1.28 ● QUANDO ANDAI DALLE STELLE ALLE STALLE

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alla fine del capitolo c'è una scena di violenza, se non ti senti a tuo agio con questo tipo di lettura, saltalo, inizierà col simbolo 🚫

Chiusa in camera, seduta a terra e con la testa appoggiata al materasso del letto, pensavo al pomeriggio prima.

Volevo ancora andare da Joe e sentire le parole di secchione che mi dicevano che stavo bene con i vestiti nuovi. Ogni volta che mi ripetevo quella frase il mio cuore sembrava prendere la rincorsa e saltare.

La porta di camera sua fece uno scatto. Era uscito dopo essere sparito per quasi un giorno.

Nel petto il battito sembrò un cavallo dei film western, quando i cowboy inseguivano gli indiani. Anche io volevo inseguire Michael. Avevo tante domande da fargli e lui invece era sparito per un giorno intero. Mi decisi a seguirlo ma l'unica cosa che feci in tempo a vedere, dalla cima delle scale, era la sua mano che chiudeva la porta.

Nascosta nel buio del corridoio al primo piano, dalla finestra avevo notato una macchina nera da tanti soldi. Ci era salito sopra, era vestito di nero, come uno che doveva andare a un concerto di pianoforte.

Scesi le scale e cercai Lucy in cucina. «Lucy, dove va secchione? Di nuovo da altri amici?»

Lei sospirò e mi rivolse uno sguardo un po' dispiaciuto, con gli occhi lucidi. «Starà fuori fino a lunedì. Di solito sta via con quella persona una volta al mese.» Mi accarezzò sulla testa piano e sorrise, il colore del viso era un po' troppo pallido. «Ma vedrai che torna. Così può farti lezione.»

Annuii, la zia mi sembrava strana. Si strofinava gli occhi come se avesse dovuto piangere da un momento all'altro, tirava su col naso e si asciugava la fronte sospirando e guardando per aria pensierosa.

«Va tutto bene?»

Si girò di scatto, seria. Poi sorrise. «Non devi prepararti? Il papà delle tue amiche arriva dopo cena, vero?»

Mia madre stava mettendo qualcosa in una padella, dalla sua parte ci fu una specie di lamento che per un momento mi fece tremare il cuore. Ero stanca di dover rispondere sempre alle sue critiche, di non poter mai fare quello che mi piaceva con chi mi pareva.

Lucy si avvicinò e mi passò le mani tra i capelli. «Quando siamo a lunedì, ti mando dal parrucchiere a rifare la tinta rosa.»

La mamma si girò «Quei capelli rosa sono ridicoli.»

«Juno sta bene con i colori pastello, non vedo quale sia il problema. I giovani hanno bisogno di distinguersi.»

Abbassai la testa. Mi stavo distinguendo eccome, per il mio corpo grasso e per essere fan degli 'Y●EL●L'.

«Distinguersi serve solo per accalappiare gli uomini sbagliati»

Alzai gli occhi, sentivo l'aria dentro i polmoni scoppiare, ma non volevo rovinarmi la serata litigando, feci marcia indietro e corsi in camera mia.

Mi sedetti sul letto, ammirai di nuovo i poster e le foto che avevo attaccato alle pareti dopo che il secchione me li aveva riordinati.

Presi in mano il foglio che era attaccato al cartone che mi aveva spedito papà.

Era solo un indirizzo, quello di un ufficio postale di Seattle vicino a casa.

Presi il telefono e aprii il motore di ricerca. Ricordavo il nome dell'azienda di mio padre.

Mi segnai il numero. Lo avrei chiamato il lunedì, quando ero sicura di trovarlo. Non potevo credere che non mi volesse davvero più vedere; volevo parlargli, capire. Forse era solo così arrabbiato dalla fuga improvvisa da credere di non volere più la mamma o me. E allora l'avrei convinto che non era così, che io gli volevo ancora bene e che con lei tutto si sarebbe risolto.

Pink SapphireWhere stories live. Discover now