Ventitré

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Seduta sulla sedia di una sala d'attesa che puzza di alcool e disinfettante, conto quanti infermieri possiedono il camice bianco e quanti invece quello blu/verdino. Non sto nemmendo più piangendo, ho finito tutte le lacrime che avevo da versare, ora nel mio cuore c'è solo un ammasso di fuliggine e confusione.

Avevo letto su un libro che il lutto è caratterizzato da cinque fasi fondamentali:

-Rifiuto;

-Rabbia;

-Patteggiamento;

-Depressione;

-Accettazione.

In questo momento non ho idea in quale di queste mi trovi, forse tra il patteggiamento e la depressione. Anzi, non so neanche se considerare tutto questo un lutto, Charlie non è morto... Ma... Potrebbe sempre esserlo. Chi mi può assicurare che un medico non verrà da noi a darci la notizia del decesso di Charlie Gray? Nessuno, nessuno potrà garantirmelo. La vita del mio dolce Charie è appesa a un filo invisibile, che non si sa se reggerà, se ha già smesso di reggere oppure se sta già reggendo. Non so nulla, sono ignorante. Non so se mai rivedrò quel sorriso, non so se berrò ancora un tè con lui, non so se riceverò ancora un abbraccio, una carezza o un bacio, e non so se l'ultima cosa che rimarrà di quel ragazzo sarà una lapide.

Sposto lo sguardo sui genitori di Charlie, entrambi disperati. Victor sta cercando di consolare Amanda che non smette di stillare lacrime nemmeno per un istante. Continua a mormorare frasi incomprensibili, simili ai capricci che di solito fanno i bambini piccoli. Riesco solo a capire una cosa di quello che dice, ed è una frase, che ripete all'infinito, tra singhiozzi e lacrime:

«È colpa nostra, Victor, è colpa nostra».

So di cosa sta parlando, anche perché concordo pienamente con lei: se Charlie è in questa situazione, la colpa è anche loro.

Il padre di Charlie, Victor, mi ha raccontato vagamente ciò che è successo non appena sono corsa qui in ospedale, sudata e fra mille agonie.

Charlie aveva cercato di parlare con loro quella stessa mattina, nel momento esatto in cui stavano disfando le valigie, di ritorno dal viaggio a Shangai. Si era praticamente sfogato, raccontando tutto il dolore che provava quando rimaneva a casa da solo per settimane fin da quando era piccolo, dei compleanni che avevano dimenticato e dei Natali che aveva passato a casa di altri parenti, senza di loro. Charlie aveva cercato di farsi valere, anche con i suoi genitori, di fare sentire la sua voce e di chiarire tutto lo schifo che si portava dietro fin da bambino. Ma non gli avevano dato ascolto, o almeno, lo avevano ascoltato in modo distratto come al solito, nel mentre preparavano i biglietti per il prossimo viaggio di lavoro.

«Ha iniziato a urlare» mi aveva detto Victor, e nel mentre lo diceva riuscivo a intravedere i brividi che scuotevano il suo corpo. «Si è arrabbiato, urlandoci addosso di tutto e di più. Non l'avevamo mai visto così e ci siamo davvero spaventati. Amanda ha cercato di calmarlo, ma niente, gridava di stargli lontano e di non toccarlo, perché non meritavamo nemmeno la sua materia. Poi è uscito di casa stizzito, ma abbiamo deciso di non seguirlo per lasciargli i suoi spazi, per farlo riflettere. Solo che... Ci siamo accorti solo dopo alcune ore che mancava la macchina».

Già, Charlie aveva deciso di rubare la macchina dei suoi genitori per scappare e andarsene a zonzo per la città. Non se l'era cavata male per le prime ore, aveva guidato con destrezza, rispettando tutti i segnali. Ma aveva sempre diciassette anni e l'inesperienza gli aveva giocato un brutto scherzo. A un incrocio si era dimenticato di controllare se passassero altre macchine, attraversandolo con tranquillità, ma la sfortuna volle che in quel momento passasse un piccolo camioncino a tutta velocità, che lo aveva travolto ribaltando la macchina e disarcionandolo fuori dalla strada.

La Fantasma ~E l'articolo NON é sbagliato~Where stories live. Discover now