2.0 Mistersonobellosoloio

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Chiudo il libro di grammatica italiana, prima di alzarmi, con il moro al seguito. Le lezioni erano ricominciate e con loro, anche le ripetizioni.
Oggi avevo dato ripetizioni a tre persone diverse e Xavier chiudeva il cerchio. Gli avevo spiegato come e quando usare i tempi verbali come il trapassato remoto e prossimo e avevo chiarito alcune confusioni tra condizionale e futuro. "Potremo" e "potremmo" erano diversi. Grammaticalmente, le sue frasi sono giuste, ma il suo accento francese è molto marcato.
Gli sorrido, legandomi la sciarpa blu pavone intorno al collo.
«Sei bravo, l'unica cosa che non ti fa sembrare italiano è l'accento.»
Ridacchia, passando una mano tra i capelli. Indossava un cappotto nero lungo poco sotto il ginocchio.
«Irrilevante, mi dicono.»
Scherza, uscendo fuori dall'aula studio. Faccio un sorriso di scuse, accompagnato da un'alzata di spalle.
«Sei venuta in macchina?»
Chiede, una volta usciti dalla facoltà. Il cielo aveva già incominciato a imbrunirsi e l'aria era talmente fredda da far contrarre tutti i muscoli della schiena, nonostante il cappotto pesante.
Lo guardo, scuotendo la testa in segno di negazione. Avevo preso la metro, avevo voglia di camminare.
Mi sorride, avvolgendo le mie spalle con un braccio.
«Ti accompagno.»
Saliamo in macchina e sono costretta a slacciare il nodo della sciarpa per colpa del caldo. Appoggio la testa al finestrino, guardando Parigi illuminata. Era un sogno, una città di stelle.
«A cosa pensi?»
Domanda, lanciandomi una veloce occhiata.
«A quanto sia bella Parigi.»
Ammetto, sorridendo lievemente. Lo sento sorridere.
«Perché sei venuta a Parigi? È soltanto per l'istruzione?»

Chiede, entrando a Montparnasse. Dieci minuti e sarei stata a casa. Alzo la testa e lo guardo: fissa la strada, ma mi vede benissimo.
«Parigi era un sogno, mi ha sempre fatta stare bene, pensarci. A parte l'università, Parigi è sempre stata nel mio cuore.»
Confesso, tornando a guardare fuori dal finestrino. I locali erano già gremiti di gente e non erano neanche le sette di sera.
«Ti affascina perché è la città dell'amore?»
Scherza, facendo comparire una piccola fossetta sulla guancia sinistra. Sorrido.
«Era un lato non indifferente, quello.»
Dico, facendo la finta offesa. Ridacchia, fermandosi a
un semaforo rosso.
«Alla fine ci sei venuta da fidanzata fuori sede.»
Sospira, amareggiato. Sospiro anche io, pensierosa.
«Nessuno avrà mai il diritto di scegliere per me. Parigi era il mio sogno e l'ho realizzato. Se la persona che mi stava accanto non è riuscita a capirne l'importanza, allora non era fatta per me. Abbiamo visto com'è andata a finire. Come io lo amavo e non mi sono posta come ostacolo ai suoi sogni, lui avrebbe dovuto fare lo stesso, e non tenere il piede in due scarpe quando le cose non andavano più come avrebbe voluto. Non è colpa mia se non è riuscito a far fronte alle difficoltà e a cercare un punto d'incontro. Io sono rimasta sincera.»
Mormoro, fissando il cielo scuro. Xavier sospira pesantemente e riparte.
«Parigi è magica, ti darà nuove opportunità.»
Confessa, solleticandomi un fianco. Faccio un salto dalla sorpresa e mi spiaccico contro la portiera, emettendo un piccolo urlo, accompagnato dal clacson di un Suv della corsia affianco.
«Tra le opportunità non c'è quella di morire di infarto!»
Ride di gusto, buttando la testa all'indietro.
«Perché perdere la visione della cosa più bella del mondo?»
Domanda poi, una volta smesso di ridere. Lo guardo confusa.
«Che cosa?»
Sorride lievemente, prima di accostare davanti al cancello di casa mia e guardarmi con degli occhi trasparenti.
«Parigi.»
Ridacchio, dandogli una pacca sulla spalla, pronta a
uscire dall'abitacolo.
«Ci vediamo domani, festaiolo.»
Annuncio, schioccandogli un bacio sulla guancia. Sorride, mandandomi un bacio volante.
Una volta a casa, faccio una doccia veloce e preparo la cena ascoltando le canzoni in riproduzione casuale sull'iPod.
Dopo cena coccolo Blacatz finché non si addormenta, finendo per imitarlo, stesa sul divano, coperta solo da un plaid grigio.
La settimana passa veloce, tra lezioni pesanti, uno studio sfrenato, la casa e Blacatz da accudire e gli allenamenti serali in palestra.
Sto preparando i cookies, quando il campanello di casa inizia a trillare senza una sosta.
Controllo l'orario sul telefono. Le cinque e dieci di pomeriggio.
Mi lavo le mani, sporche di impasto e mi affretto ad aprire la porta d'ingresso.
Un'ondata di profumo alla vaniglia invade l'ingresso e
un abbraccio mi stritola i fianchi.  Jane ha la testa nell'incavo del mio collo e singhiozza leggermente.
Deglutisco e la stringo forte, accarezzandole i capelli.
Una Jane sul punto di piangere era un brutto segno.
«Gelato?»
Sussurro, guardandola negli occhi color cioccolato. Annuisce, tirando su con il naso.
Torno in cucina e metto l'impasto dei biscotti a cuocere, poi prendo del gelato al cioccolato e due cucchiai.  Trovo Jane sul divano, con il viso rosso e l'espressione delusa e arrabbiata. Ha le braccia sotto al seno, incrociate sulla camicia bianca e le gambe fasciate dai jeans sono accavallate, fissa lo schermo spento della tivù.
«Allora? Cos'è successo?»
Chiedo, una volta seduta vicino a lei, mentre apro la vaschetta gelida. Sbuffa, prendendo una generosa cucchiaiata di gelato e infilandosela in bocca.
«Quel biondino russo si diverte a tenere il piede in due scarpe.»
Spiega, con la bocca impastata dal gelato. Si era sporcata tutte le labbra. Strabuzzo gli occhi, imitandola.
«Seriamente?»
Bofonchio, ingoiando la dose di dolce. Sbatte i piedi a terra e alza le braccia in aria, facendo una risata amara.
«No, sono venuta qui per raccontare una puttanata.»
Il suo sarcasmo era un chiaro segno di quanto fosse furiosa. Non andava per niente bene. Sospiro, mangiando altro gelato.
«Cos'è successo esattamente?»
Sbuffa, lasciando il cucchiaio conficcato nel gelato.
«Ero nella nuova caffetteria italiana con un mio compagno di corso, Adrian, quello con i capelli rossi.»
Spiega, togliendosi i mocassini neri e lucidi.
«Stavamo chiacchierando, quando a un certo punto mi ha avvertita che Kirill era lì nel locale, ma dalla parte opposta alla nostra.»
Incrocia le gambe sopra al divano e prende l'intera vaschetta in mano.
«Quindi mi sono girata per andare a salutarlo e con chi lo becco?»
Chiede retorica, impugnando il cucchiaio. La guardo, alzando le spalle.
«Con una tipa asiatica con gli occhi blu e i capelli biondi!»
Esclama, infilando una dose di gelato in bocca.
«Magari era una sua amica.»
Dico, cercando una scusa plausibile. Mi guarda torva, leccandosi le labbra.
«Non ci fai il cascamorto se ti senti con me!»
Sibila, picchiettando con un dito sulla mia spalla.
«La teneva tra le braccia e si davano bacini sulle guance in continuazione! Le sorrideva come uno stupido e la guardava come se pendesse dalle sue labbra!»
Esclama, lasciandomi l'ultima cucchiaiata di gelato.
«Sai cos'ho fatto?»
Chiede, mentre imbocco il poco gelato rimasto. Scuoto la testa in segno di negazione. Sorride.
«Sono andata lì e l'ho gentilmente avvertito di non farsi più vedere. Per me può pure tornarsene a bere the tra i ghiacciai.»
Finisce, stendendosi sul divano.
Stringo il cucchiaio nella mia mano destra e mi alzo dal divano, facendo avanti e indietro per il salone.
Come può essere? Jane mi parlava di Kirill, di quanto fosse educato, gentile e carismatico, di come fosse spontaneo. L'aveva portata a vedere il tramonto dove i suoi nonni lo portavano da bambino, le aveva confessato cose che lo avevano segnato durante la crescita, sembrava volesse davvero condividere un qualcosa di speciale con lei. Ma la descrizione di Jane può essere benissimo vista per un casanova. Sono confusa.
«È impossibile. O è proprio un farfallone o non si spiega! Ti ha trattata come farebbe un ragazzo con intenzioni serie, ti mostrava pezzi di sé non indifferenti! Io non so cosa pensare!»
Sospiro poi, sedendomi accanto a lei e prendendo un po' di gelato al cioccolato, ormai sciolto sul fondo della vaschetta.
Distrazione. Jane aveva bisogno di distrazione.
«Non facciamoci abbattere! Stasera andiamo in discoteca a festeggiare la tua singletudine, oggi ufficiale, a quanto pare.»
Esclamo poi, volgendo il cucchiaio al cielo. Non l'avrei lasciata di certo a rimuginare sull'accaduto.
Il Rex pullula di giovani, la maggior parte universitari, specialmente le matricole. La musica è travolgente, siamo qui da un'ora a ballare senza una sosta e sono felice di vedere che Jane sembra spensierata. Si muove con leggerezza a tempo di musica e canta squarciagola insieme a me tutte le canzoni che sceglie il dj, un ragazzo brasiliano sulla trentina.
Il vestito pallettato di Jane riflette le luci soffuse, creando dei giochi ogni volta che si muove. Era curioso: lei aveva indossato un vestitino nero e palettato, io uno bianco di pizzo, entrambi lunghi fino a metà coscia, entrambi monospalla, io la destra, lei la sinistra. Balliamo ancora per un po', finché non decido di andare a prendere qualcosa da bere e lei decide di accompagnarmi. Il bancone di marmo e granito non era molto affollato ed il barman mi sorride gentilmente, chiedendomi cosa preferissi bere, con un accento spagnolo molto marcato.
Ordino un Malibu e quando sto per pagare, una mano tende una banconota da dieci euro al ragazzo, che mi guarda, come per chiedermi il permesso che, ovviamente, nego con un piccolo cenno della testa.
«Lascia, offro io.»
Un ragazzo, mai visto in vita mia, si materializza accanto a noi, deciso a offrire la bevuta.
Mi giro nella sua direzione, e lo osservo.
Alto, slanciato ma con una schiena possente, occhi scuri e capelli corti e castani.
«Ti ringrazio, ma non accetto da bere dagli sconosciuti.»
Ribatto educatamente. Tendo la banconota al barman, ma lo sconosciuto mi blocca nuovamente. Inizia a starmi antipatico. Il ragazzo ridacchia e mi guarda.
«Non posso offrire da bere ad una bella ragazza?»
Sbuffo una risata e mi inumidisco le labbra.
«Non accetto da bere da un ragazzo mai visto in vita mia che neanche prova a parlarmi prima di farlo. »
Il ragazzo ride. Riesco finalmente a pagare il mio drink e lancio una sguardo di scuse al barman, che mi sorride a sua volta, facendomi capire che non c'è nessun problema.
«Ti piace fare la difficile, eh?»
Scoppio a ridere. Ma chi è questo?
«È a te che piace infastidire la gente.»
Mi guarda e posso notare nel suo sguardo quanto sia scocciato.
«Sai cosa darebbero le altre ragazze per un po' del mio tempo?»
Chiede lui e la mia espressione diventa dura. Sto per litigare. Sono pronta a ribattere, ma a parlare non sono io.
«Daniel, la ragazza ha detto no, smettila di darle noia.»
Sussulto e con me, Jane. Kirill è davanti a noi, e conosce Mistersonobellosoloio.
Il ragazzo sbuffa, divertito.
«Altrimenti?»
Lo sfida. Kirill sorride, tranquillo.
«Ti prendo a calci nel culo fino a farti piangere.»
Il ragazzo lo guarda.
«Sto perdendo il mio tempo, qui con voi. Me ne vado.»
Sbuffa e se ne va, guardandoci con aria torva. Kirill sospira per poi voltarsi verso di noi. Ci guarda autoritario.
«Dovreste fare più attenzione . Se ci fosse stato Xavier, a quest'ora quel ragazzo era a terra.»
Dice, guardandomi. Xavier. Non era con lui?
«Scusaci, non ti daremo più preoccupazioni, ce ne stavamo andando.»
Proclama Jane, afferrandomi per un braccio e trascinandomi via il più in fretta possibile. Saluto il mio Malibu, rimasto sul bancone.
«Jane!»
La nostra corsa continua finché Jane non mi dà una spallata, facendomi fare un passo indietro.
«Ragazze...»
Sussurra una voce. Una voce fin troppo familiare. Xavier era davanti a noi, con la solita camicia bianca e dei pantaloni scuri dal taglio elegante, a causa della poca luce non riesco a riconoscere il colore esatto. Ci guarda confuso, indeciso se parlare o meno.
«Jane. Fammi spiegare. Per favore.»
Kirill è affannato, afferra con delicatezza il braccio di Jane e la guarda attendendo disperatamente una risposta positiva. Lei lo guarda, con una freddezza che non le appartiene.
«Per favore.»
Sussurra il biondo. Avrebbe dovuto ascoltarlo prima di tagliare tutti i ponti.
«Dovresti sentire cos'ha da dirti, Jane. Dopo potrai fare ciò che ritieni più giusto.»
Suggerisco, incoraggiandola. Xavier mi fissa, vorrebbe parlarmi ma non lo fa.
«Cinque minuti, non uno in più.»
Annuncia la bruna, sulla difensiva.
«Andranno benissimo.»
Dice Kirill, prendendole la mano ed incitandola a seguirlo. Spariscono nella mischia ed io mi ritrovo da sola con il moro nel bel mezzo di un pezzo trap. Se c'era un qualcosa che non sopportavo, era la musica trap.
«Immagino che siamo qui per lo stesso motivo.»
Dice, accostando la bocca al mio orecchio. Lo guardo: mi sorride e i suoi occhi mi catturano. Non capivo perché i suoi occhi dovessero essere così splendenti, erano dei normali occhi azzurri, c'è n'erano tanti in giro, ma i suoi sembravano essere diversi, erano ammalianti.
«Cercavi di distrarlo?»
Urlo, cercando di sovrastare Afro Trap. Sorride e annuisce. Ridacchio e fisso la gente che balla, o almeno, ci prova. Ho sete e quell'imbecille di Mistersonobellosoloio mi ha impedito di dissetarmi. Afferro la mano del moro, dirigendomi verso il bancone.
«Dove vuoi andare?»
Domanda, incrociando le dita delle nostre mani.
«A bere, ho sete.»
Specifico, appoggiando un braccio sul bancone. Il ragazzo di poco prima mi sorride, prendendo un bicchiere e del ghiaccio.
«Cosa ti posso portare?»
Chiede, con il suo accento spagnolo. Gli sorrido, ordinando un Long Island, si mette subito all'opera.
«Ottima scelta.»
Costata il moro, osservando il barman che si muove agilmente tra le bottiglie. Sorrido.
«Ecco a te.»
Annuncia il ragazzo, porgendomi il bicchiere arancione. Gli allungo la banconota ma Xavier mi blocca, porgendogli del denaro a sua volta. Il ragazzo mi guarda ed io gli sorrido.
«No Xavier, non devi farlo.»
Sorride.
«Voglio farlo.»
Sospiro.
«Io preferirei di no.»
«Io-»
Il barman interrompe il nostro battibecco.
«Ragazza mia, stasera non puoi stare tranquilla.»
Dice scherzoso. Ha ragione, è mezz'ora che voglio bere e non ci riesco.
«Che intende dire?»
Chiede il moro al mio fianco. Ci mancava solo il terzo grado. Il ragazzo lo guarda, stappando una bottiglia di whisky da servire ad un cliente di fianco.
«Sei il secondo ragazzo che cerca di offrirle da bere, stasera.»
Confessa e Xavier mi guarda, leggermente infastidito.
«Chi ti ha dato fastidio?»
Chiede, pagando, alla fine, per me. Sospiro, stringendo il bicchiere.
«Non lo so, un tipo di nome Daniel. Lo ha mandato via Kirill, ha detto che tu lo avresti fatto finire a terra.»
Confesso, facendomi divorare da due opali, ora blu ciano. Sbuffa pesantemente, prendendomi la mano.
«Daniel Lemoine. Evitalo come la peste, per favore.»
È serio e parecchio pensieroso, vorrei chiedergli a cosa stia pensando, ma evito, prendendo un lungo sorso del mio drink. Chissà come fa a conoscerlo, che rapporto avranno?
«È un imbecille comunque, un pallone gonfiato.»
Confesso e lui ride giocoso, tanto da far comparire la fossetta sulla guancia sinistra.
«Hai ragione.»
Prendo un altro sorso.
«Ne vuoi un po'?»
Chiedo, porgendogli il bicchiere. Accetta, prendendo un sorso con la cannuccia nera. Il suo pomo d'Adamo fa su e giù ed una volta finito di bere si lecca le labbra, restituendomi il bicchiere.
Che strano, alle feste non l'ho mai visto prendere un drink che non fosse champagne o vino, non beveva mai dalle cannucce.
«Sono le tre, ti accompagno a casa?»
Chiede, incamminandosi verso l'uscita. Annuisco, finendo il poco liquido rimasto. Ne aveva bevuto quasi la metà. Prendiamo i cappotti all'entrata ed una volta in macchina, appoggio la testa allo schienale.
«Quando siete entrate?»
Domanda, immettendosi sulla strada principale.
«Verso l'una.»
Rispondo, sbottonandomi il cappotto.
«Siete entrate prima di noi, strano che non vi abbiamo viste.»
Alzo le spalle, girandomi per guardarlo.
«Ci sono centinaia di persone lì dentro, è normale. Voi siete venuti da soli?»
Sorpassa una macchina e mi guarda.
«Con degli amici dell'università e...credo che non tornerai a casa stasera.»
Finisce, indicandomi la strada con un cenno della testa. La strada è inagibile: macchine della polizia ovunque, tre ambulanze, un traffico assurdo e una marmaglia di gente tutto intorno.
«Ma che è successo?»
Esclamo preoccupata, tre ambulanze non erano una cosa da poco.
«Direi che si sono decappottati.»
Spiega, indicando una Range Rover nera completamente frantumata e una Vespa rossa in mezzo alla strada, senza la ruota davanti.
«Oddio, che disastro.»
Mormoro, spero non sia morto nessuno, anche se i due veicoli sembrano dire il contrario.
«Già, faccio manovra e prendiamo un'altra strada.»
Annuisco. Il moro fa manovra, prendendo una via secondaria, trafficata più dell'altra.
Sospira pesantemente, controllando l'ora sull'orologio da polso.
«Sono le quattro meno venti, domani hai qualcosa di importante da fare?»
Chiede, togliendosi il cappotto e buttandolo nel sedile posteriore. Aveva i primi due bottoni slacciati e le maniche erano arrotolate poco sotto ai gomiti.
«No, non avevo in programma grandi cose domani.»
Confesso, mordendomi il labbro inferiore.
«Bene, allora andiamo a casa mia, in dieci minuti ci siamo.»
Proclama, prendendo una piccola stradina alla sua sinistra.
«Ma non hai neanche avvertito i tuoi.»
Costato. Non mi piaceva disturbare. Sorride, sbucando sulla strada di casa sua.
«Non ci sono.»
Dice semplicemente, aprendo il cancello con il telecomando nel porta oggetti. Sospiro, era una battaglia persa. La casa è vuota e silenziosa. Xavier accende la luce, illuminando il sentiero che porta alle scale. Camminiamo l'uno affianco all'altra e per tutto il tragitto il silenzio viene rotto solo dal suono dei miei tacchi, così a metà strada decido di toglierli e continuare scalza.
