1.7 Qualcuna

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Il letto è morbido e caldo, la casa silenziosa. Il piumone mi arriva fino al mento e la calma mi avvolge, facendomi fare sogni tranquilli. Ma la mia calma viene spazzata via dalla suoneria squillante del mio IPhone. Mugolo, contrariata e mi stiracchio, cercando di non tirare calci a Jane che dorme tranquilla vicino a me. Avevo una stanza degli ospiti apposta per queste occasioni, ma ogni volta che organizzavamo pigiama party, finivamo con l'addormentarci sempre nello stesso letto.
Senza neanche aprire gli occhi, allungo il braccio sul comodino grigio a due cassetti ed acciuffo il telefono, accettando la chiamata e portandolo all'orecchio.
«Pronto?»
Biascico, tirandomi le coperte fin sotto il naso. Stavo dormendo così bene.
«Buongiorno, festaiola.»
Mormora Xavier dall'altra parte del telefono. Posso giurare che stia sorridendo in questo momento.
«Mh. Mi hai svegliata di domenica mattina. È illegale.»
Continuo a biascicare, girandomi su un fianco e adagiando la guancia sul cuscino, grande ed esageratamente morbido. Lui ride giocondo e in sottofondo sento l'acqua che scorre.
«Scusami pulce, non era mia intenzione. Sono quasi le dieci, vi andrebbe, adorabili festaiole, di venire a fare colazione con me e Kirill? È appena tornato qui a Parigi e poi, potremmo fare un giro in città dopo.»
Propone con voce vellutata. Mi ha comunque svegliata di domenica mattina.
«Ci vorrà di più per farti perdonare.»
Proclamo, stropicciandomi gli occhi e mettendomi a sedere sul letto. Le coperte rosse mi ricadono in grembo. Le tende lasciano trapelare i raggi del sole. Doveva esserci bel tempo fuori, nonostante l'aria dicembrina.
«Decidi tu dove andare, basta che non sia Starbuck's, troppa gente.»
Sorrido, non saremmo andati da Starbuck's comunque, volevo una millefoglie per colazione.
«Al Lobby, ho voglia di millefoglie.»
Confesso, alzandomi dal letto e dirigendomi verso il balcone. Scosto le tende rosse il minimo indispensabile per assicurarmi che il tempo sia bello. Soleggiato e con poco vento.
«Ha gusto la signorina.»
Sono sicura che su quel bel visino stia campeggiando un sorriso beffardo. Lo stesso che ho sulle labbra al momento.
«Alle dieci e un quarto sotto casa mia. Non ritardate.»
Dico infine, lasciando le tende e aprendo l'armadio a muro. Tiro fuori dei semplici skinny jeans blu ed un maglione dolcevita di cashmere.
«Ricevuto capo. A dopo.»
«A tra poco.»
Prendo dell'intimo pulito di seta nera e mi dirigo in bagno, lavandomi denti e faccia. Il bagno della camera da letto è caratterizzato da un bellissimo mosaico blu cobalto che ricopre tutta la superficie, ha una doccia di vetro resina bianca, i servizi igienici, uno specchio grande e quadrato ed un enorme lavabo di marmo bianco con sotto quattro cassetti contenenti asciugamani e quant'altro. Faccio una doccia fredda per svegliarmi, poi mi vesto e torno in camera, per cercare di svegliare dolcemente la mia compagna di avventure, che dorme beatamente nel letto. Mi avvicino, fino a sedermi accanto a lei. È rannicchiata su un fianco. Inizio a farle i grattini sulla schiena, magari visto che li adora, non mi ucciderà per averla svegliata prima delle dieci di domenica mattina.
«Jane! Sveglia! Andiamo a fare colazione fuori!»
Mugola, prima di aprire gli occhietti da cerbiatta. Le sorrido: ha un'espressione da bambina spaesata.
«Buongiorno dormigliona!»
Esclamo , dandole un buffetto sul naso.
«Buongiorno.»
Biascica, calma.
«Dai alzati e preparati, Xavier e Kirill verranno a prenderci tra poco.»
Annuncio poi, alzandomi dal letto e dirigendomi verso l' armadio. Aveva lasciato dei vestiti da me, così come io lasciavo alcuni dei miei da lei, per le emergenze. Annuisce e chiude gli occhi. Tra poco si alzerà, scommetto che non vede l'ora di rincontrare il biondino. In tutta onestà, penso possa essere quello giusto, da quanto ho potuto vedere condividono lo stesso amore per il sarcasmo.
«Cosa vuol dire che vengono a prenderci?»
Si alza a sedere di scatto, le lenzuola ricadono sul suo grembo. Ridacchio, lo sapevo.
«Hai capito bene! Dai muoviti, vai a fare la doccia, ti preparo qualcosa da mettere.»
Concludo poi, iniziando a rovistare nel guardaroba. Non sapevo cosa avesse lasciato da me l' ultima volta che aveva dormito a casa mia. Annuisce e si dirige in bagno. Rovisto per pochi minuti, prima di trovare un panta-palazzo nero, un maglione rosa cipria di cashmere caldo e morbido e dell'intimo di seta bianca. Facevamo tantissimo shopping insieme.
Glieli lascio piegati vicino al lavabo, mentre cerco delle scarpe da mettere, optando alla fine per delle décolleté colore carne non troppo alte. Alla bruna preparo i suoi amatissimi mocassini neri e lucidi, visto che probabilmente li preferisce agli stivaletti neri che ha lasciato qui l'ultima volta che siamo andate in discoteca insieme. Scendo di sotto in sala, cambiando cibo e acqua alla mia piccola palla di pelo e risalgo in camera per rifare il letto, sbattendo bene le coperte prima di tirarle bene sul materasso.
Una volta finito, metto le scarpe. La porta del bagno si apre, rivelando una Jane dalle gambe chilometriche. Era veramente alta.
«Ti ho preparato i mocassini neri, sono vicini alla tua borsa sulla sedia accanto a te.»
Indicandole con la testa la sedia bianca dietro di lei. Annuisce, sorridente.
«Se vuoi i tacchi dovrei avere un paio di stivaletti neri del tuo numero nella scarpiera, a te la scelta.»
La avverto, prendendo dall'armadio una sciarpa di cashmere color tabacco. L'aria dicembrina a Parigi era magica, ci manca, ma regalava anche mal di gola coi fiocchi e io non volevo rischiare, dovevo ancora dare un esame orale e speravo di tornare a casa dalla mia famiglia senza ammalarmi appena mettevo il naso fuori di casa. Annuisce, prendendo infine gli stivaletti neri. Appena siamo pronte scendiamo in cucina, dove riempio due bicchieri d'acqua fresca, porgendone uno alla mia amica, che lo accetta volentieri.
«Allora, cosa ne pensi?»
Chiedo, sperando capisca a cosa mi sto riferendo. Aggrotta le sopracciglia, non capendo di cosa io stia parlando. Sbuffo ed alzo gli occhi al cielo, prima di rivolgerle un sorriso.
«Vi ho visto, ho visto anche l'occhiolino che ti ha rivolto.»
Dico, sorridendo raggiante. Sono contenta per lei, nonostante la sua ultima storia fosse finita senza un cuore spezzato, so per certo che le manca non sentire più quelle emozioni. Jane era una persona affettuosa e più riceveva affetto, più era radiosa. Kirill sembrava fatto apposta per lei, avevo colto la complicità nei loro occhi, sotto quegli stupidi flirt, simili ad una formalità, in casi del genere. Sorride, per niente imbarazzata.
«Penso di trovare la questione interessante.»
Dice prima di appoggiare il bicchiere blu nel lavabo.
«Fai bene, perché siete appena diventati la mia ship preferita.»
Concludo, appoggiando anche il mio bicchiere e aprendo l'acqua per lavarli. Scuote la testa e sorride, si aspettava questa mia domanda. La suoneria del mio smartphone interrompe le nostre conversazioni e io mi affretto a rispondere: Blacatz sta dormendo nella cuccia, se si sveglia ora è la fine. Odiava rimanere a casa da solo la domenica mattina, era come se lo sapesse che avrei dedicato quella mattinata solo a lui. Non che non lo coccolassi abbastanza, ma la domenica era speciale. Tutta coccole e niente preoccupazioni.
«Pronto?»
Dico, lanciando un'occhiata allarmata al micetto. Dorme beato nella cuccia.
«Hey pulce.»
Risponde il moro.
«Ciao.»
«Siamo qui sotto, siete pronte?»
Chiede, con voce roca. Che si stesse prendendo un bel mal di gola?
«Sì, sicuri di non volere niente?»
Chiedo, preventiva. Gli avrei portato una sciarpa per sicurezza. Sorride, lo sento.
«No, tranquilla. Vi aspettiamo qui.»
«Va bene, a tra poco.»
Attacco e guardo la bruna davanti a me, prendendo il cappotto nero dalla sedia bianca.
«Prendi le tue cose, sono qua sotto che ci aspettano.»
La avverto, indossando il cappotto lungo fino a metà coscia e abbottonandolo fino al collo. Lei prende il suo e fa lo stesso, uscendo poi di casa con me al seguito. I due sono fuori dal cancello ad aspettarci, anche loro con due cappotti scuri addosso. Ci incamminiamo verso di loro.
«Buongiorno bellissime.»
Dicono in coro, sorridendo raggianti.
«Buongiorno bellissimi.»
Ribadisco, ricambiando il loro sorriso. Avrei mangiato una millefoglie. Dopo esserci salutati come si deve, decidiamo di vederci direttamente al Lobby, dividendoci in coppie visto che i signori avevano avuto la brillante idea di venire ognuno con la propria macchina.
«Dormito bene?»
Chiede il moro, una volta saliti in macchina. Aveva un cappotto blu carta da zucchero, come i polacchini e il pantalone dal taglio elegante che indossava, accompagnato da un dolce vita vinaccia.
Niente sciarpa. Immaginavo.
«Divinamente. Poi ha squillato il cellulare ed è finito tutto.»
Rispondo, facendo il labbruccio.
«Non fare quella faccia, tra non molto avrai la tua millefoglie.»
Mormora, svoltando a destra.
«Al cioccolato.»
Specifico, pregustandomi l'immagine di me che divoro una delle meraviglie del mondo. Il moro ride, aumentando l'andatura.
«Al cioccolato. Mi sembri Thomas.»
Confessa, scoccandomi un'occhiata fugace, per poi tornare a guardare la strada.
«Ho sempre pensato che tuo fratello fosse un grande.»
Ride, appoggiando la testa allo schienale.
«Thomas va seguito, mangia troppi dolci altrimenti, e troppi dolci gli fanno male, é insulino-resistente.»
Confessa, fermandosi a un semaforo rosso. E se ero spensierata, non lo sono più. Ho l'immagine di un bambino con un sorrisone e due grandi occhioni azzurri che mi guarda, venendomi incontro per abbracciarmi e chiedermi se gli faccio una torta, nella mia testa. Sento la gola secca.
«Insulino-resistente?»
Mormoro, preoccupata e spaventata. Xavier mi guarda, facendomi un sorriso poco convinto.
«Non è gravissimo, deve solo evitare troppi dolci, a lui basta pochissimo per avere un colesterolo molto alto e problemi di tiroide. Fortunatamente non ha il diabete, va soltanto tenuto d'occhio, non allarmarti.»
Spiega, ripartendo ad un' andatura spedita. Sospiro di sollievo, pensavo peggio.
«Mi sono preoccupata, pensavo peggio. Avresti potuto dirmelo quella volta che ho fatto la torta, ne avrei fatta una senza zucchero e con il latte d'avena o di riso-»
Mi interrompe, afferrando la mia mano sinistra nella sua, calda e ruvida.
«Va bene così, Giulia, non ti preoccupare, una fetta di torta ogni tanto non lo ucciderà. E poi, sono curioso di sapere quale torta farai la prossima volta che guarderemo un film insieme.»
Mormora, rallentando allo stop. Sorrido lievemente.
«Ne farò una con un tasso glicemico basso, così potrà mangiarla anche Thomas.»
Confesso, stringendo lievemente la sua mano. Sorride.
«Lo apprezzerà.»
Parcheggiamo poco distante dal Lobby e visto che siamo i primi ad arrivare, decidiamo di aspettare i nostri amici davanti all'entrata.
«Allora, festaiolo, hai notato anche tu quello che ho notato io tra il biondino e la brunetta, ieri sera?»
Chiedo, con un sorriso sghembo. Lui mi imita, circondandomi la vita con un braccio, racchiudendomi in un mezzo abbraccio.
«Penso non sia passato inosservato, lo hanno capito anche i muri. E Kirill sa il fatto suo.»
Afferma, guardandomi negli occhi.
«Non mi sorprende che Jane si sia lasciata avvicinare, le piacciono i ragazzi sicuri come Kirill.»
Confesso, chiudendo il bottone all'altezza del suo collo. Si sarebbe preso un'influenza.
«Kirill è molto sicuro, ha preso da me.»
Scherza, stringendomi un po' di più a sé. Sorrido. Era sicuro di sé, potevo confermarlo.
«Chissà quante ragazze avrai conquistato con quell'aria spavalda.»
Lo assecondo, passando una mano dietro la sua schiena. Mi sorride beffardo, gli occhi azzurri splendenti.
«Ce n'è una che mi fa ammattire in effetti.»
Mormora, trasformando il sorriso beffardo in uno dolce, in uno autentico. Lo guardo sorpresa, allentando la presa della mia mano sulla sua schiena. Non mi aveva detto di essere interessato a qualcuna. Lo guardo negli occhi: brillano. Non sta mentendo. Aveva promesso di dirmi tutto in qualità di amico. Di migliore amico.
«Perché me lo dici solo ora? Lei chi è?»
Chiedo, curiosa, con sincero interesse.
Trattiene un sorriso e volge lo sguardo alla strada, dove i nostri compagni stanno attraversando.
«Quando scoprirò se le piaccio anche io, te lo dirò.»
Finisce così la conversazione, senza una vera risposta e con una tremenda sensazione di fastidio. Una cosa o me la dici, o non me la dici.Non mi piacevano gli indovinelli. Entriamo nel locale, accomodandoci nella terrazza interna. Arriva subito una cameriera sorridente, pronta a prendere le ordinazioni.
«Buongiorno signori, che cosa posso portarvi?»
Chiede, cercando di non fissare i due ragazzi in modo troppo palese. Come biasimarla, Xavier e Kirill erano davvero carini.
«Buongiorno, per me e la signorina due fette di Saint Honoré e due cappuccini con cacao sopra, grazie.»
Risponde il biondo, con un sorriso cortese, riferendosi alla brunetta al suo fianco. La ragazza appunta tutto sul suo tablet, regalandoci poi un sorriso educato.
«E per voi?»
Mi preparo a rispondere, ma la voce del moro sovrasta la mia.
«Una cioccolata calda, un caffè macchiato e due mille foglie al cioccolato fondente, grazie.»
Conclude Xavier. La cameriera prende nota e ci lascia soli. Non gli avevo detto di volere la cioccolata calda, anche se mi piaceva. Non volevo discutere, quindi non mi sarei messa a ribattere.
«Come facevi a sapere cosa avrei preso?»
Chiede Jane a Kirill, che la guarda come uno che la sa lunga.
«Non rivelo mai i miei trucchi.»
Dice facendo il vago. Jane mette su un broncio ed io scoppio a ridere.
Le ordinazioni arrivano in poco tempo e io mi godo ogni briciolo di pasta.
«Allora Kirill, Xavier mi ha detto che sei appena ritornato qui a Parigi dalla Russia.»
Dico, guardando il biondo che in risposta sorride. Volevo accertarmi che fosse un bravo ragazzo. Non avrei permesso a nessuno di far soffrire le mie amiche, non dopo quello che era successo a me.
«Sì, devo finire il mio tirocinio. A Maggio mi laureerò in medicina.»
Confessa e vedo gli occhi di Jane pieni di ammirazione e stupore. Medico come lei.
«Veramente? Anche io studio medicina!»
Esclama, e con un gesto involontario e spontaneo, appoggia una mano sul suo braccio. Lui le sorride.
«Sembri molto giovane per essere un laureando. Quanti anni hai?»
Chiedo, prendendo un sorso di cioccolata. Xavier ridacchia sommessamente.
«Ventidue. Diciamo che ho iniziato a studiare molto presto. Mi interessa davvero laurearmi in chirurgia.»
Spiega con una calma spaventosa. Un genio come l'amico.
«Anche i miei sono chirurghi, ma penso che diventerò neurologa o biologa, deciderò l'anno prossimo.»
Confessa Jane. Era sempre stata la scelta di fronte alla quale non sapeva cosa rispondere, ma sapevo benissimo che qualunque cosa avesse scelto, avrebbe fatto del bene al mondo. Kirill la guarda, stupito.
«E tu Giulia? Anche tu hai deciso di intraprendere la strada dei tuoi genitori?»
Chiede il moro e gli altri due lo seguono a ruota. Jane sapeva benissimo che non avrei intrapreso gli studi di legge, nonostante fossi portata. Amavo troppo le lingue, sarei diventata traduttrice. Sospiro, giocando con la tazza di cioccolata, oramai finita.
«I miei sono avvocati, hanno uno studio legale ma preferisco studiare lingue, sono più creative.»
Confesso, facendo spallucce.
«Quindi, studi lingue applicate all'economia internazionale. È un bel da fare.»
Costata il biondo, finendo il cappuccino. Annuisco, sorridendo lievemente.
«Io traduco, voi salvate vite. È un bel da fare anche il vostro.»
Osservo.
«Tradurrai in russo mi auguro.»
Scherza, giocoso. Guardo Jane e ci scambiamo un sorriso sornione.
«Certo.»
Dico in russo, gustandomi l'espressione sorpresa del biondo. Quanto mi piaceva sapere il russo.
«Okay. Siete decisamente da non sottovalutare.»
Esclama infine, facendoci ridere.
Restiamo a chiacchierare ancora un po', poi decidiamo di andare a fare un giro per la città. Quando arriva il conto decidiamo di fare a metà, ma i ragazzi ci fermano, irremovibili.
«Siamo stati noi ad invitarvi, facciamo noi.»
Dice il biondo, tirando fuori il cellulare per pagare in modalità contactless.
«Non se ne parla, non vogliamo che paghiate per noi.»
Dico e Jane mi asseconda, tirando fuori il suo cellulare. Adoravo il contactless.
Xavier è più veloce, e mentre battibecchiamo con il biondo, lui paga per tutti. Mi aveva battuta.
«Un vero gentiluomo non fa mai pagare una signora.»
Dicono all'unisono, con faccia da angioletto.
«Vi ringraziamo, ma non ce n'era bisogno.»
Concludo, con voce atona. Se doveva fare così ogni volta che saremmo usciti insieme non avrei retto. Non stavamo insieme.
Usciamo dal locale e decidiamo di fare un giro lungo la Senna. Io e Jane siamo davanti ai due ragazzi di pochi passi e chiacchieriamo, guardandoci intorno per ammirare Parigi con occhi pieni di meraviglia. Era il nostro sogno riuscire ad abitarci, un giorno. E quale occasione migliore dello studio? Nessuna. Avevamo colto la palla al balzo, quando avevamo scoperto di essere state prese nelle rispettive università. Avevo pianto dalla gioia e urlato correndo per tutta casa. Mia mamma si era messa a ridere per la mia reazione, a detta sua esagerata.

Parigi, amori e bugie. Where stories live. Discover now