Capitolo 22

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Emma uscì dalla stanza in fretta e furia, ancora con i capelli umidi che aveva cercato di aggiustare al meglio senza riuscirci. Su una spalla teneva il suo zaino, sull'altra una borsetta in cui aveva infilato alla rinfusa tutti i suoi oggetti personali che pensava le sarebbero potuti servire. Non aveva avuto il tempo di truccarsi, aveva scelto i primi vestiti che le erano capitati sotto mano: un paio di pantaloncini neri di jeans, delle scarpe da ginnastica nere e un maglietta leggera dello stesso colore. 

Quando l'aveva contattata la professoressa responsabile del progetto per un colloquio e le aveva chiesto disponibilità, Emma aveva risposto che avrebbe potuto vederla subito. La donna aveva spostato un appuntamento mentre era ancora in chiamata con lei e dopo qualche istante le aveva confermato che avrebbe potuto riceverla. Ed Emma era corsa a lavarsi e vestirsi per raggiungerla il prima possibile nel suo ufficio. 

Correva per il campus cercando di non far scivolare lo zaino dalle spalle e tenendo il cellulare stretto in mano. Sperava dentro di lei che fossero buone notizie come un altro concorso, qualcuno che avesse richiesto un progetto da parte sua o cose del genere. Le sarebbe servita davvero una buona notizia in tutto quel caos che le si era creato intorno e il suo mutismo selettivo. 

Superò qualche collega di corso senza nemmeno darci peso, oltrepassò il chiosco dove aveva preso centinaia di caffè dalle sfumature diverse, si fermò a prendere fiato solo quando arrivò alla fontana. Li, seduta sul bordo, poggiò i pesi che teneva a terra e bevve un sorso d'acqua dalla sua borraccia cercando di prendere fiato rallentando il cuore e regolarizzando il respiro. Controllò l'ora sul suo orologio volendo evitare il cellulare che, precedentemente, aveva già impostato in modalità silenziosa. Si aggiustò alla buona i capelli e tirò fuori dal pacchetto una sigaretta e l'accendino perché le serviva rilassarsi: le mani tremavano e le ginocchia erano molli. Odiava quegli effetti dell'ansia. 

Cercò di darsi un contegno e, terminata la sigaretta, iniziò a camminare in direzione delle aule studio e degli uffici. Superò la biblioteca ed entrò nell'edificio della facoltà. Svoltò un paio di corridoi prima di trovarsi davanti alla porta di legno pesante e scuro dietro cui la aspettava la professoressa. 

Emma prese un respiro profondo, strizzò gli occhi un paio di volte e si grattò con forza un punto sul polso che le prudeva dallo stress. Scrollò le spalle e sfoderò il suo sorriso migliore prima di bussare alla porta. 

Dall'altra parte si udirono passi lenti e calmi e qualcuno le aprì facendola accomodare nell'ufficio. La professoressa, nascosta in parte dalla porta, le fece un sorriso e le fece un cenno silenzioso col capo indicando la scrivania di mogano. Seduto a guardare Emma con guardo serio e professionale, il Professor Desti, l'uomo che le aveva chiesto di partecipare al secondo concorso a seguito della vincita del primo, l'uomo attraente di cui Emma credeva non avrebbe ricevuto più notizie. 

"Buonasera, signorina. Prego, si sieda pure" la invitò lui con un gesto della mano. La ragazza lanciò un'occhiata alla professoressa che non disse nulla e si congedò uscendo dalla porta ancora aperta: "Ho chiesto in prestito un ufficio, sono arrivato da poco."

Emma era confusa e non riuscì a trovare le parole per esprimersi. Preferì sorridere e annuire lentamente. 

"Come sta, signorina?"

"Emma. Va bene, comunque. Gli studi procedono e gli esami anche."

"Procedono bene?"

"Benissimo. Qualche scoglio qua e la, ma sono in pari e me la cavo abbastanza" rispose lei a tono con un sorriso cordiale. La conversazione era strana. Emma, vedendo l'uomo, si sarebbe aspettata delle parole in merito al progetto, l'esito, qualche proposta, ma l'insegnante aveva chiesto un ufficio in prestito per parlare con lei dell'andamento dei suoi esami. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 11 ⏰

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