Domani

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"A tavola ragazzi!" la voce squillante di Lola riecheggiò nella casa silenziosa.
Pian piano raggiungemmo la cucina tutti quanti.

"Sei proprio sicura?" mi sussurrò all'orecchio Alex facendomi percorrere sul mio corpo una serie di brividi. Annuii convinta. "Non potrà mai andare tanto male." rassicurai più me stessa che il mio ragazzo varcando la soglia della cucina.

Mi accomodai al mio posto girando la forchetta nel piatto colmo di pasta senza toccare cibo. L'ansia mi stava sovrastando letteralmente.

"Perché non mangi?" ovviamente il mio comportamento strano non apparve indifferente agli occhi di Lola.

Ora o mai più.

"C'è qualcosa che vorrei dirvi." indicai Lola e poi successivamente mio padre alzandomi in piedi. "Che vorremmo dirvi." precisai quando notai Alex affiancarmi.

"È successo qualcosa di grave?" le solite paranoie di Lola. Scossi la testa. "Assolutamente."

Mio padre puntò i suoi occhi azzurri e freddi su di me. La mascella era contratta e il suo sguardo era duro.

"Insomma è da un po' di tempo che mi sono accorta di provare qualcosa per Alex." silenzio. Mi aspettavo di peggio. Ripresi a parlare. "Stiamo insieme ormai da 5 mesi e.." Lola spalancò la bocca incredula mentre mio padre si alzò di scatto afferrando Alex per il colletto della maglia.

"Lascialo stare!" urlai. "Ma che ti prende?"

"Non potete!" sbatté il mio ragazzo contro il mobile della cucina ma per fortuna non si fece nulla. "Cosi infangherete il nome della nostra famiglia." ditemi che era tutto uno scherzo.

"Il nome della nostra famiglia? Ma ti senti quando parli?" feci una risata amara.

"Io amo sua famiglia." Alex si piazzò davanti a me come per proteggermi da mio padre pur sapendo che non mi avrebbe mai fatto nulla. Ma la sua presenza mi faceva piacere, in un certo senso mi sentivo realmente protetta.

"La ami? Ragazzo non sai cosa sia l'amore." cercò di avvicinarsi ad Alex ma mi piazzai in mezzo per evitare un qualsiasi contatto tra i due o si sarebbe scatenato il putiferio.

"Perché tu invece lo sai?" sputai acida.

"Harper." mi riprese subito mia sorella. Aveva capito benissimo dove volevo andare a parare.

"Non la sai nemmeno tu cosa sia l'amore!"

"Harper." continuò a ripetere mia sorella stringendomi una mano la quale sottrassi subito.

"Harper un cazzo!" urlai. "Parli tanto di amore, ma sei il primo a non sapere cosa sia. Hai finto di amare mia madre per poi lasciarla in un misero appartamento di Los Angeles con ben due figlie. Due figlie cazzo!" presi un bel respiro ma non riuscii a calmarmi nemmeno un po'. "Tutto questo mentre tu vivevi una fantastica vita in una villa stra enorme, una macchina da lusso e tutti i benessere di questo mondo. Ti sei mai chiesto come stessimo?" domandai ma lui non rispose. "No non te lo sei mai chiesto!" risposi al posto suo. "Non una chiamata o un semplice messaggio. Un bel niente! Per tutti questi anni non ti è mai importato nulla di noi e magicamente dopo la morte di nostra madre ci hai voluto prendere con te? Hai voluto prendere le tue due figlie le quali avevi abbandonato molti anni prima?"

"Smettila di parlare in questo modo a tuo padre!"

"No, smettila tu con questa sceneggiata. E io ti parlo come mi pare perché da tempo non ti considero più un padre!" e con questo abbandonai la cucina pur sentendo gridare il mio nome più volte e da più persone diverse.

Corsi in camera mia richiudendomi dentro.
Forse avevo esagerato, specialmente con il pezzo finale. Ma in questo momento era l'ultimo dei miei problemi.

Mi accasciai sul letto soffocando i singhiozzi e immergendo il mio viso sul cuscino.



Due colpi sulla piccola porta in legno.

Mi girai dall'altro lato del letto ignorando completamente quel rumore che aveva appena rovinato il mio sonno.

Due colpi sulla piccola porta in legno. Di nuovo.

Mi costrinsi ad alzarmi dal letto strisciando con i piedi per terra per andare ad aprire.
"Se ti ha mandata mio padre.." cominciai.

"Mi dispiace ma è così." rispose innocua Marie. Dal giorno dei diplomi l'avevamo assunta a tempo pieno. Feci per chiudere la porta ma me la bloccò con il piede destro.

"Marie." la rimproverai.

"Signorina Wilson, suo padre vuole parlarle d'urgenza nel suo ufficio. Credo sia importante." il suo sguardo era duro ma pieno di compassione. Avrà sicuramente ascoltato le grida della nostra discussione in cucina.

"E se io non volessi parlargli?" alzai gli occhi al cielo al solo pensiero di dovermi trovare nuovamente faccia a faccia con quell'uomo.

"Penso sia la cosa più giusta da fare signorina. È stata molto dura con suo padre."

"Se lo meritava."

"Signorina." mi rimproverò Marie.
"E va bene." acconsentii strisciando nello studio di mio padre. Non mi preoccupai neanche di bussare catapultandomi dentro.

Se avesse dovuto parlarmi di qualcosa, che lo avesse fatto il prima possibile.

Mi scrutò con i suoi occhi freddi ad ogni mio movimento compiuto. Mi sentivo parecchio in soggezione. "Smettila di fissarmi." uscì più come un ordine.

"Siediti." la sua voce era pacata e questo non prometteva nulla di buono. Mio padre era più pericoloso da tranquillo che da arrabbiato. Può sembrare un controsenso ma lui era così.

Obbedii accomodandomi sulla poltrona di fronte la sua scrivania.

"Amavo tua madre." in realtà su questo non avevo dubbi. Volevo solo fargliela pesare, farlo sentire in colpa.

"Lo so."

"Non avrei mai voluto ferirti."

"Evita." risi amaramente. "Vai al punto." ordinai. "Non ho intenzione di rimanere un minuto di più su questa sedia."

"Infatti questa è l'ultima volta che succederà." lo guardai confusa e mi porse una piccola busta bianca. La presi e la aprii lentamente.
C'era solo un biglietto. Di solo andata. Per Oxford.

"E questo?" domandai più confusa di prima sventolandolo in aria.

"Prepara le valigie. Domani stesso lascerai la città." spalancai la bocca incredula.
Mio padre aveva appena rovinato la mia vita.




SPAZIO AUTRICE:
forse il capitolo più brutto che abbia mai scritto. Mi dispiace!
Il prossimo sarà l'ultimo!
-Reb

Amore proibitoWhere stories live. Discover now