«Dici che hanno fatto pace?»
Chiede il moro, aprendo la porta di una camera da letto, probabilmente quella degli ospiti.
«Penso di sì, non preoccuparti.»
Rispondo, controllando l'ora sul display dello smartphone. Le quattro meno dieci del mattino. Se le cose fossero andate male, Jane mi avrebbe già chiamata da un pezzo. Entriamo nella stanza dalle pareti beige.
«È la prima volta che Kirill si preoccupa così tanto per un litigio.»
Confessa, aprendo l'armadio di legno a due ante e tirando fuori delle lenzuola pulite.
«Scusa, non pensavo di incontrarti stasera, non ho preparato la camera degli ospiti.»
Spiega, appoggiando le lenzuola sul materasso.
«Non ti preoccupare, l'ultima volta non ce n'è stato bisogno.»
Costato, infilando il cuscino nella federa azzurra.
«Sorvoliamo.»
Ridacchia il moro, leggermente imbarazzato. Trattengo un sorriso, mentre lo aiuto ad aggiustare il copri materasso bianco.
«I cani a pois.»
Lo prendo in giro, tirando su il piumone.
«Non me lo ricordare.»
Mormora, sistemando bene il copri piumone.
Decido di continuare.
«Russi.»
Mento, divertita. Smette subito di sistemare le lenzuola e mi guarda con espressione serissima, gli occhi ridotti a due fessure. Trattengo una risata.
«Questo non è vero.»
Sibila, leggermente irritato.
«Invece sì, russi.»
Continuo, mordendomi il labbro inferiore per non ridere. Raddrizza le spalle e mi guarda dall'alto, tenendo le braccia lungo i fianchi.
«Spero che tu sappia correre veloce.»
Con un balzo scavalca il materasso. Lancio un grido sorpreso e lui ammicca, bloccandomi le braccia e buttandomi sul letto.
Sorride beffardo ed avvicina il viso al mio.
«L'hai voluto tu.»
Sono spacciata. Inizia a solleticarmi i fianchi senza sosta, provocando la mia risata isterica e rumorosa.
«Cos'è che faccio io?»
Chiede, fermandosi un secondo per riprendere fiato. Quello che mancava a me.
«Rus- No! Smettila!»
Riprende a solleticarmi fianchi e collo con insistenza ed io mi ritrovo ad annaspare, tanto è che non riesco a riprendere fiato.
«Ok! Va bene!»
Esclamo a fatica. Lui si ferma ed inclina la testa da un lato, con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
«Va bene? Sicura?»
Annuisco energeticamente, riprendendo fiato.
«Non russi, tu dormi e non ti sveglieresti neanche se esplodesse una bomba nucleare.»
Specifico. Lui ridacchia, lasciando liberi i miei polsi. È a cavalcioni su di me, con la camicia sgualcita ed i capelli scompigliati. Gli ricadevano sugli occhi, rendendoli ancora più belli.
«Mi sveglia Thomas, che è più rumoroso di una bomba nucleare.»
Rido, ravvivando la mia chioma scura. Quel bambino era bellissimo.
«Dov'è?»
Chiedo, appoggiando il peso sui gomiti. Xavier passa una mano nei capelli, scoprendo gli occhi azzurri e limpidi.
«A Vienna con i miei, sono rimasti lì.»
Mormora, alzandosi dal letto. Si dirige dalla parte opposta della stanza, aprendo una porta scorrevole.
«Questo è il bagno. Vado a prenderti qualcosa di comodo per dormire.»
Annuncia, prima di lasciare la stanza.
Mi alzo tirando giù il vestito, leggermente salito durante il solletico. Avrei fatto una doccia e mi sarei lavata i denti, prima di filare dritta a nanna.
Entro nel bagno: è composto da mattonelle di gres porcellanato verde lucido, una grande doccia, i servizi ed un lavabo in legno di bambù. Scarto lo spazzolino dalla confezione e faccio lo stesso con il dentifricio. Mi lavo i denti e mi sciacquo il viso.
«Ecco qua.»
Annuncia il moro, raggiungendomi davanti al lavandino. Si era cambiato, mettendo un pigiama dal pantalone blu e la maglietta grigia con la scritta "9 e tre quarti". Sorrido, anche io adoravo Harry Potter.
«Bel pigiama, babbano.»
Commento, appoggiandomi al lavabo. Ride e scuote la testa, avvicinandosi di qualche passo.
«Sono gli unici pantaloncini che mi stanno piccoli, potrebbero andarti.»
Mi porge una maglietta rossa a maniche lunghe e dei pantaloncini da basket bianchi.
«Grazie mille.»
Sorride.
«Se non vanno bene dimmelo, cerco qualcos'altro.»
Scuoto la testa. Sarebbero andati benissimo.
«Andranno bene. Puoi aiutarmi con la zip?»
Chiedo, leggermente in difficoltà. La cerniera era un po' dura, non riuscivo ad abbassarla.
«Sì. Certo.»
Mormora, facendo segno di girarmi. Lo specchio rettangolare riflette la nostra immagine. Xavier è dietro di me, sento la sua mano calda sulla spina dorsale. Il suo respiro mi colpisce il collo e sento le sue dita esitanti una volta arrivate al fondo della cerniera, accarezzavano la pelle della mia schiena, donando brividi in tutto il corpo. Deglutisco, trattenendo un sospiro.
«Sei fredda.»
Mormora con voce roca. Prende un asciugamano beige e lo adagia sulle mie spalle, facendo poi un passo indietro.
«Ora va meglio. Sono di là se qualcosa non va.»
Dice, regalandomi un ultimo sorriso. Chiude la porta, lasciandomi sola. Rilascio un sospiro e mi disfo velocemente del vestito, appoggio l'asciugamano sul mobile accanto alla doccia e lascio che l'acqua calda mi rilassi. Una volta asciutta, indosso il pigiama improvvisato dal moro.
La maglietta è un po' grande, ma i pantaloncini sono perfetti. Esco dal bagno, trovando Xavier steso sul letto con gli occhi chiusi.
Mi avvicino, sedendomi dall'altro lato. Ha la testa appoggiata al cuscino, girata verso di me, gli occhi sono chiusi e ha un braccio sotto la testa, i capelli sono scompigliati. Li accarezzo, sorridendo intenerita. Si era addormentato mentre aspettava che mi cambiassi. Con non poca fatica riesco a coprirlo con il piumone, rischiando anche di svegliarlo più volte. Spengo la luce e lo raggiungo sotto le coperte, al caldo. Ha l'espressione innocente di un bambino e sospira più volte, accoccolandosi meglio tra le lenzuola. Mi avvicino fino ad abbracciarlo, rifugiandomi tra le sue braccia. Appoggio la testa sul suo petto e aspiro il suo profumo. Sapone di Marsiglia.
«Giulia.»
Biascica, stringendomi con un braccio.
«Sì?»
Sussurro, alzando la testa. I suoi occhi blu mi fissavano, silenziosi.
«Ci hai messo gli anni a farti la doccia.»
Mi provoca, sorridendo compiaciuto.
Stronzo. Era sveglio. Gli tiro una pacca sul petto e tento di alzarmi, ma lui è più forte e mi sovrasta, bloccandomi in un abbraccio, sfortunatamente, caldo e fin troppo confortante.
«Sei babbano e pure bugiardo.»
Sibilo, stizzita, mentre lui ride soddisfatto.
«Siamo pari, festaiola.»
Sibila, lasciandomi un bacio sulla guancia. Sbuffo, infastidita quanto lusingata. Non lo vedo, ma so che sta sorridendo.
«Buonanotte.»
Sussurra, prima di appoggiare il mento sopra alla mia testa e non parlarmi più.

E non mi dispiaceva affatto.










Hey💞
Scusate l'assenza, la scuola è ricominciata e mi prende molto tempo☹️
Cercherò di aggiornare con costanza, c'è ancora molto lavoro da fare!
Cosa pensate di Kirill e Jane? Sono curiosa.🥰
Un bacione a tutti!❤️

Parigi, amori e bugie. Where stories live. Discover now