29 - Il Passato 5 - Il verso della corrente

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Erano scappati di nascosto. Di nuovo. Aveva come l'impressione che quella volta non l'avrebbero fatta franca, eppure Alexander era pieno di fiducia nei confronti delle loro capacità. Soprattutto aveva fiducia in Lea, che mai una volta aveva fatto un errore. Vestiti come due adolescenti in piena regola, si trovarono davanti a quella che ormai chiamavano 'casa': un'abitazione fatiscente e diroccata in un quartiere di villette, in una sperduta città del Ventunesimo secolo. Certo, quello non era il loro quartiere preferito, ma si erano dovuti adattare. Ora dovevano solo decidere cosa fare. Di solito erano abbastanza oziosi, se ne stavano sulle panchine di qualche parco o del centro a guardare la vita scorrere sotto di loro, altre volte invece giravano i negozi o si imbucavano la sera alle feste per liceali e universitari.

Lui aveva appena iniziato la Scuola per Agenti, lei invece l'aveva finita da quattro anni e ormai le missioni erano la sua quotidianità. Era appena tornata da Roma antica e aveva bisogno di rilassarsi. Guardò Alexander iniziare a cucinare della pasta e pensò che se mai avesse dovuto scegliere un uomo, avrebbe scelto lui. Un Agente, perché aveva sempre avuto bisogno di qualcuno come lei. Era sempre stata romantica. Nonostante la sua razionalità, nonostante le sue ferite, Neumalea era romantica. Non poteva non esserlo guardando Alexander, confondendosi in quegli occhi diversi. Era il suo migliore amico, ma non solo.

"Mi stai consumando Neuma, vieni a darmi una mano." lui sorrise e le lanciò un grembiule. Lea si avvicinò. Non aveva mai saputo cucinare, andava avanti a pasti già preparati o piatti della mensa dell'Agenzia. Avrebbe potuto imparare velocemente, solo non ne aveva mai avuto voglia. Indossò il grembiule e scolò la pasta, poi iniziò ad impanare le fettine di carne. Ecco, quello di solito riusciva a farlo senza troppi danni.

"Oh! Il maiale è già morto!" le disse ridendo Alexander, guardando Lea prendere a pugni la carne.

"Non si attacca il pangrattato!" si lamentò lei, prendendo in mano il sale. Alexander la fermò giusto in tempo. Lea e il sale... mhh, no. Per consolazione la ragazza prese un biscotto.

"Neuma!" Alexander sorrideva esasperato "ti rovini la cena!"

"Fi fofini la fefa" gli fece il verso Lea sputacchiando biscotto dappertutto. Cenarono in piedi, ballarono sulla musica di un vecchio giradischi e si raccontarono vecchie storie di fantascienza che forse erano più realtà che altro. Ormai era quasi mezzanotte e ancora sembrava che nessuno si fosse accorto della loro assenza all'Agenzia, oppure se ne erano accorti e stavano facendo finta di nulla.

Lea si sedette su uno sgabello alla finestra. Alexander si stese e appoggiò la testa alle sue gambe mentre lei era completamente rapita da quella notte stellata. Era una zona con poca illuminazione artificiale e le stelle erano visibili e splendenti. Sotto di loro c'era il rumore della notte, della vita. Ragazzi e ragazze, musica e risate. Fu quasi inconsapevolmente che Neumalea si ritrovò a cantare. La sua voce era tremula, quasi non fosse abituata a sentire dalla sua bocca cose diverse da numeri e logica, eppure aveva un che di ipnotico. Non era di quelle voci che potresti mai definire belle, eppure era come se quella musica ti entrasse dentro, perché a cantarla era lei.

È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.

Era una canzone un po' vecchia per quegli anni ma Lea la adorava. Le sembrava che l'essenza di quella nazione fosse racchiusa in quelle poche righe. Aveva sempre amato l'Italia, forse perché lì sentiva le sue radici o forse per quella malizia ironica che permeava ogni sua città. Come se un'intera nazione volesse sedurti con i suoi monti, le sue pianure e il suo mare, con le sue opere e le sue città, con la sua musica e i suoi balli, con le sue risate e il suo sarcasmo, con le sue regole infrante e i suoi valori rispettati. Quella sera lei e Alexander erano proprio l'Italia, proprio italiani con il sorriso schietto e gli occhi orgogliosi. Era una serata perfetta. Almeno, sarebbe potuto essere una serata perfetta. A volte il dolore ci sorprende quando non ce l'aspettiamo, quando speriamo, quando sognamo.
"Neuma..." la voce di Alexander era calata di un tono, come se avesse paura a dire qualcosa.
La ragazza non si rese conto di nulla e abbassò lo sguardo verso di lui.
"Io me ne vado"
"Oh, se vuoi possiamo andare dove vuoi tu, sai che non dobbiamo venire per forza qui." rispose lei.
"Non hai capito. Me ne vado dall'Agenzia."
Ci fu un momento di silenzio, come se Neumalea stesse cercando di capire il senso di quella frase, di elaborarne il significato e di comprenderne i motivi.
"Perché?"
Una domanda forse un po' scontata, eppure l'unica domanda che sembrava avere senso in quel momento, in quel caos di pensieri che vorticavano nella mente di Lea. Quella mente che era sempre stata logica, matematica, precisa con tutti i calcoli e le probabilità al loro posto, quella stessa mente ora implorava una spiegazione, un perché.
"Ci usano. Io li distruggerò." rispose lui. Non disse altro, in fondo a quattordici anni non hai bisogno di altro per distruggere qualcosa. Non disse come era arrivato a quella conclusione, non spiegò il dolore e la rabbia. Due frasi, due semplici frasi per distruggere qualsiasi cosa.
"Sono la nostra famiglia. Sarebbe come diventare orfani." per Lea quella conversazione era surreale. Era successo tutto troppo in fretta, senza preavviso, senza segni di cambiamento, durante una serata perfetta. Certo odiava l'Agenzia ma la sentiva troppo come famiglia per tradirla.
Alexander scosse leggermente la testa. Per lui era così ovvio e capiva anche le ragioni di Lea. Agente a dieci anni, completamente assorbita da quel sistema e da quella causa.
"Noi siamo già orfani. Loro ci hanno fatto diventare orfani." la rabbia nella sua voce ora era palpabile, tangibile. Ed era vera. Così vera che persino Lea dovette arrendersi a quella affermazione.
"Perché me lo hai detto?"
"Perché voglio che vieni con me?"
"E diventare Crirale? Mai."
Nella sua logica non aveva messo in conto una cosa, la rabbia.
"Ma ti senti? Senti come parli? Crirale? Criminale temporale? Sono loro i criminali Neuma. Sono gli Agenti, è l'Agenzia! Devi capire, tu odi l'Agenzia. Ti usa per le missioni, ti distrugge lo sai!"
"Odio non vuol dire tradimento. Io non tradisco casa mia." la voce della ragazza si era di fatta di colpo gelida. È sorprendente come tutto può cambiare in pochi secondi. "Tu non sei Alexander."
"No, non lo sono. Non sono più il ragazzino che serve."
"Oh Alec ti senti parlare? Che cosa vuoi ottenere? Vuoi regnare su un cumulo di macerie?"
"Meglio regnare all'Inferno che servire il Paradiso." rispose lui lapidario.
"Milton" annuì stancamente Lea. Il ragazzo se l'era fatto tatuare sulla schiena lo stesso giorno in cui lei si era fatta il suo all'occhio. Se lo ricordava quel giorno, era stato una di quelle volte in cui il dolore e il senso di colpa erano stati troppo forti per essere ignorati e lei aveva capito che non poteva sconfigge i suoi mostri. Avrebbe dovuto conviverci. Per questo si era fatta tatuare il fregio del suo primo pugnale, per ricordarsi sempre del suo primo omicidio, per ricordarsi di risparmiare sempre gli innocenti. Quello stesso giorno Alexander si era tatuato quella frase che a quel tempo era solo una bella citazione.
Ormai era quasi l'alba e quasi ora di tornare all'Agenzia. Neumalea stava letteralmente implorando Alexander, le lacrime agli occhi e le parole bloccate in gola.
Ti amo Alexander - pensò.
"Addio." gli disse. Lei non l'avrebbe seguito.
Vide la sua figura di quattordicenne mingherlino allontanarsi verso l'aurora, quasi a voler correre verso quel sole, eppure sapendo di avere tutto il tempo del mondo. Lea lo seguì con gli occhi fino a vederlo scomparire e non seppe mai dell'unica lacrima che solcò il volto del ragazzo. Erano soli tutti e due ora. Soli contro il mondo. Alexander per distruggerlo e Neumalea per salvarlo. Ma come avrebbe potuto salvare il mondo se non sapeva nemmeno salvare se stessa? In quel momento nulla aveva un senso per lei, non capiva in che verso stava andando la sua vita. La vita però è come la corrente. Ne capisci il verso solo dopo aver fatto i calcoli.

Angolo autrice
È tardi lo so ma questo capitolo è stato un parto!
Comunque c'è una parte che io amo, c'è la mia dichiarazione d'amore per il mio Paese (che di questi tempi non è scontata)😘

Il fabbricante di dèiWhere stories live. Discover now