1.4 ● UNA BIZZARRA GIULIETTA

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Dopo una notte insonne a rigirarmi nel letto, tormentato dal pensiero di come sarei riuscito a convivere con quel registratore che non taceva mai, il movimento era ciò che mi serviva per scaricare la tensione.

In giardino, il cielo si stava tingendo di vermiglio. Inspirai l'odore delle foglie di arancio mentre in lontananza qualche trattore aveva già iniziato la raccolta di gennaio in altri acri.

Lasciai scivolare sul bordo della piscina l'accappatoio, mi avvicinai all'acqua e mi tuffai. Lo shock termico mi bloccò il fiato in gola. Iniziai a nuotare e a ogni bracciata, la mia pelle e i miei muscoli si riscaldarono di nuovo.

È quello che ci vuole.

Mia madre la trovava adorabile. Cos'aveva di speciale? Pensava fosse carina solo perché era una ragazza?

La smorfia di disappunto sul suo viso, quando le avevo rinfacciato che con le porcherie che mangiava non si sarebbe tenuta in forma, mi annegò la mente.

Forse ho esagerato. Chi sono io per criticare gli altri per il loro corpo?

E allora, perché mi era arrivata sulle labbra quella stupida sentenza? Non era da me osservare gli altri a quella maniera.

«Ehi! Cavolo!» una voce stridula arrivò dall'alto.

Mi immersi del tutto e sbuffai l'aria, spazientito dall'interruzione: i muscoli si erano tesi di nuovo e non per la fatica. Ripresi il controllo e riemersi.

Come una bizzarra Giulietta, la ragazzina indugiava sul balcone di camera sua. Il viso era in penombra, e senza occhiali non riuscivo a capire di che umore fosse, ma il suo richiamo non era stato poetico.

Alzai un braccio nel tentativo di smorzare quello che mi sembrava tanto l'inizio di un litigio.

«Ciao, vedo che sei mattiniera anche tu!»

Si mise più in luce e gridò ancora, nemmeno fossi stato dall'altra parte della città «Guarda che mi hai svegliato tu, con il tuo rumore di acqua».

Se continua a parlare con quel volume, sveglierà anche le marmotte in letargo.

Riemersi dall'acqua e rabbrividii per un attimo. Mi infilai l'accappatoio e tornai in casa, salii le scale di fretta e bussai piano alla sua porta: se dovevo andare nella tana del serpente, meglio farlo con cautela.

Il serpente, anzi, la ragazzina, aprì uno spiraglio e mise fuori il naso e un occhio. «Che vuoi?».

Mi abbassai, quasi fino ad arrivare al suo volto «Scusa, ma non volevo che urlassi dal balcone».
Aprì del tutto la porta, rimase poi ferma con la mano aggrappata al bordo del battente.

La indicai «Vedo che sei già vestita per andare. Bene».

Alzò il mento, ma rispose con voce spenta «Ho dormito così. La mamma non ha preso tanti vestiti».

Mi morsi la lingua.

Che stupido che sono.

Avevo parlato troppo presto. Avanzai di un passo verso di lei «Mi fai entrare, per favore?»

Fece una smorfia e socchiuse gli occhi, si allontanò camminando all'indietro. Quasi andò a sbattere addosso alla scrivania.

Raggiunsi il tappeto al centro della stanza: almeno non avrei bagnato per terra.

Mi sforzai di essere gentile «Se mia madre avesse saputo che eri senza pigiama, sarebbe andata a comprarne un paio» tenni un tono tranquillo. Avevo fatto una brutta figura che mi pesava sulle spalle e sentivo di dover rimediare.

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