3. The One That Got Away

7K 361 167
                                    

"Never planned that one day I'll be
Losing you.

In another life, I would be your girl,
We keep all our promises, be us against
The world. In another life I would
Make you stay, so I don't have to say
You were the one that got away".

"Ti pare possibile che dovevamo bucare una gomma proprio adesso? Cazzo, Colin, ti ho detto di schivare quella buca quando eravamo ancora a cento metri di distanza!" si lamenta Will, alterato come fino a ora non lo avevo mai visto, passandosi nervosamente le mani tra i capelli.

"Cerchiamo di mantenere la calma. Dovrebbe esserci una ruota di scorta nel cassone. La sapete cambiare una gomma, no?" si informa Connie, risolutiva, aprendo lo sportello dal suo lato e uscendo dall'auto.

I ragazzi sbuffano, ma non ribattono in alcun modo e scendono a loro volta, sbattendo violentemente le reciproche portiere. Li seguo anche io, per capire se posso dare una mano, in qualche maniera, o fare qualcosa, e ci raduniamo tutti e quattro davanti al portello del cassone, mentre Colin lo abbassa e recupera la ruota, il triangolo arancione e il kit per il cambio. Consegna ogni oggetto a Will non appena lo raccapezza, e quest'ultimo li ripone tutti sull'asfalto della piazzola nella quale siamo riusciti ad accostare. Connie ha le mani sui fianchi e un cipiglio in viso. Io mi munisco del triangolo e lo posiziono lontano di qualche metro dal veicolo per segnalare alle altre automobili la presenza del nostro mezzo in avaria. Il cielo è coperto da un cumulo di nuvoloni grigi e l'aria è umida e pesante. È primo pomeriggio, ma non si direbbe, dal cattivo tempo che le condizioni atmosferiche presagiscono. Ho ragione di credere che stasera è previsto un bell'acquazzone. Poco male, al massimo rinfrescherà un po'. Il che sarebbe l'ideale, vista la calura di questi giorni. Per di più siamo su una strada completamente deserta, solo perché "Il navigatore dice che c'è una scorciatoia", ci ha rassicurati Will, tutto contento, e ora siamo finiti in questo posto sperduto e dimenticato da Dio. Mentre gli "uomini" si danno da fare per rimettere la ruota a posto, Connie mi affianca, con le braccia incrociate al petto, e inizia anche lei a osservare quei due all'opera.

"Come ti senti?" indaga, guardinga, attenta a non fare la mossa sbagliata, come quando entri in una cristalleria e hai paura di rompere qualsiasi cosa anche solo fissandola.

Assumo la sua stessa posizione e, con lo sguardo perso - vuoto - e la testa stranamente leggera, connetto gli occhi ai suoi. Scrollo le spalle e lascio cadere l'argomento, perché non lo so neanche io, come mi sento. Stanno succedendo fin troppe cose in un arco di tempo decisamente breve, e forse avrei davvero bisogno di una pausa riflessiva, quella che ho chiesto a Evan, per esempio, e che non sto sfruttando. Perché, da quando sono partita, tutto ho fatto tranne che riflettere. Ho agito impulsivamente, come mio solito, e ora mi ritrovo qui, in questa landa desolata, e, come se non bastasse, ho coinvolto non una, ma ben tre persone, in questa impresa eroica che di eroico non ha nulla. Per gli antichi Greci esisteva il mito del vaso di Pandora, che narrava la vicenda di due fratelli: Prometeo - colui che pensa prima - ed Epimeteo - colui che pensa dopo. Per punire Prometeo, perché si era permesso di rubare il fuoco - che allora era ancora sconosciuto agli uomini comuni - agli dei, e perché aveva fatto così in modo che l'umanità fosse al pari delle divinità, Zeus - il padre di tutti gli dei - lo incatenò a una montagna e lo condannò ad avere il fegato - che ricresceva ogni notte - divorato da un'aquila; per punire il genere umano, ordinò a Efesto - dio del fuoco - di creare una donna che fosse in possesso di ogni virtù. Ogni dio porse un dono a questa donna - Pandora, chiamata così perché era letteralmente "piena di doni": Atena le donò la saggezza, Afrodite la bellezza, e così via. Spedirono poi la donna tra gli uomini, con un vaso che conteneva tutti i mali del mondo, e che, se scoperchiato, avrebbe portato solo disgrazie: gli uomini non avrebbero più vissuto nell'età dell'oro, avrebbero conosciuto la sofferenza, la fatica, la morte. Una volta sulla Terra, Pandora incontrò Epimeteo - che era ritenuto il fratello stupido, proprio perché agiva senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni -, che si innamorò di lei e la sposò. Un giorno Pandora, incuriosita dal misterioso contenuto del vaso, lo stappò. Tutti i mali furono liberati, ma uno in particolare rimase sul fondo del recipiente e non venne fuori: la speranza. Ricordo che il professore di letteratura al liceo ci narrò questo mito, durante un giorno di lezione, e io ne rimasi affascinata. E mi chiedevo perché la speranza fosse considerato un male, quando la reputavo una cosa bella, pensando che, senza speranza, la vita di una persona sarebbe stata priva di significato, piatta e triste. Solo ora capisco quanto invece mi sbagliassi, e quanto i Greci fossero avanti, per aver già compreso quanto c'era da comprendere: la speranza è un male. La speranza illude le persone, le manipola, fa credere loro che possa esserci una possibilità, anche piccola - minima -, ma che ci sia. E poi? Poi, quando rinsavisci e ti rendi conto che non hai fatto altro che raccontarti bugie e finte verità per rimandare la delusione certa, ci rimani doppiamente di merda. E non puoi far altro che arrabbiarti e prendertela con te stesso perché, cavolo, chi ti ha chiesto di prenderti in giro a questo modo, altrimenti? In questi ultimi tempi mi sono aggrappata alla speranza e ne ho fatto il mio appiglio, come se fossi stata sull'orlo di un precipizio e lei fosse stato l'unico ramo d'albero al quale potevo sorreggermi per evitare di cadere nel nulla. Beh, quel ramo si è spezzato, adesso, e io sono inevitabilmente precipitata nel buio, nel vuoto. Che ci faccio qui? E queste persone, queste tre folli persone, perché mi hanno seguita? Okay, Colin posso anche capirlo: siamo sempre stati inseparabili, ci conosciamo da nove anni, siamo l'ombra l'uno dell'altra e abbiamo promesso di sostenerci sempre e comunque. Ma Will? Non sono neppure sicura che sappia cosa sia realmente accaduto, che Colin gli abbia narrato tutta - tutta - la vicenda, che sappia a cosa va incontro. E Connie? A stento conosce il mio cognome. Non sa nulla di me, di noi, così come noi non sappiamo niente di lei, ma ciò non sembra turbarla. E, se da un lato tutto questo è incredibilmente gradevole, perché è una donna che non fa domande e non pretende risposte, dall'altro impedisce anche che gliene vengano fatte. Ho pure ragione di essere convinta che sia incinta, ma perché non dircelo? Capisco che nemmeno noi siamo stati di molte parole riguardo la nostra ricerca, ma l'unica volta che ha provato a chiedermi spiegazioni siamo state interrotte, e lei non ha più introdotto l'argomento. Non esigo chissà cosa, mi interrogo soltanto sul come faccia a meritarmi tutto questo. Io, che ho lasciato il mio ormai ex ragazzo il giorno del suo compleanno. Io, che ho abbandonato Peter sei anni fa, partendo invece di restare e appianare le cose. Io, che ho sempre rifuggito l'amore come la peste, perché avevo una paura fottuta di scottarmi. Io, innamorata dell'amore sin da bambina e diventata cinica a causa dello stesso ragazzo che mi ha rotto e ricomposto il cuore almeno un milione di volte. Io, che, dopo sei anni di silenzio stampa e un ignorarsi reciproco, parto per un folle viaggio attorno all'America senza destinazione né data di ritorno. Io, che ho sbagliato così tante cose nella mia vita che enumerarle tutte risulterebbe impossibile. Io, che l'unica cosa buona che abbia mai fatto è stata incontrare lui, e che me lo sono fatto scappare come un'imbecille. E ora non dovrei neppure piangermi addosso, perché me lo merito. Mi merito tutto questo e anche di peggio. Ma non merito che queste tre persone mettano da parte la propria vita per inseguire me, quando neanche io riesco a starmi dietro. Non è cambiato niente di niente. Sono la stessa ragazzina cocciuta di sei anni fa, immatura ed egoista. C'è gente che morirebbe per me e non lo apprezzo nemmeno. Evan ne è un chiaro esempio. E mi manca. Fatico ad ammetterlo, ma mi manca. Mi ero abituata a lui, e non è che posso buttare nel cesso due anni di relazione così come se niente fosse. E sono un'egoista anche perché non ne ho mai abbastanza, perché voglio sempre di più, perché l'amore di Evan non mi bastava, quello dei miei amici neppure: a me serviva quello di Peter. E forse non sono manco veramente ancora innamorata di lui, e forse non lo sono mai stata. Forse ero innamorata del fatto che fosse innamorato di me. Perché sono partita? Perché sono venuta a cercarlo? Perché sono qui? Probabilmente sono ancora risposte che ho paura di darmi, in quanto la loro natura potrebbe oltremodo spaventarmi più di quanto già non sia.

Celeste - Lasciati trovare [SEQUEL]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora