Dodici

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Buio. Solo questo vedo. Spesso, quando ero piccola, ero solita a chiudere gli occhi quando avevo paura. Già, ero l'esatto contrario degli altri bambini: amavo il buio.

Quando gli altri si facevano comprare dai genitori le lucette per la notte, io invece volevo solo che la mia stanza rimanesse al più buio possibile. Credevo che, nell'oscurità, fossi al sicuro, riparata da tutti quei mostri cattivi che volevano rapirmi e mangiarmi.

Se ci penso ancora oggi, trovo che non fosse un ragionamento poi così tanto sbagliato, insomma, se sono chiusa in una stanza con un assassino che mi dà accanitamente la caccia, ho più possibilità di sopravvivere se é tutto buio anziché illuminato, no?

Lentamente riprendo possesso del mio corpo. Riesco lentamente a muovere le dita dei piedi, poi quelle delle mani, le gambe, le ginocchia, le braccia e i gomiti. Infine, dopo ciò che mi sembrano essere minuti, apro lentamente gli occhi, mentre una luce a led bianca, contornata da un soffitto e delle pareti del medesimo colore, mi spacca gli occhi, ormai abituati al buio più oscuro.

Mi guardo intorno e pian piano metto a fuoco ogni singolo oggetto di quella stanza così bianca e triste. Sono sdraiata su un lettino, accanto a me c'è uno strano palo di ferro al quale è appesa una sacca di plastica contenente del liquido trasparente. Sono confusa, non ricordo niente di ciò che è successo, l'unica cosa che ho capito è che sono in ospedale, questo è poco ma sicuro.

«Zilla...?».

Sgrano gli occhi, d'un tratto una consapevolezza si fa strada in me: quella voce... Quella voce la conosco fin troppo bene.

Cerco di muovere il collo, rimasto rigido e bloccato per chissà quanto tempo, e sposto la testa verso la voce che mi ha appena parlato.

«C-Charlie...?» domando con voce flebile, per assicurarmi che non stia vivendo una semplice allucinazione.

«Sì Zilla... Sono io».

Charlie si sposta dalla poltrona su cui era seduto e si siede sul bordo del Piccolo lettino. Ha l'aria molto preoccupata e stanca, una sottile linea divide in due la sua fronte aggrottata.
Con gentilezza mi prende una mano e me la stringe, sospirando. Sento quel contatto come piacevole e rilassante, il suo palmo è caldo e accogliente, mi fa stare subito meglio.

D'un tratto una strana sensazione giunge al mio cervello e ricordo di botto tutto quello che è successo: la festa, la rissa, le urla e soprattutto, la paura.

«S-stai bene? Ti ha picchiato quello stronzo?»

Cerco di mettermi seduta, per controllare se sia ferito, ma Charlie mi spinge delicatamente sul materasso, con un mezzo sorriso ammaccato dipinto sulle labbra serrate.

«Sono io che ti dovrei chiedere come stai... Sai dopo quello che è successo...».

Punto i miei occhi nei suoi, coraggiosamente, ma stavolta è lui che distoglie lo sguardo, fissandolo su un punto davanti a sé.

«Charlie ti prego, dimmi come stai... Dimmi qualcosa. Mi stai...» faccio una pausa, esitante, ma alla fine mi decido a continuare «...mi stai uccidendo con il tuo silenzio».

Sospira, abbattuto, la stretta della sua mano si allenta di poco, continua a non guardarmi.

«Mi dispiace» dice dopo un po' «mi dispiace così tanto... Avrei dovuto restare con te, proteggerti, ma anziché farlo mi sono buttato a fare il paladino della giustizia, di nuovo... Dio, scusami, quando ti ho visto crollare a terra mi sono sentito morire. Ho avuto una paura tremenda... Ho creduto seriamente di averti perso».

Tento di alzarmi di nuovo e ci riesco, stavolta Charlie non mi spinge più a terra, si limita solamente a sospirare di disapprovazione, come una vecchia prozia in cerca di gestire i suoi nipoti.

La Fantasma ~E l'articolo NON é sbagliato~On viuen les histories. Descobreix ara