1.20 ● QUANDO ACCETTÒ DI FARE IL BRAVO

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N.B. Gli errori grammaticali, ripetizioni di parole e modi di dire (anche nella stessa frase) sono fatti apposta per le caratteristiche del personaggio.

Appoggiai il piede sullo zerbino. Accanto non c'erano le scarpe nere della nonna, non ero su una macchina, non c'era la scatoletta di secchione per accompagnarmi a scuola.

C'ero solo io.

Alzai gli occhi e portai anche l'altro piede fuori di casa. Il cielo era grigio, anche se un po'meno di come era a Seattle, e la temperatura era piacevole. Indossavo un maglione e jeans larghi che andavano di moda. Mi grattai il braccio al pensiero dei maglioncini che pizzicavano della nonna, e del cappotto lungo che faceva passare il freddo su per le gambe.

Tirai la porta per la maniglia finché non ci fu il click della serratura.

Ero delusa, arrabbiata con la mamma. Avevo voglia di piangere ma sapevo che non sarebbe cambiato niente. Mi avevano imbrogliata ed erano tutti contro di me.

In fondo è sempre stato così. Per questo l'unico che mi capisce è EL.

Lungo la strada che portava alla fermata dell'autobus c'erano altre ville simili a quelle dei Simmons, tutte circondate dall'aranceto. Fissai il marciapiede, arancione anche quello, e sospirai affritta. Arrivai alla fermata dove c'era un bell'autobus blu. Li avevo sempre visti gialli, invece in Florida dovevano avere anche gli autobus blu. Puliti e profumati di deodorante alla menta, mentre Rita diceva che quello che portava alla nostra scuola a Seattle, aveva i sedili macchiati e sapeva di gasolio.

Mi misi a sedere accanto a un finestrino e guardai fuori. Il veicolo partì, fece le sue fermate e alla terza, entrò il bullo biondo.

Attraversò a passi lenti la corsia, diede pacche sulle spalle ad alcuni ragazzi, fino a che passò davanti a me.

Subito mi fissò stupito, ma poi sulla sua faccia apparve un sorriso che mi fece venire voglia di scappare. «Bene»

Quei denti con l'apparecchio volevano dire tutto tranne che 'bene'. Desiderai di diventare il sedile stesso. Poi lui passò dietro senza dire altro e tirai un sospiro di sollievo.

Alla fermata della stazione uscii per prima e partii con passi lunghi e veloci verso la scuola.

Il biondo mi seguiva a distanza, ma sembrava non essere più interessato a me.

Forse è stata solo una mia fantasia perché il suo amico mi ha preso in giro.

Corsi dentro la scuola con una velocità che non mi sarei mai immaginata di avere e andai a sbattere contro lo sportello aperto di un armadietto. Il grido del ragazzo dietro fece voltare qualche compagno, e tra quelli c'era Juliet, che mi arrivò addosso «Juno, che succede? Hai il fiatone. Sei pallida.»

«Niente» Mi spostai una ciocca di capelli che avevo davanti alla faccia «Tutto bene.»

Juliet si morse un labbro e le sue sopracciglia si fecero più basse «Che ti è successo?»

Scossi la testa «Chi è quello biondo con la faccia da pazzo? Quello che correva dietro a Sean.»

Strinse le labbra e si guardò intorno, si fermò quando lo vide da lontano. Mi prese per il gomito e ci spostammo verso l'aula di matematica.

«Codie Everett. E hai ragione a dire che ha una faccia da pazzo» mormorò continuando a camminare, «Non è tanto normale.» Si toccò la fronte con l'indice un paio di volte «Non lo sopporta nessuno, ma Ross e Sebastian se lo portano dietro perché suo zio lavora nel distretto di polizia della contea di Hillsborough, un pezzo grosso.»

«E con questo?» domandai.

Ci fermammo davanti all'aula di letteratura.

«Nel caso facciano cose poco legali, hanno il culo coperto» agitò la mano davanti al mio viso, «E fidati, sono più sporchi di un gabinetto pubblico.»

Pink SapphireWhere stories live. Discover now