0.4 Peter

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"I'm too busy being yours
To fall for somebody new".

San Francisco; 2013

Erano passati tre anni quando la rividi. E la rividi solo io, perché lei non rivide me. O, meglio, mi vide, ma fu come se non mi avesse mai visto prima. So che sembra illogico, detto così, e non fare quella faccia, fammi spiegare. Dopo la sua festa - e dopo una bella corsa al pronto soccorso, a seguito della botta che il mio pugno aveva accidentalmente dato al cruscotto dell'auto di mio padre -, per quanto all'epoca potessi ritenermi maturo, supplicai papà in tutti i modi possibili e immaginabili di andarcene, di cambiare città, Stato, continente. Lui si rifiutò, dicendo che non mi riconosceva più e che dovevo pensare anche a lui, non solo a me. Quella fu l'ennesima dimostrazione di quanto fossi egoista. Allora mi rassegnai, e mi chiusi in me stesso. E mi pento così tanto di averlo fatto, ma da quel giorno niente è più stato come prima. Papà dovette percepire per forza il cambiamento. Però non disse nulla, non si lamentò. A lui bastava avermi con sé. Ma era come se non ci fossi. Durante i pasti non parlavo, a stento rispondevo a monosillabi alle domande riguardo la scuola che mi poneva, e non passavamo più tempo insieme. Mi rintanavo nella mia stanza a studiare o a strimpellare canzoncine senza senso, e lì rimanevo. Non uscivo più, non parlavo con nessuno. A scuola ero "quello strano". Non il "tizio figo misterioso e affascinante". Solo "quello strano". Lo sapevo, ma ci convivevo. Per un anno intero alcuni bulletti mi presero di mira. Non guardarmi così, è stato tanto tempo fa. Erano all'ultimo anno. Immersione nel water e libri gettati a terra erano all'ordine del giorno. Uno mi buttavano i libri a terra. Un altro mi facevano uno shampoo nel wc. E poi? Oh, poi grazie a Dio è arrivata la pubertà. Ci ha messo un po', ma è arrivata. Ho cominciato ad andare in palestra nel tempo libero, e poi c'era un novellino del primo anno trasferitosi dall'Australia, ed era divenuto d'un tratto molto più attraente di quello trasferitosi dall'Inghilterra - che, per inciso, ero sempre io. Il mio isolamento volontario quantomeno giovò a qualcosa, e mi permise di ottenere una borsa di studio per la Princeton - grazie allo studio ossessivo su cui ripiegavo, pur di non riflettere e pensare a lei. Lo ricordavo benissimo, il giorno in cui lei, anni addietro, si era lamentata perché i suoi genitori le facevano pressione e le avevano già preannunciato che si sarebbe dovuta iscrivere a quel college, a causa di una tradizione ridicola che vedeva studenti della Princeton tutti i componenti della sua famiglia. Non sapevo se sarebbe capitolata e si sarebbe arresa alle loro volontà, ma dentro di me lo speravo proprio tanto, masochista quale ero. Volevo odiarla, ma il legame che avevo con lei era più forte di ogni altra cosa. Non avrei mai potuto odiarla. Neanche ora lo faccio, in verità. Penso solo che non si possa odiare chi, ai tuoi occhi, ti ha dato tanto da amare. Forse non lo faceva neppure apposta, ma era proprio questo a renderla speciale - almeno per me: il fatto che non capisse proprio quanto potesse effettivamente essere amata una persona come lei. Anzi, no. Non "come" lei, perché come lei non credo ne siano mai esistite e mai ne esisteranno. Celeste Sullivan era unica e rara nel suo genere. Una di quelle persone che, quando le trovi, sai che fartele scappare sarebbe la cazzata più grande che potresti mai commettere in tutta la tua vita. E io me la sono fatta scappare comunque. Forse meritava di meglio. Meritava di più. Eppure questo non l'ho mai pensato, quando ero con lei. Lo penso adesso, e lo sto dicendo a te, ma allora stare insieme a lei appariva ai miei occhi come la cosa più giusta e sensata da fare, per quanto sbagliata potesse essere. Dai, Jane, smettila di interrompermi: poi te lo dico cos'è successo; ogni cosa a suo tempo. Come dicevo, avevo ottenuto una borsa di studio per lo stesso college in cui speravo - e pregavo - sarebbe andata anche lei, ma solo un anno dopo, essendo più giovane di me di quattro mesi. Il primo semestre fu estenuante, soprattutto perché la maggior parte erano materie che non avevo mai studiato prima, e scienze ingegneristiche non è per niente semplice, fidati. Conobbi Mike perché lavorava in biblioteca, e trascorrevo lì la maggior parte del tempo. E poi sai com'è socievole Mike. Presto diventammo inseparabili, e l'anno successivo facemmo domanda per divenire coinquilini. Papà non prese molto bene il mio trasferimento al campus. Sarebbe rimasto da solo, e non gli avrei manco potuto dare quel poco di aiuto in bottega che gli fornivo ogni tanto. Ma sapevo che non era per quello che stava male. Non dev'essere bello vedere andar via di casa il proprio unico figlio e accettare l'idea che sia ormai un uomo. Sì, ma solo fisicamente, perché mentalmente non so se posso permettermi di affermare di esserlo mai diventato. Ci sentivamo a telefono tutti i weekend, però, e ogni tanto tornavo a casa a trovarlo o veniva lui da me. Funzionava, e - non gliel'ho mai detto - rivederlo mi rassicurava immensamente quando ero in un particolare momento di sconforto e temevo che non ce l'avrei fatta: a passare un esame, a reggere lo stress, ad avere di nuovo a che fare con lei... Mike mi aveva convinto - dopo avermene ripetuto così tante volte i vantaggi da farmi venire mal di testa - a iscrivermi al comitato d'accoglienza, e, grazie alle sue conoscenze, era riuscito a corrompere la segretaria e a fare in modo che, nel caso in cui ci fosse stata una certa Celeste Sullivan tra le matricole, sarei stato io la sua guida. Non tutto andò come previsto, però. Credevo che l'avrei incontrata nel primo pomeriggio, e che avrei registrato nella mia mente l'immagine della sua espressione stupita. Non mi ero mai preoccupato di chiedermi cosa avesse pensato lei, quella sera, non vedendomi più tornare col suo regalo. Credevo che non se ne fosse importata più di tanto. Invece non avrei mai creduto che la mia dipartita avesse sortito effetti tanto gravi, da provocarle una sottospecie di trauma psicologico e... No, non devo saltare le tappe. Scusa, è che non sono bravo in queste cose. Non ho mai raccontato una storia a qualcuno, non so esattamente come si faccia. In ogni caso... Dovevo passare in segreteria per confermare la mia presenza per il tour di quel pomeriggio, ancora non del tutto convinto di compiere quella follia, ed ero diretto lì quando la vidi. E mi si fermò il cuore in petto e smisi di respirare per quelli che saranno stati pochi secondi, ma che mi parvero un'eternità. Stava cercando di riacciuffare un foglio che il vento le aveva sottratto, e correva da una parte all'altra, incurante degli sguardi sconvolti della maggior parte delle persone che la circondavano. Un involontario sorriso prese forma sulle mie labbra, soprattutto quando vidi che si era colorata i capelli di un rosa strano - come mi aveva promesso da bambini, quando avevamo fatto una scommessa stupida che, sinceramente, nemmeno rammentavo. Era sempre la stessa: sbadata, indaffarata e bellissima. Con il cuore che in quel momento aveva cominciato a battere all'impazzata - quasi a voler venir fuori dalla mia gabbia toracica -, mi avvicinai a lei, non memore di quanto fosse realmente sbadata. Mi venne addosso, facendo cadere a terra quelle poche cose che avevo in mano e che mi ero scocciato di mettere nella cartellina che portavo in spalla, e cadde a terra lei stessa, probabilmente a causa dell'urto. E, di tutti i discorsi che avevo immaginato mi avrebbe fatto, di tutte le cose che pensavo che mi avrebbe detto o rinfacciato, sai cosa mi disse, invece? A me scappò un'imprecazione dovuta alla sorpresa, e lei si lamentò del fatto che le fossi andato io a sbattere contro, e mi consigliò di stare più attento. Allibito, non le diedi neanche una mano ad alzarsi - cosa a cui provvide da sé. Ma a colpirmi non furono le sue parole. Quello che mi distrusse fu lo sguardo spaesato e incuriosito con il quale mi osservò il viso. Per un minuto buono non fece altro che squadrarmi, come se non mi avesse mai visto prima in vita sua. E, mentre quella sua espressione raschiava via quell'ultimo briciolo di autocontrollo che mi era rimasto, mentre il mio cuore mi urlava di gridarle in faccia che era una stronza - come al solito -, che la doveva smettere di fare l'idiota e abbracciarmi, che doveva quantomeno chiedermi scusa per quello che era accaduto tre anni prima - che mi aveva procurato non pochi problemi -, che si meritava lei la mia indifferenza - non io la sua -, che... tante altre cose, il mio cervello mi impose di mandarla a fanculo. E così feci, sprezzante, per poi tornare sui miei passi e fare uno sforzo immane per non voltarmi. Sì, lo so che è assurdo, ma ti ho detto che ti spiegherò tutto passo per passo. È inutile saltare direttamente alle conclusioni senza sapere cos'è capitato per filo e per segno. L'attesa aumenta l'aspettativa, no? Farti stare sulle spine mi diverte, Jane, scusa. E smettila di guardarmi così! Lo so che mi adori anche per questo.

"Do I wanna know?
If this feeling flows both ways.
It's hard to see you go,
Was sorta hoping that you'd stay".

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora