7. Friends

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"We're not, no we're not friends,
Nor have we ever been. We just
Try to keep those secrets in a lie,
And if they find out, will it all go
Wrong? And Heaven knows,
No one wants it to".

Tutte le luci si riaccendono dopo pochi secondi, mentre il suono amplificato della chitarra acustica di Peter si propaga ancora nell'aria, trasmesso dalle casse ai lati del palco. In uno stato catatonico, reduce da questa sua esibizione, che è stata ciò che di più inaspettato e sconvolgente potesse capitarmi, mantengo il contatto visivo con lui. Guardandomi piangere a dirotto, deglutisce e serra gli occhi, reggendo su una sua coscia la chitarra con una mano, e strofinandosi le palpebre con il pollice e l'indice dell'altra. Il pubblico sta ancora applaudendo, ignaro di ogni cosa, e gli dedica addirittura una standing ovation. Tuttavia, i rumori giungono ovattati, alle mie orecchie che fischiano. Tiro su col naso e mi impongo di darmi un contegno. Perviene proprio ora il cameriere di prima, con in mano il cocktail che ho ordinato; me lo poggia davanti e lo ringrazio, tentando di non apparire troppo scossa e passandomi le dita delle mani sotto gli occhi e sulle guance. Sento gli sguardi di quei tre addosso, a perforarmi l'anima. Ma li evito accuratamente e mi munisco di un fazzoletto per soffiarmi il naso. Mi alzo e recupero la mia borsetta dallo schienale della sedia, nel momento esatto in cui sopraggiunge sul palcoscenico un uomo sulla trentina - a cui non presto particolare attenzione - che, con un microfono in mano, commenta la performance di Peter e introduce un altro artista, mentre Peter scende dal palco sorreggendo la chitarra. Con gambe tremanti, rassicuro Connie, Will e Colin, visibilmente in apprensione, e mi avvicino al piano bar per chiedere dove si trovi la toilette. La ragazza - impegnata a dispensare consigli a un pover uomo totalmente ubriaco seduto al bancone, che le sta raccontando tutti i problemi che affliggono la sua vita - mi indica distrattamente con un dito una porta alla fine di un lungo corridoio buio. Mi affretto a raggiungerla e la spingo per aprirla. C'è un tremendo tanfo di vomito, alcool e altri odori non ben identificati, e stento a trattenere un conato. Mi avvicino all'unico lavandino presente, otturato con dei pezzi di carta igienica bagnata, e mi guardo allo specchio sopra di esso. Pensavo peggio, onestamente. Ho solo gli occhi cerchiati dall'eyeliner sciolto e le guance rigate di nero. Sospiro e apro di poco il rubinetto. Mi bagno le mani e, in assenza di sapone, mi sciacquo il viso facendone a meno. Prendo dalla borsa un pacchetto di fazzoletti e mi servo di uno per asciugarmi le mani, e di un altro per la faccia. Non avevo previsto di fare questa fine, quindi non ho portato né mascara né matita per occhi con me. Dovrò accontentarmi di essere riuscita a eliminare almeno la parte più evidente e di apparire comunque abbastanza scombinata. Rimetto il pacco di fazzolettini al proprio posto, mi ravvivo i capelli e mi pizzico le guance per assumere quantomeno più colore e non sembrare un cadavere. Osservo per un'ultima volta il mio riflesso, e distolgo lo sguardo quando gli occhi mi si fanno lucidi di nuovo e sento di star per riprendere a piangere. Testa alta, pancia in dentro, petto in fuori, esco da quella latrina e ritorno al nostro tavolo, afferrando e bevendo tutto d'un sorso il mio drink, procurandomi un piccolo giramento di testa per l'impeto. Mi osservano tutti e tre attoniti, mentre, ancora in piedi, mi guardo attorno.

"Dov'è?" domando, non sentendo la necessità di specificare il soggetto della frase, siccome mi sembra alquanto ovvio.

"Lo abbiamo visto uscire qualche minuto fa" mi informa Will, titubante, fissandomi con attenzione.

Annuisco e faccio per uscire a mia volta dal locale, ma la voce di Colin mi trattiene e arresta la mia corsa.

"Cosa hai intenzione di fare?" mi interroga, guardingo, con un sopracciglio all'insù e il volto inespressivo.

Scuoto il capo e alzo le spalle, per fargli capire che non lo so neanche io, cosa ho intenzione di fare. Vorrei solo riuscire a trovare Peter e parlargli, una volta tanto. Come iniziare un discorso o cosa dirgli non lo so. Ma è qualcosa di cui mi preoccuperò nel momento in cui mi sarà davanti. Mi incammino a passo svelto verso la porta e la spalanco, avvertendo il cambio di temperatura non appena metto piede all'esterno. Dentro l'aria era afosa e soffocante, ora posso finalmente respirare. E ne ho la certezza quando individuo la figura di Peter, con un giubbino blu leggero addosso, appoggiato con le spalle alla parete esterna dell'edificio. Noto solo in un secondo momento la sigaretta accesa in bilico tra il medio e l'indice della sua mano destra. Non mi vede subito, perché guarda dritto davanti a sé, e, intanto, aspira il filtro, lasciando poi fuoriuscire il fumo dalle labbra qualche istante dopo. Non ragiono più e mi avvicino, indispettita, incapace di tenere a freno la lingua.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora