Cinque

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Sono nei casini, in grossi casini: mi sono dimenticata la borraccia d'acqua a casa e ora sto morendo di sete. Merda, perché sono così rimbambita?

É la quarta ora, mancano due ore prima della fine delle lezioni. Troppo tempo, non potrò resistere così tanto. Mi rassegno, devo andare alle macchinette per forza e uscire dalla mia comfort zone. Qui a scuola abbiamo dei distributori automatici che vendono un po' di tutto, dal cibo a qualsiasi tipo di bevanda, caffè compreso. Cosa abbastanza caruccia se non fosse che sono proprio al centro del corridoio principale, vale a dire quello più affollato di tutti.

Continuo a insultarmi per tutta la lezione, sempre sul fatto di essere riuscita a piantare la borraccia piena di ottima acqua di rubinetto in mezzo al tavolo, anziché ficcarla nello zaino come ho sempre fatto.

Controllo per la centesima, forse millesima, volta nello zaino. Frugo bene, sposto libri, quaderni, raccoglitori, nella speranza che la borraccia si materializzi da qualche parte, per puro culo magari: chi può dire che non sia lì dentro? Che magari si sia infilata sotto qualche quaderno e io non l'abbia semplicemente trovata, pensando di conseguenza di averla dimenticata? Che minchia di fantasie... La borraccia non c'è e non ci sarà mai, sono finita.

Mi dispero ancora un po', poi la campanella dell'intervallo suona.

«Ragazzi, aspettate un attimo prima di alzarvi e fare l'intervallo che vi devo assegnare i compiti» dice il professore di Inglese.

Mi mordo una guancia per il nervosismo. Davvero? Ci sta prendendo per il culo? Ha avuto tutto il tempo per dare i compiti, tutto-il-tempo, proprio ora che c'è l'intervallo e che sto crepando di sete, neanche fossi un esule nel deserto del Sahara, deve assegnarli? Non può farlo tramite il registro elettronico, che santi umani hanno creato? No. Risposta scontata.

Attendo impaziente che il maledetto finisca di dare i compiti, per poi fiondarmi alla velocità della luce fuori dalla porta. Prendo un grosso respiro e mi faccio coraggio, attraversando come un'apneista il mare di gente nel mio corridoio.

Scanso il tizio che mi sta venendo incontro, supero quello che va troppo lento, raggiro quello che non sa stare fermo sul posto e mi sposto di lato per far passare quello che sta andando di fretta, più in fretta di me per essere precisi. Se c'è una cosa in cui sono brava, oltre a lamentarmi, è sguisciare in mezzo alle persone come un'anguilla.

Finalmente sbuco nel corridoio principale, mancano solo pochi passi alle macchinette. Non demordo e continuo a farmi strada tra la gente. Non incrocio un singolo sguardo, anzi, sembra che nessuno di stia accorgendo troppo di me, e la cosa mi piace.

Intravedo le macchinette da lontano e il mio cuore si riempie di gioia. Acqua fresca di sorgente, già me la pregusto.

Qualcosa però, cattura la mia attenzione. Già, Zilla la scopofobica che viene attratta da qualcosa. Sulle prime non riesco bene a distinguere di cosa si tratta: c'è qualcosa a terra, abbastanza colorato, ma il mare di gente che cammina in ogni direzione mi impedisce di capire cosa sia.

Ad un certo punto, man mano che mi avvicino e la cosa a terra si fa più distinguibile, vedo un particolare che mi fa comprendere tutto: una mano. Non è una cosa è una persona!

Mi agito, non so per quale assurdo motivo, ma mi agito. La prima cosa che penso è che questa persona sia morta, ma il mio leggero ottimismo mi infonde la speranza che non sia così e che magari stia solo male.

Ora sono vicinissima, a pochi passi dalla figura stesa a terra. Il corpo giace a pancia in su, é un ragazzo, indossa una felpa blu elettrico e un paio di jeans slavati neri. Ai piedi invece, calza delle Converse rosso fuoco. Il volto non riesco a vederlo più di tanto, vedo solo che ha dei capelli castani, ben nascosti dentro il cappuccio della felpa.

La Fantasma ~E l'articolo NON é sbagliato~Where stories live. Discover now