Quattro

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Osservo la mia verifica di storia e mi soffermo sugli errori. Ho preso otto, sono molto soddisfatta. La prof di Storia spiega velocemente ciò che la maggior parte di noi ha sbagliato, poi si siede alla cattedra e accoglie gli alunni che hanno domande da fare accanto a sé. Mi piace questa prof, è giovane, gentile e sempre disponibile ad aiutare chi è in difficoltà. Ha un modo di spiegare tutto suo, ma interessante, tranquillo e talvolta divertente. Non a caso vado molto bene nella sua materia. Credo sia la mia prof preferita, insieme a quella di Italiano. Entrambe hanno voglia di interessare i propri alunni, di incoraggiarli a fare sempre meglio e si vede lontano chilometri e chilometri quanto tengano al loro lavoro e ai propri studenti. Tutto il contrario invece del prof di Matematica e quello di Inglese: due vecchi stanchi venuti lì solo per scaldare le sedie e prendersi lo stipendio.

La campanella suona: ora dell'intervallo. Mi alzo, porto il foglio della verifica alla professoressa e glielo restituisco con sguardo basso.

«Tutto ok, Zilla?» mi chiede sorridente, o almeno, così percepisco, dato che non la sto guardando in faccia.

«Sì, tutto bene» alzo la testa e le guardo il mento.

La prof annuisce:

«Quindi tutto chiaro? Gli errori li hai capiti oppure hai bisogno di chiarimenti?»

«No grazie, è tutto chiaro. Arrivederci».

Me la svigno fuori dalla classe. So che è un suicidio uscire fuori nel corridoio pieno di gente pazza, ma devo andare in bagno e non posso assolutamente ignorare questo importante bisogno che mi cresce dall'interno.

Faccio zig zag nel corridoio pieno zeppo di persone che ridono, urlano, si tirano sberle sul braccio e appoggiano la suola delle scarpe contro il muro, lasciando di conseguenza su di esso impronte nere dello schifo su cui avevano camminato fino a quel momento.

Scanso con leggerezza e precisione il gruppo delle ragazze oche. Il tipico gruppetto di ragazze popolari con quattordici strati di fondotinta, che si aggira in ogni scuola superiore che si rispetti. Fortunatamente non incrocio i loro sguardi, l'ultima volta che lo avevo fatto, avevo sentito un pazzesco bisogno di tirare una testata fortissima contro il muro.

Finalmente raggiungo il bagno e mi ci ficco dentro. Sembra quasi una benedizione, talmente tanto splendida che tiro un sospiro di sollievo carico di gioia. Sono libera di fare la pipì, dopo un'ora che la trattengo come una folle, tutto per non alzare la mano durante la lezione e chiedere alla prof se potessi uscire, attirando di conseguenza l'attenzione.

Dopo averla fatta mi sento decisamente meglio, pronta a continuare ad affrontare questa giornata-tortura come sempre. Sguazzo di nuovo nel mare di persone ferme nel corridoio e raggiungo la mia classe. La prof se n'è andata, ora potrò starmene un pochino sola soletta nel mio angolino. Ma non faccio in tempo a finire quella considerazione e dirigermi verso il mio banco, che Margot entra in classe e inizia a frugare nella sua cartella. Merda! Margot proprio no! Con tutti i compagni che potevano capitarmi, proprio lei?! Fanculo!

«Com'è andata la verifica?».

Un profondo odio pervade il mio corpo. Se solo fossi meno timida e non vincolata dalla mia scopofobia, avrei già lanciato quella maledetta nerd stronza fuori dalla finestra, sollevandola per i capelli e facendola roteare tipo "lancio del peso". Come nella scena del film "Matilda 6 mitica" nella quale la Signorina Trinciabue lancia una bambina tenendola per le treccine.

Mi costringo a calmare i bollori e a rispondere in modo vago:

«Bene».

Cala il silenzio, leggermente imbarazzante. Impacciata mi sposto verso il mio banco, e proprio quando spero che il discorso sia finito, Margot riattacca bottone:

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