Confessione

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Sono passate due settimane dalla mia "confessione", se così vogliamo chiamarla, a Flavio, dal momento in cui ho deciso di mettermi a nudo davanti lui, dal momento che forse ho fatto la puttanata più grande della mia vita: confessare ad un ragazzo, uno stronzo, perché so che è così, anche se sembra essere cambiato (mia nonna diceva che ci nasce tondo non può morire quadrato, ed io so che aveva ragione) , i miei sentimenti.

Due settimane di prove, ogni giorno. Due settimane di Flavio che mi guardava e sorrideva, due settimane di Flavio che insisteva per venirmi a prendere. Due settimane del mio cazzo di dramma personale, dato che mi sono dichiarata a qualcuno per la prima volta in ventotto anni di vita.

Dopo che abbiamo concluso le prove del giorno, come nostro solito, restiamo lì nello studio a scambiare chiacchiere: era diventata la nostra routine e lo studio il nostro posto felice. La situazione era più o meno questa: io ero seduta sulla solita sedia e Flavio mi raggiungeva, si sedeva accanto a me, prendeva le mie mani tra le sue e ci giocava come fossero l’antistress più vicino al lui, anzi, l’unico in suo possesso. Facevo di tutto per allontanarmi ma non capiva, o maglio, non voleva capirlo, perché so, che in fondo, era chiara la mia volontà di non essere toccata da lui. Più cercavo di allontanarmi, più si avvicinava a me, al punto che poggiò la sua testa sulla mia spalla senza lasciare andare le mie mani. Le stesse mani che volevo si dissolvessero, che volevo non esistessero più, per ridurre al minimo il nostro contatto fisico.

- Basta ti prego – riuscii a sussurrare in un attimo di distrazione e gli tolsi le mie mani dalle sue suscitando una reazione inaspettata, sorrise.

La domanda che mi ronzava in testa era sempre la stessa: ma che cazzo gli stava succedendo? Che cazzo voleva da me? Ero stata chiara: niente sentimenti, niente che andasse oltre l’amicizia e mai nessun amico si era comportato così con me, tranne Pietro, ma lui era più di un amico e su questo non ci piove.

Tutti ripresero a parlare, senza notare della nostra breve “conversazione”: se così può essere definita in quanto ero stata solo io a parlare, lui aveva sorriso. Mi era capitato di leggere, pochi giorni prima, del silenzio e della bellezza di viverlo nelle relazione, del silenzio e della sua infinita loquacità. Si diceva che non c’è relazione più bella che quella silenziosa e che non esiste relazione che funzioni nella quale il silenzio è benaccetto. Si diceva, ancora, che quando c’è tensione tra due persone si è soliti riempire quel silenzio, che in questo caso risulterebbe fastidioso, con parole a raffica, parole senza senso o senza logica, parole che in quel momento non ci interessano davvero, parole che usiamo per fuggire da quello stato di quiete e serenità che si è venuto a creare ingiustamente, senza un preciso motivo data la difficile situazione tra i due. Forse era quello che stava succedendo, il silenzio non funzionava tra noi due, non più, o almeno non funzionava dal mio punto di vista, mentre dal suo si. Non ce la facevo più a sopportare tutto quello che stava accadendo.

Presi il mio cellulare, quella era la sera della “reunion dei fagiolini” così rinominata da Fabio data la mia assenza nelle settimane precedenti, aprii la chat whatsapp con gli altri e scrissi:

I fagiolini
Delia, Fabio, Gaia, Mery, Piero, Sara, Tu

Io
raga, mi serve il vostro aiuto>>
qualcuno è disposto a passarmi a prendere dallo studio?>>
vi spiego dopo>>

Ero incasinata, volevo andarmene e mi serviva la scusa per non accettare il passaggio da Flavio che sicuramente si sarebbe offerto volontario per riportarmi a casa. Non persi tempo, mandai tre messaggi in un secondo: era quella la mia caratteristica, disturbare e dare fastidio, riempire le persone di messaggi disconnessi, ma in questo caso era per una buona causa.

Una canzone che non so | GazzelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora