Quando bevo senza te

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È un attimo che tutto ciò che hai di più bello svanisce. Come per una magia, come se le divinità, che ormai ti sono avverse e tutti lo hanno capito a causa delle tante disgrazie che ti capitano, abbiano pronunciato una parola magica che abbia fatto mutare tutto in un grande buco nero. O forse sei proprio tu il buco nero, un qualcosa di sconosciuto, che mai nessuno è riuscito ad esplorare a pieno e che assorbe tutto ciò che gli si avvicina, non assimilandolo e facendolo vivere, bensì distruggendolo, o meglio, facendolo scomparire, inghiottendolo.

Era successo questo, per l'ennesima volta nella mia vita. Il fatto che non sia stata mai una ragazza fortunata, o meglio la prediletta della fortuna, mi era chiaro da tanto tempo. Ma dire che tutto mi andava contro, tutte le azioni che compivo mi si rivoltavano contro e si rivelavano disastrose, non mi era mai capitato prima d'ora: forse è arrivato il momento di affermarlo. La prima volta che andai via da Roma è stata un po' la partenza della mia vita triste, ma non perché fossi triste di andarmene, anzi all'inizio ero felicissima, ero fiera della mia scelta e della mia volontà di fare della mia vita qualcosa di bello, di dedicato al bello, all'arte. Ero fiera, si, poi ho cominciato a sentire la mancanza dei miei amici, fino ad accettare l'invito di un pazzoide, di un musicista indiependete, di uno che credeva nella musica come io avevo creduto all'arte. Di uno che già conoscevo e che si è rivelato uno stronzo, o meglio, ne ho avuto la conferma.

Erano questi i pensieri che mi passavano per la testa. Ero stesa lì sul mio divano senza voler vedere nessuno da giorni, da lunedì precisamente, da quando Flavio mi aveva lasciata lì sola, seduta a quel bancone di un bar che non mi apparteneva, non era il mio solito bar, non era la nostra casa, non era il posto felice dove stare con il mio posto felice, che non si era più rivelato tale.

Era arrivato il momento di affrontare la realtà. Il momento di chiamare mia madre, di comunicarle del mio fallimento, forse di quello che lei attendeva da secoli, o meglio: lei attendeva che io le dicessi di non essere riuscita a realizzare niente, proprio come si aspettava.

Il telefono squillava, ad intermittenza e quel suono mi procurava fastidio, tanto fastidio, più fastidio di quello che mi provocava solitamente. Odiavo aspettare, odiavo dover aspettare che mia madre rispondesse. Poi la sua voce ruppe il silenzio, interruppe quel suono fastidioso che mi stava assordando. Era da quando ero qui che non l'avevo sentita, lo avevo fatto di proposito. Ma ero sicura che non le ero mancata. Mi aveva esplicitamente detto di non condividere la mia scelta, di non chiamarla più, di fare della mia vita quello che volevo e di non tornare a piangere da lei quando non ci sarei riuscita. Sentirla però mosse in me quell'ultimo pezzo di cuore che era rimasto e mi fece sperare che mi perdonasse che dicesse di si, che mi dicesse "torna qui. Ti aspetto".

- Pronto? -

Il mio cuore sobbalzò ancora quando ripeté quella parola poiché non risposi

- Mamma -

Sussurrai, ero intimorita da quello che sarebbe potuto succedere. Da quello che quella telefonata avrebbe potuto produrre

- Cosa è successo? -

Il suo tono cambiò e anche la sua espressione facciale, lo percepivo anche attraverso quel pezzo di plastica, ferro e collegamenti elettronici che permetteva alla sua voce di giungere al mio orecchio.

- Ciao -

Cercai di risultare ironica, ma poi mi resi conto che in quel momento non serviva, andava solo contro di me, ancora, un'altra volta contro di me.

- Ho lasciato la band -

Sputai, non troppo acida. Emisi la parte in cui mi ero fidanzata con il cantante, che aveva fatto pace con il suo migliore amico, che era rientrato nella band, che ero stata messa fuori dai produttori.

Una canzone che non so | GazzelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora