4: Brusco risveglio

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Sono distrutta per la stanchezza. Sto praticamente dormendo in piedi. Chiedo la scheda magnetica al portiere di notte e salgo in camera mia. Sblocco la porta della mia stanza e, finalmente, mi lancio sul letto. Con le poche forze rimaste vado in bagno, mi lavo i denti ed indosso il pigiama. La stanza è fresca grazie all'aria condizionata al minimo. Non faccio in tempo a chiudere le palpebre che sento i muscoli rilassarsi ed il caro Morfeo cullarmi tra le sue braccia.


<Smettetela voi due> bofonchio senza neanche aprire gli occhi. Accidenti a Vic e Luna dico a me stessa mentre il mio cervello sta cercando di collegarsi con la sottoscritta. Dobbiamo partire nel pomeriggio e non penso sia così tardi. 

Metto a fuoco la stanza e, quello che vedo, mi fa letteralmente balzare dal letto. In camera mia ci sono tre poliziotti. Uno mi tiene sotto mira, neanche fossi il ricercato numero uno del mondo, il secondo chiede le mie generalità ed il terzo sta frugando nella mia borsa e tra i documenti.

<Cosa state facendo?> chiedo sempre più confusa ai tre uomini in divisa.

Vic e Luna sono sulla porta. I poliziotti hanno intimato loro di non entrare. Fremono per la paura. Le conosco, vorrebbero abbracciarmi, tenermi stretta e starmi vicino.

<Signorina Lewis, lei è in stato di fermo. La prego, si vesta e venga con noi in centrale> 

Non ho neppure il tempo di riflettere, mi cambio e vado via con loro. Le ipotesi plausibili sono due. Sono impazzita o sto ancora sognando. Se la seconda ipotesi è vera, vi prego, datemi un pizzicotto o gettatemi dell'acqua addosso e svegliatemi!

Dal finestrino dell'interceptor osservo i visi pallidi delle mie amiche. Mimano un non ti lasciamo ed un secondo dopo sento le sirene spiegate rompere il silenzio dell'albergo.

Entro nella centrale di polizia. La testa mi sta scoppiando, anzi il cervello sta facendo le capriole dentro la scatola cranica. Mi fanno sedere su una delle sedie in attesa di parlare non ho ancora capito con chi. C'è un via vai infinito di persone. I telefoni squillano ogni secondo. Passano dieci interminabili minuti, poi uno dei poliziotti che mi ha prelevata in albergo, mi accompagna in una stanza in fondo al lungo corridoio. 

E' priva di finestre e l'unico punto luce proviene da due grandi lampade a neon appese al soffitto grigio scuro. La luce fredda rende l'atmosfera irreale. Al centro troneggia un grosso tavolo di legno  e tre sedie. Su una delle pareti scorgo un enorme specchio. Non ci vuole tanto per capire che mi hanno portata nella stanza degli interrogatori. Sono sempre più confusa e spaventata. 

<Miss Lewis sono l'ispettore Stevenson e lui è il mio collega Martens>

L'uomo sulla quarantina che ha appena parlato mi scruta senza mai abbassare lo sguardo. 

<Vorrei sapere perché mi avete portato in centrale> mi massaggio la tempia nel vano tentativo di attenuare il dolore lancinante.

<Miss Lewis lei è sospettata dell'omicidio del dottor Robert Moore>

Sbarro gli occhi. Ho sicuramente capito male. Robert morto? Non è davvero possibile.

<Vi state sbagliando, io l'ho solo accompagnato a casa. Si era slogato una caviglia. Ho aspettato che il portiere gli portasse l'antidolorifico e me ne sono andata via. Tutto qui. Era vivo e vegeto quando l'ho lasciato. Ve lo giuro, non sto mentendo>

Parlo come una macchinetta. A raffica. Ho il cuore in gola e le pulsazioni a mille. Doveva essere una semplice vacanza con le amiche del cuore ed invece si sta trasformando in un incubo!

<Lei è l'ultima persona ad averlo visto. Il portiere ci ha confermato che il dottor Moore non ha ricevuto altre visite dopo di lei. Abbiamo visionato la telecamera posta all'entrata del palazzo. Il portiere ha detto la verità, non è entrato od uscito nessuno. Questa mattina la cameriera l'ha trovato riverso sul divano. Ha chiamato i soccorsi, ma non hanno potuto fare nulla per lui>

Batto i pugni sul tavolo provocandomi una piccola lacerazione sulla mano sinistra.

<Vi ripeto che era vivo. Perché mai avrei dovuto uccidere una persona conosciuta solo pochi minuti prima?>

Capisco dal loro sguardo che hanno già preso una decisione. Non mi credono, non credono a niente di quello che dico.

<Grace Lewis la dichiaro in arresto per l'omicidio del dottor Robert Moore. Verrà tradotta oggi stesso nel detection center della contea di Las Vegas in attesa dell'udienza. E' mio dovere informarla che da questo momento in poi qualsiasi cosa dirà potrà essere usata come prova contro di lei in giudizio. Se non ha i soldi per un avvocato la corte le fornirà uno d'ufficio. Tutto chiaro, miss Lewis?>

Il secondo poliziotto, Martens, mi mette le manette ai polsi. Strillo inferocita che non sono io la colpevole che stanno cercando, ma Stevenson sembra su di un altro pianeta. 

Come diavolo sono finita in questo pasticcio? Hanno ragione Luna e Vic. Accidenti al mio istinto da boy-scout. Avrei dovuto fregarmene ed andare in albergo a dormire invece di immischiarmi. 

In tutto questo caos non sono riuscita neppure a capire di cosa sia morto Robert. E' stato assassinato, ma non da me. come possono pensare che si possa uccidere a mente fredda uno appena incontrato. Con cosa l'avrei potuto uccidere? A borsettate, forse? Non avevo nulla con me se non un piccolo zainetto a tracolla! Ho diecimila domande che mi frullano per la testa.

 L'unica cosa di cui sono certa è che Stevenson e Martens hanno voluto chiudere in fretta il caso ed hanno pescato uno a caso dal mazzo. Cioè io. Robert era sicuramente una persona molto conosciuta ed influente qui a Las Vegas. I due tipi della polizia avranno voluto trovare un capro espiatorio in meno di ventiquattro ore per evitarsi le domande dei giornalisti o della collettività.

Rischio quarant'anni di galera per far fare bella figura a due poliziotti? Appoggio la testa al freddo metallo del furgone con il quale mi stanno portando al Detection Center e chiudo gli occhi.

Penso a cosa diranno i miei datori domani quando non mi vedranno sul posto di lavoro. Un lavoro che di certo perderò tra un paio di giorni. 

Credo che il viaggio sia durato più o meno una ventina di minuti. Un agente apre il portellone posteriore e mi fa uscire. Il sole mi acceca e per un secondo strizzo gli occhi, prego con tutte le mie forze che non debba ammirarlo attraverso delle sbarre d'acciaio per il resto della mia vita.

Entro, per la prima volta nella mia vita, in una prigione. Osservo i due piani di cui è composto l'edificio. Le porte di acciaio delle celle sono numerate. Al centro della sala vi sono delle cabine con i vetri infrangili al cui interno vi sono delle guardie armate fino ai denti. Mi sembra di vivere un episodio della serie ai confini della realtà, tanto è assurda la situazione. 

La guardia mi spinge all'interno di quella che sarà la mia camera per non so quanto tempo. 

Quello che vedo mi toglie il fiato dai polmoni. Il letto, il piccolo tavolino e perfino l'armadietto sono di acciaio e sono ancorati nel pavimento. E' praticamente un mini bunker. Impazzirò nel giro di una settimana. Domando alla guardia quando potrò vedere il mio avvocato. Scrolla le spalle e, senza degnarmi di una sola parola, esce dalla cella e chiude a chiave la serratura della porta blindata.

Ora posso capire cosa prova una cavia da laboratorio. Dopo pochi istanti vedo lampeggiare una piccola luce rossa. Hanno acceso la telecamera interna che mi video sorveglierà ventiquattro ore al giorno. 

Mi lancio sul duro letto e piango tirando fuori tutta la disperazione che sento in questo momento. La mia mente va a Vic e Luna. 

Calde lacrime solcano il mio viso. Giuro a me stessa che lotterò con tutte le mie forze. 

Io non marcirò qui dentro!


So quello che state pensando...c'è già il corona a stressarci ci manca anche questa qui che tira fuori una storia del genere🙏🙏🙏sorryyyy è che la storia l'avevo "impressa" nella mia testa prima del virus. Giuro! Dovevo solo rifinire qualche dettaglio qua e là. Per il resto spero vi stia piacendo. 




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