2.2 Spiacevoli scoperte

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Avevo sempre trovato rilassante il suono della pioggia, il ticchettio prodotto dalle gocce che picchiavano sulle superfici, l'odore dell'humus umido per le strade.
E adesso, immersa nell'acqua calda fino al collo, dentro alla vasca da bagno, la pioggia è musica per le mie orecchie.
Fisso il pavimento di mattonelle blu cobalto, dove giacciono vestito e scarpe. Ho smesso di piangere da poco e sento la testa pesante. Ero in trance, non sentivo niente, non provavo niente e purtroppo sapevo che sarebbe stata soltanto una fase. Mi sarebbe bastato vederlo una volta per scoppiare a piangere come una fontana. Rilascio un lungo sospiro e mi tappo il naso, immergendomi nell'acqua calda e profumata. Una volta asciutta indosso una camicia da notte di lino bianco e nonostante non mi piaccia che Blacatz dorma sul letto, glielo concedo. Sono sicura che senta il mio sconforto.
Si raggomitola al mio fianco, sopra le coperte e veglia il mio sonno. Sonno che dura la bellezza di sedici ore. Mi sveglio intontita. Blacatz miagola, zampettando sulla mia spalla. Ha fame. Sbadiglio e mi alzo dal letto, pronta per sfamarlo.
Sono le quattro di lunedì pomeriggio. Non sono andata a lezione e non mi interessa.
«Così non va bene.»
Mormoro, passandomi una mano sul viso. Decido di preparare il caffè con la moka e di mangiare qualcosa. Il caffè è rivitalizzante. Lo butto giù tutto d'un sorso, facendo un verso d'approvazione alla fine. Ci voleva proprio.
Il campanello suona insistentemente, facendomi irritare. Odiavo il trillo del campanello ripetuto in loop. Sbuffo, indossando la vestaglia bianca di ciniglia. Chi sarà? Sbadiglio e apro la porta di casa.
Due occhi da cerbiatta mi sorridono leggermente imbarazzati. Jane.
«Jane, avevo appena aperto occhio, ti serve qual- Eleonora!»
Esclamo, scansando la bruna e abbracciando Eleonora, che, ovviamente, ricambia. Era imbacuccata dalla testa ai piedi. Parigi era freddissima.
«Quando sei arrivata? Come stai? Ti diverti a Londra?»
Inizio con le domande a raffica, ma Ele mi blocca ci spinge tutte in casa, visto che eravamo sulla soglia. Chiude la porta alle sue spalle e poi, inizia la terapia di gruppo.
«Ero venuta per fare una sorpresa, ma mi sa che l'aria che tira qui non è esattamente aria da festa. Allora? Pensi di volermi aggiornare o no?»
Domanda, appendendo il piumone rosso nell'armadio all'entrata, seguita da Jane.
Ci sediamo tutte sul divano letto, con del tè caldo alla menta dentro le tazze bianche di ceramica. Tradizione del nostro gruppo da anni. Ci si scambiava i segreti? Si beveva the.
«Sii sincera con noi, Giulia, ma specialmente con te stessa. Cosa ti ha turbata così tanto da tirargli addirittura uno schiaffo?»
Domanda Eleonora, cercando di capire la situazione. Mi piacerebbe capire perché. Forse perché semplicemente mi sentivo costretta a stargli vicino quando era evidente che non volessi . Ero spalle al muro e istintivamente ho pensato a una cosa sola: liberarmi. Sospiro e prendo un sorso di tè. Blacatz si è addormentato nella sua cuccia.
«Gli ho raccontato di Riccardo e di tutte le bugie, gli ho esplicitamente chiesto di non mentirmi a nessun costo, che avrei preferito litigare pur di non sentire bugie.
Mi fidavo completamente di lui, sa tutto di me, gli ho solo chiesto di essere sincero nei miei confronti e non importa se sembro una che se la prende per tutto, io mi sento presa in giro. Mi chiedo perché avrebbe dovuto mentire su una cosa simile e se penso che molto probabilmente la nostra amicizia è iniziata con una bugia, non mi sento sicura. Cos'altro potrebbe nascondermi?»
Spiego, assottigliando la voce sempre di più. Stavo per piangere, odiavo piangere. I miei occhi si arrossano, ma cerco di non pensarci. Se lo faccio è peggio. Eleonora sospira. Era venuta qui per farci una sorpresa e si trovava a doversi sorbire i miei problemi.
«Non vuoi dargli l'opportunità di spiegarsi? Magari ha un buon motivo.»
Mi inumidisco le labbra e sposto i capelli dietro le spalle. Come faccio?
«Che motivo? Ancora adesso, non capisco il suo bisogno di non dirmelo. Vorrei parlargli, ma non mi sento pronta, temo di poter scoppiare a piangere se lo vedessi ora, e non posso permettermi di essere mentalmente instabile questo mese: ho quattro esami da dare.»
Spiego e bevo un altro po' di tè. Non avrei permesso a nessuno di distrarmi dall'obiettivo. Il mio futuro era importante.
Blacatz era importante e anche i cuccioli del canile lo erano.
Avevo preso Blacatz grazie a un annuncio sui social, veniva da un piccolo canile di Parigi. Quando sono andata a prenderlo era talmente piccolo da racchiuderlo in una mano. Era insieme a tanti altri cuccioli, abbandonati come lui. Se fosse stato per me, li avrei adottati tutti, ma non avrei avuto lo spazio necessario quindi mi accontentavo di portarli a spasso e di portare qualche provvista quando passavo lì vicino. Ti riempivano sempre il cuore. Avevo letto una frase di un libro intitolato "Con i loro occhi" dell'autrice Monica Pais che mi aveva fatto molto riflettere. Diceva che gli animali che adottiamo avrebbero riempito una parte della nostra vita, ma che noi saremmo stati tutta la loro vita. Io ero tutta la vita di Blacatz e volevo che si sentisse amato.
Jane ed Eleonora annuiscono, imitandomi. Avevo bisogno di tempo, era umano. Avevo le mie amiche con me, non avrei perso tempo pensando a Xavier. Non era il caso. Non ora.
«Comunque non pensiamo a questo ora, Eleonora ha tanto da raccontarci!»
Esclamo, sorridendo.

Parigi, amori e bugie. Where stories live. Discover now