0.7 Celeste

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"I was already missing before the
Night I left. Just me and my shadow
And all of my regrets. Who am I?
Who am I, when I don't know myself?".

Philadelphia; 2015

Io credo che l'amore non si possa definire. Anche perché, andiamo, che si può mai dire? Quando ci si interroga su cosa sia l'amore, quale sarebbe la risposta giusta da darsi? Beati quelli che non si perdono a fissare il vuoto per una buona manciata di minuti, dopo un quesito del genere. Semmai l'unica spiegazione - o sedicente tale - che può essere considerata autentica e veritiera è quella che ne danno i bambini. Perché noi non possiamo saperlo. I bambini hanno sviluppato un sesto senso, che è proprio soltanto dei primi anni infantili e che si perde irreversibilmente quando si cresce: una tenera ingenuità che permette loro di vedere il mondo con occhi diversi, più bello di quanto in realtà non sia. Ai bimbi non importa del domani. Per loro la parola stessa non ha l'accezione inflessibile che le attribuiamo noi. Quando un bambino dice: "a domani", oppure "però domani torni?" include nell'arco di tempo tra il momento in cui pronuncia la frase e quell'"a domani" un ammontare infinito di secondi e altri momenti, fregandosene del fatto che l'individuo a cui lo ribadisce se ne stia effettivamente andando, ma confidando nella certezza che, prima o poi (non importa dopo quanti giorni, mesi, anni), tornerà. Per loro non c'è nulla di più rilevante dell'aver tenuto fede a quella tacita promessa. Sono fantastici; non portano rancore. Non sanno neanche cosa siano il risentimento e il rancore. Certe volte vorrei che noi "grandi" fossimo un po' più innocenti, meno razionali. Meno rigorosi, più spontanei. Più bambini. Un po' come mi sto comportando io adesso, in pratica. Normalmente quando si decide di intraprendere un viaggio ci si preoccupa quantomeno di buttar giù una sottospecie di programma, di piano, in modo da delineare almeno un itinerario; da darsi un'idea del tipo di vestiario da portare con sé; da sapere quanti soldi dover prelevare per non rischiare di rimanere improvvisamente al verde; da stabilire una destinazione - un punto d'arrivo - e un punto di partenza; da scegliere un mezzo di trasporto e un albergo, un motel dove alloggiare. Beh, normalmente, sì, perché questa lista racchiude in sé tutte le cose che sono stata capace di non fare, prima di partire per l'ignoto. Una meta non ce l'ho. Tantomeno un itinerario. Non mi è nemmeno passato per l'anticamera del cervello il pensiero di stendere un programma. Mi sto affidando al caso. Completamente e senza riserve. Il bello è che non m'importa. Non m'importa perché il gioco vale la candela, stavolta, e perché sono assolutamente determinata a compiere questa follia. Le mani mi tremano, mentre appallottolo una maglietta dopo l'altra in fretta e furia e le ficco in valigia. Sto facendo tutto meccanicamente, e non ho la più pallida idea di cosa io stia concretamente infilando nel bagaglio. Ho un nodo allo stomaco e il respiro irregolare. La puzza di fritto della friggitoria sotto il mio palazzo mi pizzica le narici, propagandosi nell'ambiente a causa della finestra aperta a vasistas. La musica a tutto volume della discoteca qui di fronte mi sta a dir poco stordendo i timpani. Ma tutto ciò che riesco a percepire non è altro che il battito del mio cuore - notevolmente più accelerato del consono - rimbombarmi nelle orecchie al suono di mille cannoni da fuoco. Tremo così tanto che, a un certo punto, esaurita, butto con foga la scarpa che avevo in mano a terra e mi getto di schiena sul letto, sbuffando, sconsolata, ed emettendo un verso di lamento, mentre mi porto entrambe le mani sul viso. A occhi chiusi ho la possibilità di fermarmi un attimo a riflettere - accarezzata dolcemente sul viso e sulle braccia scoperte da una fresca e leggera folata d'aria serale che proviene dall'esterno -, ma non ho bisogno di riflettere, in verità, perché io una scelta già l'ho fatta. Quella è e quella rimane, non ci sono scusanti. Al diavolo il dannato discorso che mi ha fatto Colin qualche giorno fa e che continua ripetutamente a frenarmi. Al diavolo l'etica e la morale, che mi fanno sentire una merda per aver chiesto una pausa a quello che era il mio ragazzo proprio il giorno del suo compleanno. Sì, perché ho già perso troppo tempo; non potevo aspettare ancora. Questa è una cosa mia. Tra me e Peter. Non devono entrarci terzi. Perché non avrei raccontato nulla a Evan di noi due, altrimenti? Colin la deve smettere di fare il filosofo, perché lui non si è mai trovato in una situazione come la mia. Tralasciando il paradosso assurdo della storia che lega me e Peter. Ma non è la mia storia a essere concatenata a lui. È la mia mente, il mio cuore, e la mia anima che è rimasta impigliata nella sua. Non lo so, se provo ancora qualcosa per lui. Sarei ipocrita a sostenere una cosa così. Però lo so, che non mi è indifferente. Non lo è mai stato e mai lo sarà. Vorrei solo sapere se sta bene. Vorrei solo dirgli che mi dispiace; che mi dispiace perché è per colpa mia che è andata così. Che mi dispiace perché, no, non era questo che volevo, e mi piacerebbe farglielo presente. Che mi dispiace perché sono sempre stata un'orgogliosa del cazzo, e che se non fosse stato così ora le cose sarebbero diverse. Quante volte mi sono chiesta cosa sarebbe successo, cosa ne sarebbe di me ora, se io quel giorno gli avessi confidato che lo amavo oltre ogni misura? Che per lui avrei rinunciato a Parigi e avrei seguitato a frequentare quel college che non mi piaceva manco un po'? Che avrei messo da parte i miei sogni e le mie ambizioni, per lui? Eppure non sono riuscita a mettere da parte il mio orgoglio, per lui. Mi sono sempre detta che forse era così che era destinata a finire, qualunque cosa ci fosse tra di noi. Che forse non era il tempo giusto per noi, perché esistessimo insieme, perché ci amassimo. Ma non era amore, quello che provavo per lui. Se così fosse stato, non gli avrei mai urlato contro tutto quello che gli ho detto quel fatidico giorno, e non l'avrei aggredito in quel modo. Mi sono lasciata guidare dal risentimento e dall'astio e l'ho perso. Prima di farmi prendere dall'angoscia e dallo sconforto, mi sollevo a sedere, raggruppo ai piedi del letto le ultime paia di scarpe che ancora dovevo sistemare, e ammucchio i panni restanti sul materasso. Mi alzo e lancio tutto nel borsone senza un minimo senso logico. Recupero dal bagno l'astuccio delle medicine e il beauty-case e metto il primo nella valigia, per poi chiuderla, issare la maniglia e farvi scivolare il beauty sopra grazie all'apposita fascetta. Risistemo il copriletto alla bell'e meglio e, frettolosamente e affannosamente, do uno sguardo d'insieme alla stanza, accosto la finestra aperta, afferro il trolley e me lo trascino dietro. Arraffo dall'attaccapanni nell'ingresso il mio zainetto portafortuna e lo svuoto sul divano. Lascio lì le carte di caramelle o i vecchi scontrini, e rimetto dentro i pacchetti di fazzoletti e salviette multiuso e il portafogli. Lo riempio con qualche snack del quale mi munisco dalla dispensa in cucina, una bottiglietta d'acqua, la busta da lettere con i risparmi che ho preso prima dal nascondiglio apposito sotto i cuscini del divano, il caricabatteria del cellulare e gli auricolari e, con l'impellente sensazione di aver dimenticato sicuramente qualcosa, lo richiudo velocemente. Vedo un rigonfiamento nella tasca superiore e apro la cerniera, ritrovandomi tra le mani la bandana verde che Peter mi aveva regalato quel giorno... Il cuore prende a battere - se possibile - ancora più rapidamente, e io lo interpreto come una sottospecie di segno divino o qualcosa di simile, per cui, dopo essermela legata al polso, mi metto lo zaino in spalla e mi precipito alla porta, rischiando di inciampare su un cuscino che, per l'urgenza, ho fatto cadere dal sofà. Lo schivo e, ghermiti un giubbino leggero e le chiavi di casa e della macchina, esco e mi sbatto violentemente la porta alle spalle, chiudendo a chiave a più mandate e volando quasi per le scale. Spero solo che ci sarà qualcosa o qualcuno pronto a fare da airbag e ad ammortizzare l'urto, nel caso in cui il paracadute non si slacciasse durante la caduta libera che sto intraprendendo verso il niente più assoluto, alla ricerca di qualcosa e qualcuno che, quasi certamente, non sarà di sicuro lì, impaziente, ad attendermi a braccia aperte.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora