7. Faccia a faccia

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Era ormai passata una settimana dalla morte di mio padre e avevo ancora impressa nella mente la sua lettera, conoscevo l'uomo che mi ha cresciuta e non lo ritenevo possibile il suo gesto ma nessuno voleva darmi retta.

Mi preparai per uscire con Alissa per fare due passi, fuori diluviava ma per me il tempo era perfetto, non c'era niente al mondo che mi faceva sentire più libera che passeggiare sotto la pioggia.

Aspettai Alissa fuori dal reparto mentre accesi una sigaretta, poche ore prima la preparai psicologicamente a uscire con me, non avevo voglia né di parlare né tantomeno di passare il mio tempo con qualcuno ma ormai per tutto quello che successe non potevo uscire senza un accompagnatore al mio fianco.

Vidi scendere Alissa dalla scalinata e decisi di iniziare a incamminarmi, passeggiammo per il sentiero tra i boschi della clinica psichiatrica di Torbsville, saltai tra una pozza e l'altra mentre ascoltavo un po' di musica, ogni tanto mi giravo per vedere se Alissa stesse al passo, era piuttosto divertente vederla turbata per il tempo, per una volta non ero io quella imbronciata.

Pochi passi più avanti ci fermammo ad' una fontanella, Alissa si rifugiò sotto un albero mentre io riempì la mia bottiglietta d'acqua, ci misi poco e subito ripartimmo per il sentiero, Alissa provò un paio di volte ad' attaccare bottone con me, ma come detto in precedenza non avevo voglia di parlare con nessuno.

Una volta ritornati in reparto salimmo le scale per dirigerci nel nostro, il terzo, prima che potessi far ritorno in camera mia, Alissa mi fermò per ricordarmi come al solito dell'appuntamento con lo psicologo alle quattordici e quindici, le feci un cenno come per farle capire di aver compreso, in fondo come facevo a dimenticarmi dell'incontro con José?

Passai tutta la giornata in saletta fumatori, affacciata alla finestra, per ammirare la pioggia che leggiadra cadeva sul prato del giardino.
Mi piaceva quello che stavo guardando, il tempo rispecchiava perfettamente il mio umore, e i tuoni che ogni tanto si sentivano, erano come una melodia che accompagnava i pensieri.

 Mi piaceva quello che stavo guardando, il tempo rispecchiava perfettamente il mio umore, e i tuoni che ogni tanto si sentivano, erano come una melodia che accompagnava i pensieri

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Ordinai il vassoio in reparto, non me la sentivo di avere nessun tipo di contatto sociale. Finito di mangiare tra una forchettata e l'altra si fecero le quattordici e dieci così riordinai il vassoio, presi il telefono appoggiato sul tavolo del cucinino e mi diressi verso lo studio dello psicologo.

Arrivai davanti alla sua porta, non riuscivo a bussare, il cuore mi batteva a mille, aspettai un attimo poi presi coraggio ed' entrai.

-"Ciao Xila". Disse lo psicologo dagli occhi verdi.

-"Salve". Risposi sicuramente arrossendo.

Mi accomodai sulla poltrona beige, appoggiando il mio telefono e altre cose che avevo in tasca, sulla sua scrivania.

-"Allora, come è andata la settimana?" Chiese sistemandosi il maglione bordeaux sul bordo della sedia.

-"Non saprei". Risposi cercando di tenere il contatto visivo.

-"Eppure sono successe così tante cose dall'ultima volta che ci siamo visti". Disse sorridendomi.

Mi bloccai all'istante, a quel sorriso il mio disagio arrivò alle stelle, cosa potevo dire? Come potevo calmarmi? Avrebbe notato tutto quel disagio che provavo?

-"Già." Dissi strofinandomi le mani di nascosto come per calmarmi.

Ogni tanto mi capitava di iniziare a ridere da sola per l'agitazione, solo perché all'improvviso, realizzavo di averlo davanti.

D'un tratto mi vennero in mente tutti gli avvenimenti accaduti negli ultimi mesi, guardai José negli occhi, quasi come avessi dimenticato le mie emozioni nei suoi confronti, poi iniziai a parlare.

-"Mio padre non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai potuto uccidere il suo stesso figlio, né tantomeno togliersi la vita." Dissi con fare apatico.

-" Xila, ormai abbiamo sempre parlato apertamente, tuo padre è stato trovato impiccato e per di più, con una lettera di confessione, nella quale ammette  la sua colpevolezza. Questo è un tipico caso di omicidio-suicidio, atto in cui l'individuo uccide un soggetto prima di suicidarsi. Vero, tuo padre non ha scritto il movente e con questo si può pensare che fosse mentalmente instabile e perciò, non aveva bisogno di un vero e proprio motivo per commettere l'atto."

-"Lei non lo conosceva affatto, se no questo pensiero non le sarebbe passato per la testa." Conclusi io.

Mi alzai dalla sedia e con fare passivo, mi diressi verso l'uscita senza dire una parola, José provò a fermarmi convincendomi a restare ma ogni suo tentativo, si presentò invano.

Il lungo corridoio sembrava una galleria oscura, e il mio cuore batteva con forza contro il petto mentre mi avvicinavo alla porta della mia stanza, la 43. Un sospiro di sollievo sfuggì dalle mie labbra quando finalmente entrai.

Mi sentivo osservata, scrutata da occhi invisibili, e un brivido gelido mi corse lungo la schiena, mentre mi avvicinai al lavandino per prendere un bicchiere d'acqua. Seduta al tavolo, con il telefono estratto dalla tasca dei miei jeans, vidi la sua figura riflessa nello schermo.

Mi voltai di scatto, il cuore in gola, incapace di credere a ciò che vedevo. Di fronte a me, come un fantasma proveniente dagli abissi della mia mente tormentata, c'era mio fratello, Marcus.

Il suo volto era pallido come la morte stessa, le labbra cianotiche e gli occhi azzurri circondati da occhiaie così profonde. La paura mi avvolse come un manto freddo.

-"Xila." Mormorò con voce affannata. -"Tu sai perché sono qui."

Le mie gambe tremavano mentre cercavo di trovare il coraggio di rispondere.

-"Non è stato papà, vero? Non è stato lui a ucciderti." Balbettai, il terrore stringeva la mia gola.

-"No." Rispose lui, la sua figura fluttuava nell'aria come un'ombra. -"Non papà."

La mia voce si ruppe in un grido soffocato.

-"Allora chi? Chi è stato? Dimmelo!" Urlai, mentre la sua figura si dissolveva nel nulla, lasciandomi sola con il mio terrore.

Quella visione di Marcus, con il suo aspetto spettrale e la sua voce proveniente da chissà quale dimensione, aveva risvegliato in me un turbine di emozioni e domande senza risposta. Il mio cuore batteva all'impazzata mentre cercavo di dare un senso a ciò che stava accadendo.

Mi sollevai dalla sedia con le gambe tremanti, stringendo il bicchiere d'acqua come se fosse l'unica ancora di salvezza in quel mare di confusione. Quella figura, quella voce... Marcus era morto, eppure era lì davanti a me, con un messaggio non detto che aleggiava nell'aria come un'ombra minacciosa.

Ripensai alle parole di José, alle sue teorie sulla morte di mio padre e su quello che avrebbe potuto essere il suo stato mentale. Ma ora, con la visione di Marcus ancora impressa nella mia mente, tutto sembrava così diverso. Non potevo accettare che mio padre avesse potuto compiere un gesto così atroce, e meno che mai credere che fosse stato mentalmente instabile.

La determinazione prese il sopravvento sulla mia paura. Dovevo scoprire la verità, a tutti i costi. Era come se Marcus mi avesse passato un messaggio, una sorta di promessa che dovevo mantenere. Ma come avrei fatto a scoprire cosa era realmente accaduto? Chi poteva essersi reso responsabile della morte di Marcus?

Decisi che dovevo iniziare da qualche parte, anche se non sapevo esattamente dove. Forse Alissa, forse c'era qualcosa che non mi aveva detto, qualcosa che poteva collegare tutti questi eventi in un'unica trama intricata.

Room 43Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora