un appartamento che uso come base per dormire quando sono a Milano che una vera e propria casa».
«Non ti preoccupare, è bella uguale» rispose Fabrizio sincero. Da bravo padrone di casa, Ermal lo fece accomodare sul divano e gli offrì una birra. Aveva bisogno dell'alcol per reggere la conversazione che stavano per affrontare.
«Cosa mi dovevi dire?» chiese Ermal mentre si sedeva a distanza di sicurezza ricordandosi cosa era successo l'ultima volta che erano stati su un divano.
«C'è una cosa che non ti ho mai detto» iniziò passandosi le mani sui jeans per cercare di darsi conforto da solo. Cosa sarebbe successo? Ermal si sarebbe infuriato? L'avrebbe preso per un pazzo, bugiardo? Non l'avrebbe più voluto vedere in vita sua e addio "Non mi avete fatto niente"? Probabilmente. Prese quanta più aria possibile, prima di cominciare il suo racconto sotto lo sguardo impaziente del più piccolo.

«Vedi, quando sei partito per Bari, quell'estate, io sono stato chiamato in un hotel ad Ostia, come ti avevo già detto» si guardò le mani che non aveva smesso di torturare da quando aveva iniziato a parlare con Ermal. «Ed, ehm, ad un certo punto sono stato non aggredito, diciamo messo in guardia».
«Messo in guardia? Da chi?» chiese Ermal con il volto della confusione. Fabrizio nel frattempo era passato a torturarsi i capelli tirandosi il ciuffo.
«Da tuo fratello» disse in un sussurro.
«D-da mio fratello?» ripeté Ermal. Fabrizio annuì senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Non aveva il coraggio di vederlo di nuovo soffrire per colpa sua, perché era stato fragile, perché l'aveva lasciato e si era arreso, perché era stato un codardo.
«Che ti ha detto?» chiese con la voce dura. Fabrizio alzò la testa e vide la mascella serrata e lo sguardo fisso nel vuoto di Ermal. Resistette all'impulso di poggiargli una mano sul ginocchio non sapendo come avrebbe potuto reagire.
«Mi ha detto che dovevo stare lontano da te perché avevi già sofferto abbastanza e io ti avrei portato solo guai». Omise l'ultima parte, forse sarebbe stato meglio così.
«Potresti andare Fabrizio? Ho bisogno di restare un po' da solo» disse dopo un lungo silenzio. Fabrizio annuì.
«Ermal» lo chiamò prima di andarsene. Il riccio di girò verso la sua direzione. «Mi dispiace».

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