9. Places Where We Are

8.6K 458 311
                                    

"Was I the only one ready to fight for us?
'Cause on my own I'm left in dust".

La sua voce mi suona familiare, calda. Come quando si è stati lontani da casa per troppo tempo e, nel momento in cui si ritorna, si è sopraffatti dalle emozioni e dalle sensazioni. Perché, magari, mentre si è via non lo si realizza: si ha altro da fare, altro a cui pensare - svaghi, impegni. Quando si torna, però, quando si ha davanti ciò che ci si è lasciati dietro e di cui si è inconsapevolmente avvertita la mancanza, lì viene il bello. C'è chi piange di gioia, per esser ritornato alle proprie origini. E chi piange perché si sente in colpa, per non aver patito una mancanza così prorompente e lacerante. Perché è solo quando ci si interfaccia con ciò che si è perso e, in cuor proprio, si è consci del fatto che lo si perderà di nuovo, che ci si avvilisce. Ci si sente come se il mondo ci stesse cadendo addosso. Ed è quello che io provo ora. Presa da tutto ciò che avevo da portare a termine, da compiere, qui e durante il mio viaggio, non ho pensato a Evan. Non ho pensato a come deve essersi sentito lui, quando l'ho piantato in asso il giorno del suo compleanno; quando ho distrutto con poche parole tutto quello che avevamo costruito in due anni; quando, non contenta, gli ho fatto intendere che sarei andata da un altro. Un altro di cui non gli ho mai parlato, di cui non ha mai saputo l'esistenza: perché Peter è una cosa mia, e non ho mai voluto condividerla con nessuno. Eppure ora è strano. È diverso. Perché ora, ad ascoltare Evan parlare - anche se non ha ancora detto niente, ha solo pronunciato il mio nome -, ho il pressante desiderio di piangere. Non so darmene una ragione, ma gli occhi mi si riempiono di lacrime. Ma con che coraggio sto facendo questa telefonata, dopo tutto quello che gli ho detto? Gli avevo promesso che sarei tornata, ma lo sapevamo entrambi che non era vero. Il punto è che ora l'ho chiamato. Ed è un po' come se fossi tornata da lui. E non vorrei illuderlo, perché non me la sento, di tornare con lui. Per rispetto di lui, innanzitutto, e per coerenza. Non è che, ora che è "finita" - se è mai cominciata - con Peter, corro dritta tra le sue braccia. Non posso fargli questo. E non posso farlo neanche a me. Ho appena perso il mio cuore, in una battaglia che credevo di poter vincere in partenza, ma durante la quale ho, invece, fallito miseramente. Come posso pretendere, allora, di poterlo donare a qualcun altro, se non ne posseggo più uno? Non sto nemmeno pensando alla possibilità di intraprendere un'altra relazione: è un'opzione che non è proprio contemplabile. So che a tutto c'è rimedio e che tutto si supera, con il tempo, ma non so se io potrò mai superare quello che è successo con Peter. Non so se potrei mai andare oltre. È qualcosa che mi ha segnato a tal punto, che non credo proprio che passerà tanto facilmente. Una parte di me vorrebbe ardentemente poter cancellare tutto, vorrebbe che ci fosse un tasto di reset che mi rispedisca indietro e depenni Peter dai miei ricordi e dal mio cuore. Come è successo sei anni fa, quando il trauma della perdita mi aveva addirittura spinta a dimenticare il suo nome e il suo viso. Tuttavia, un'altra parte di me, quella maggiore e più estesa, non desidererebbe scordare Peter neppure per tutto l'oro del mondo. Sarebbe come amputarmi un arto o fare a meno di un organo vitale. Non penso esista modo migliore per rendere il concetto.

"Ehi... Sei ancora lì?" si informa, cauto e attento, siccome sono rimasta in silenzio più del dovuto, dopo aver proferito il suo nome.

"Sì, scusa, è che..." principio, ma mi blocco pochi secondi dopo, non sapendo come giustificarmi in maniera ragionevole.

Per di più mi si incrina la voce, come se non bastasse, e non sono in grado di articolare un discorso sensato. E, senza avere il controllo delle mie azioni, tutta la tensione, la pressione, la sofferenza, accumulate durante questi cinque giorni di mutismo e passività, sfociano in un pianto isterico. Non volevo questo. Non volevo piangere e fargli pena. Non avevo in programma un discorso da fargli, ma di certo non volevo farmi compatire.

"Non piangere, principessa. È successo qualcosa di grave?" domanda, con premura, e ciò non fa altro che farmi singhiozzare maggiormente, specie per il nomignolo solo nostro che aveva deciso di affibbiarmi tempo fa.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora