0.5 Celeste

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"You're the best, and, yes,
I do regret how I could let
Myself let you go. Now, now
The lesson's learned.
I touched it, I was burned.
Oh, I think you should know".

Philadelphia; 2015

Fino a ora il compleanno di Evan non ha mai rappresentato un problema, per me. Mi duole ammetterlo, ma Colin ha ragione: la routine è sempre stata quella. Il fatto che mi abbia preannunciato un imminente primo incontro con la sua famiglia, e la gioia con la quale me l'ha comunicato, non lasciano spazio a obiezioni. E risulterei più che anormale se mi rifiutassi. Già per lui dev'essere stato tremendo sopportare i miei "capricci" insensati per oltre due anni di relazione, durante i quali ho inventato scuse su scuse per fare in modo che né la mia famiglia conoscesse mai lui, né io conoscessi mai la sua in occasione delle festività. Ai miei genitori non ho mai riferito nulla di quello che è capitato con Peter, ma credo che l'abbiano dedotto nel momento in cui sono piombata da loro in lacrime a supplicarli di concedermi di partire con zia Flo. Ogni tanto mamma ha anche discretamente provato a informarsi, ma invano. E non capisco per quale ragione io abbia così tanta paura di presentare loro Evan, dato che so già per certo che lo adoreranno. E so anche che non lo confronterebbero mai con Peter. Quello l'ho fatto io, i primi tempi, quando abbiamo cominciato a frequentarci, e ho anche avuto non pochi problemi per questo. È una cosa che avevo preso a fare con ogni singolo ragazzo che mi si avvicinava e cercava un approccio... che poi, puntualmente, finiva sempre male. "Non ha il suo sorriso". "Non ha il suo modo particolare di parlare". "Non gesticola mentre parla". "Non ha i suoi occhi". "Non ha la sua risata". "Non ha il suo adorabile accento irlandese". "Non è lui". E così si concludeva la scannerizzazione che facevo a ognuno di loro, prima di liquidarli qualche attimo dopo. Con Evan è stato diverso perché non mi ha dato il tempo di compierla, quell'analisi attenta e accurata che riservavo a tutti. E sono alla ricerca matta e disperata di un'altra spiegazione, ma, probabilmente, zia Flo ci ha visto giusto. E questa cosa mi fa imbestialire, perché non vorrei che fosse così. Ma la verità è che io la radiografia a Evan l'ho fatta. Solo che lui ha passato il test proprio perché gli somigliava fin troppo. E mi sento una merda ad ammetterlo, ma è così. Non si può riparare un oggetto in frantumi ponendo i pezzi a casaccio: ogni frammento ha la sua collocazione, così da incastrarsi perfettamente con un altro. È inevitabile che il risultato sia un casino, se se ne mette uno più piccolo al posto di uno più grande. Non posso pretendere che Evan risani la ferita che mi ha apportato Peter. E non lo faccio, infatti. Speravo solo di poterci convivere. Invece non è così, perché è come se avesse impresso un marchio dentro di me, come se fosse scritto a caratteri cubitali sul mio cuore, il fatto che è sempre stato suo e sempre lo sarà. Sto così bene, ora, con Evan. Stavamo così bene, fino a qualche giorno fa. È il karma o sono i sensi di colpa che hanno riportato Peter nei miei ricordi, da dove in realtà non è mai andato via? Sospiro e liscio le pieghe del vestitino bianco che ho indossato per l'evento. Mi guardo riflessa nello specchio e non mi riconosco. Aggiusto lo chignon e non sono io, questa. Velo le ciglia con un leggero strato di mascara e mi sento un'altra persona. E non sono i capelli rosa a mancarmi, o i pantaloncini inguinali, o le T-shirt alternative. È la mia identità che manca, che mi manca. E non mi sento la donna che dico di essere, perché non lo sono. Sono la bambina viziosa e viziata che sbaglia, che cade, che si fa male, ma che la forza di rialzarsi non ce l'ha quasi più. Però continuo a voler fare i miei errori e le mie esperienze, perché è così che si vive. E ora io non lo sto facendo. Ora sto sviluppando un'innata capacità di adattamento a tutto quello che mi succede. Da quant'è che non tocco una matita? Da quant'è che non riempio di colore un foglio bianco? Da quant'è che Jean-Paul non mi procura un incarico? Da quant'è che sto permettendo a Evan di mantenermi economicamente? E perché seguito ad autocommiserarmi, se poi non agisco per cambiare la situazione? Il campanello suona e mi distanzio dallo specchio per andarmi a infilare le ballerine blu. Non mi piace la persona che sono diventata. Non so spiegarmi a che pro io abbia deciso di crearmi un vero e proprio alter ego, del tutto opposto a come sono realmente. Lo sto realizzando solo ora, che Evan non mi ha mai conosciuta veramente, o l'ho sempre saputo e adesso ho semplicemente le palle di ammetterlo a me stessa? Peter ha avuto a che fare con il peggio di me - ma proprio il peggio del peggio - ed è riuscito ad amarmi comunque. Era prima di tutto il mio migliore amico. Evan questo sforzo non l'ha proprio dovuto mai fare, perché la Celeste incoerente, indecisa, imprevedibile e stupida lui non l'ha mai conosciuta. Ho davvero avuto il coraggio di mentirgli e di mentirmi così a lungo? A quanto pare sì. Inspiro; indosso la giacca blu di pelle che ho gettato su una delle sedie del piccolo tavolino in cucina l'altra sera; arraffo una borsetta bianca e la riempio celermente di cose inutili, solo per dare a vedere che è piena; torno in camera a recuperare il cellulare dal letto e le chiavi di casa da sopra al comodino; mi do un'ultima sistemata ai capelli, che, tecnicamente, sono già fin troppo perfetti così e, dopo un secondo trillo del campanello, apro la porta. Evan mi rivolge un sorriso radioso. È bellissimo. Ha una camicia azzurrina con le maniche risvoltate fino ai gomiti, pantaloni blu elettrico e mocassini. I capelli biondi ramati sono impregnati di gel, che tiene su un impeccabile ciuffo a onda, e la barba ben curata sul suo viso lo rende incredibilmente affascinante. Il colore della sua mise risalta i suoi occhi chiari, che oggi sembrano quasi... grigi. Deglutisco il groppo che ha preso forma nella mia gola dopo tale constatazione e provo a ricambiare il suo sorriso.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora