1.15 ● QUANDO SCOPRII PERCHÉ ERO LÌ

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N.B. Gli errori grammaticali, ripetizioni di parole e modi di dire (anche nella stessa frase) sono fatti apposta per le caratteristiche del personaggio.

Dopo cena mi rifugiai in camera e misi You Tube sul televisore per guardare dei video degli Y●EL●L. Non avevo visto niente per tutto il giorno, per colpa del secchione.

Però non riuscivo nemmeno a vedere le immagini, dopo quel pomeriggio. Il secchione era stato strano, per almeno due ore buone.

Senza motivo aveva lanciato via gli occhiali, parlava, parlava e parlava senza una pausa, tanto che a un certo punto mi ero chiesta se prendesse aria da qualche altra parte invece che dal naso. E non era stato fermo un secondo. Mi aveva preso per la mano e mi ero trovata in piedi con lui sulla scrivania, con due salti poi, era andato fuori e ridendo, si era seduto sulla ringhiera del balcone. Mi era venuto un infarto quando si era gettato indietro con la schiena ed era rimasto appeso a testa in giù nel vuoto, come un trapezio del circo.

Avevo gridato e lui si era rimesso subito a posto. Veloce come il vento, era tornato da me.

«Piccola, che c'è?» Aveva sorriso. Per la prima volta sul suo viso c'era stampato un sorriso largo, che gli arricciava il naso e gli faceva stringere gli occhi in un'espressione che mi aveva fatto girare la testa e battere il cuore come un nuovo concerto degli 'Y●EL●L'.

Se era quello l'effetto che gli faceva stare da solo con me, senza la mamma, non capivo perché farlo solo in quel momento.

Non avevo risposto e per un attimo mi era sembrato preoccupato. Per il resto del pomeriggio aveva continuato, imitando i gesti dei combattenti di cui mi parlava, delle guerre e degli uomini famosi, si muoveva per tutta la stanza, correndo e sbracciandosi, cambiando tono di voce, prima alto poi basso, a seconda di ciò che stava spiegando. Senza tentare di ammazzarsi di nuovo.

Non era più il secchione brontolone che mi prendeva in giro per EL, per i miei voti o il modo in cui mi vestivo. Aveva smesso quell'aria da soldatino.

Poi, basta.

Si era paralizzato, aveva guardato l'orologio strizzando gli occhi come due limoni, era tornato serio e aveva minacciato di interrogarmi.

La porta si aprì e io mi resi conto che il concerto era già iniziato da dieci minuti, che non mi ero guardata.

No, cavolo! Quello mi vuole interrogare!

Mi voltai «Senti, secchione» ma lui non stava guardando me. Fissava lo spettacolo alla televisione. Era rigido dietro al divano, le mani erano aggrappate allo schienale e le punte delle dita affondavano nel cuscino. Le braccia tremavano, mentre in faccia era pallido. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e le narici dilatate.

Sembrava un tizio che stava per fare una strage o, peggio, papà arrabbiato con la nonna, e mi rifugiai nell'angolo del divano.

«Ha steccato un FA diesis» disse all'improvviso.

Tornai a guardare il concerto. «Cos'ha fatto?» domandai con un po' di paura.

Mi ignorò, era già concentrato sull'altra canzone, una registrazione di un fan di un concerto di quasi due anni prima, il primo tour che avevano fatto.

«Adesso un MI. DO. Accordo sbagliato. Del tutto. Detestabile. Odioso. Commericale.»

Sbatté la mano sul divano e parlò a denti stretti «No. Quel passaggio non va fatto così. Io non l'ho...» Si bloccò e si morse un labbro.

Trovai il coraggio e mi ripresi ascoltando la voce del cantante, EL, che lui stava definendo orribile. Mi misi in piedi sul divano e gli coprii la TV. «Senti, se non ti va bene puoi stare fuori finché non sono finiti i video.» Indicai la porta.

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