2. Jack Daniel's

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Allen
Quando mi richiudo la porta del tetto alle spalle, una strana sensazione mi invade il petto. Mi sento leggermente meglio rispetto agli altri giorni, come se la rossa mi avesse iniettato un po' di felicità endovena. Effettivamente è stato piacevole parlare con lei. In genere preferisco stare da solo, il tetto è il mio posto, ed è qui che assolutamente nessuno deve violare il mio spazio, eppure lei lo ha fatto e io non gliel'ho impedito. Offrendole la sigaretta le ho chiesto di rimanere e lei ha accettato. È tuo quando te lo compri e ci fai scrivere sopra: "Proprietà di Allen James", mi tornano alla mente le sue parole e lascio che un sorriso mi stiri le labbra. Ragazza audace. Non posso nascondere che mi piace il suo atteggiamento, perché vuole essere tutto fuorché finto. Ed è strano. Ho già visto Cheyenne – prima di conoscere il suo nome – seduta con Chantal e Courtney, fra le cheerleader e a lezione, e mi ha sempre incuriosito. Non partecipa ai loro discorsi, non ride ai pettegolezzi ed è sempre sulle sue. Mi chiedo come non si sia mai accorta che la osservo spesso. Oltretutto non è affatto male, ha i capelli rossi spesso tirati su in uno chignon, il viso dai lineamenti morbidi, le guance coperte dalle lentiggini e un paio di occhi enormi verde brillante. Ma il suo viso è tutt'altro che dolce. Ha un non so che di glaciale ed autoritario, di sofferente.
«James! Finalmente ti ho trovato, il coach è fuori di sé» Francisco, un mio compagno di squadra, mi viene incontro trafelato. Si ferma di fronte a me in fondo alle scale per riprendere fiato, poi si tira indietro i capelli leggermente lunghi per la media richiesta dal coach e mi squadra con i suoi occhi chiari. «Va tutto bene? Sembri... diverso.»
«Eh?» sbatto un paio di volte le ciglia. «No, è tutto come sempre. Andiamo.»

***

Rientro a casa che sono già le sei passate. Dopo la scuola, il coach ha deciso di trattenerci per altre due ore, per incrementare gli allenamenti, a sua detta, in vista della prossima partita.
Sono sfinito. Lascio cadere il borsone del football accanto al divano e mi ci butto sopra, beandomi del meritato riposo.
«Allen, sei tornato?»
Borbotto un'imprecazione, consapevole che questa domanda significa senza ombra di dubbio che, alla mia risposta affermativa, conseguirà un incarico.
«Sì, mamma.»
Lei sbuca dalla cucina, il volto stanco e un paio di occhiaie violacee sotto gli occhi azzurri. I capelli neri sono raccolti in una crocchia disordinata e in mano ha un canovaccio.
«Ehi, tutto bene?» chiedo, mettendomi a sedere. «Com'è andata al lavoro?»
«È andata bene, sono tornata stamattina presto ma non ho avuto tempo di riposarmi, sono solo stanca.»
La osservo nei blue jeans scoloriti e la vecchia t-shirt nera, coperta da un grembiule da cucina. Mia madre è una Donna con la D maiuscola. Da quando mio padre l'ha lasciata per andare dietro alla sua segretaria, dimenticandosi di avere una famiglia, si è rimboccata le maniche e ci ha pensato da sola, senza mai chiedere aiuto a nessuno. Certo, mio padre ci manda degli assegni mensili abbastanza sostanziosi, ma solo perché obbligato dalla legge, altrimenti non gliene fregherebbe un bel niente di inviare soldi alla sua famiglia. Lavora in un pub, e spesso copre orari notturni, per questo torna a casa la mattina presto, si riposa, va a svolgere varie commissioni in centro, passa a prendere mia sorella a scuola quando non posso riportarla io, torna a casa, prepara la cena, poi si veste per andare al lavoro e tutto ricomincia da capo.
«Vuoi che vada io a prendere Amy?» Se non è qui dopo le cinque c'è un solo posto in cui trovarla: a casa della sua migliore amica Taylor.
«Mi faresti davvero un grandissimo favore» sospira lei con un sorriso stanco.
«Non preoccuparti» le dico. Mi infilo di nuovo le scarpe che mi ero tolto, le do un bacio sulla fronte e la saluto. Salgo in macchina e mi addentro fra le vie di Manhattan, in direzione Brooklyn. Fischietto picchiettando le dita sul volante, venticinque minuti dopo parcheggio davanti casa di Taylor e scendo dall'auto. Mi incammino verso il palazzo e suono il citofono. Mi risponde la mamma di Taylor.
«Salve signora Parker, sono venuto a prendere Amy» dico.
«Ciao James, sali pure.»
Quando sento il rumore che sta a indicare che il portone si è sbloccato, lo spingo ed entro nell'atrio pulito e accogliente. È un'ampia zona quadrata, alla mia sinistra vi è un imponente acquario con al suo interno numerosi pesci variopinti, e alla mia destra la portineria. Di fronte a me ci sono le scale che portano al primo piano e di fianco a esse un lungo corridoio. Mi dirigo verso l'ascensore ed entro, diretto al sesto piano. Le porte si aprono con un ding quando lo raggiungo. Attraverso il corridoio arredato con dei quadri e qualche pianta e busso alla porta dei Parker. Aspetto un paio di secondi, poi la madre di Taylor mi apre con un gran sorriso in volto.
«Ciao, caro, è davvero un piacere vederti, entra pure. Posso offrirti qualcosa?» mi chiede premurosa asciugandosi le mani nel grembiule azzurro. La signora Parker è una donna in carne con lunghi capelli castani e occhi dello stesso colore, è davvero affabile e gentile, ha sempre voluto bene a mia sorella, mia madre e me.
«No, grazie, signora Parker» rifiuto l'offerta scuotendo il capo. «Nostra madre ci aspetta per la cena.»
«Come stai, caro?» mi chiede. Si fa da parte ed entro nel piccolo ma accogliente appartamento, lei mi fa segno di accomodarmi sul divano e, nonostante io abbia rifiutato, mi posa davanti una ciotola di cioccolatini.
«Tutto bene, lei? Taylor?» il cioccolato vince sulla mia resistenza e prendo una delizia ricoperta da carta laccata di rosso. La signora Parker sorride soddisfatta di fronte al mio gesto.
«Stiamo bene, Taylor ha avuto qualche difficoltà con la scuola ma Amy l'ha aiutata. È davvero un tesoro, tua sorella. Vado a chiamarle, tu mangia pure tutti i cioccolatini che vuoi.» Con un ampio sorriso imbocca il corridoio tappezzato di foto e quando apre la porta un vociare sommesso e delle risatine si diffondono per tutta casa. Un sorriso involontario mi si dipinge sulle labbra a sentire la voce di Amy così allegra. È quella che ha sofferto di più per la separazione dei nostri genitori, e sentirla ridere è tutto ciò che mi serve per stare bene.
«Ehi, combina guai, che ci fai qui? Non doveva venire la mamma?» la voce di mia sorella mi raggiunge ancora prima della sua figura. Se dovessi utilizzare un aggettivo per descriverla, sarebbe graziosa. Somiglia tantissimo a nostra madre, ha gli stessi occhi azzurri, lo stesso naso delicato e le stesse labbra piene, ma invece di avere capelli scuri come noi, ha ripreso di nostro padre e ha sempre attorno al viso una cascata di luminosi capelli biondi.
«Non sei contenta di vedermi?» le chiedo, poi la prendo per un braccio e le scompiglio i capelli, consapevole che lo detesta. Infatti si stizzisce e mi schiaffeggia le mani.
«No, affatto» risponde piccata. Per i suoi quattordici anni è davvero una forza della natura.
«Amy» la sua amica, Taylor, la richiama. È carina, ha capelli castani tagliati alle spalle e due grandi occhi scuri. «Sei sicura di non voler rimanere? Mi farebbe davvero piacere!» Spalanca quelle due pozze arricciando le labbra.
«Mi dispiacerebbe per James che avrebbe fatto un viaggio a vuoto, ma sei sicura di non voler dormire qui, tesoro?» si aggiunge la signora Parker. Preferirei che Amy venisse a casa, a nostra madre fa davvero piacere quando ceniamo tutti insieme. Lei mi rivolge una breve occhiata, poi torna a guardare loro.
«Mi dispiace, la mamma ci aspetta, ma di sicuro sarà per un'altra volta» dice. Sono fiero di lei, specialmente quando capisce il momento in cui è meglio fare un sacrificio che seguire i propri desideri.
«Va bene, sei sempre la benvenuta qui» la signora Parker sorride, poi mi guarda negli occhi in un modo che sta a significare che ha capito la situazione. Conosce molto bene nostra madre.
«Sei una traditrice della patria, Amy! Ma ti voglio bene lo stesso» esclama Taylor. Si salutano con un abbraccio e poi ce ne andiamo da casa dei Parker, diretti alla nostra.
«Sei stata brava, Amy, hai fatto la cosa giusta» le dico quando siamo nel parcheggio. Lei alza le spalle, come se non le fosse costato niente, ma so bene che non è così.
«Mi piace cenare con te e la mamma, e poi so che la rende felice.»
Saliamo in macchina e una ventina di minuti dopo siamo a casa.
«Ciao, Amy, ti sei divertita?» nostra madre ci saluta con un sorriso caldo non appena ci chiudiamo la porta alle spalle.
«Taylor è sempre la migliore. E anche la signora Parker» esclama lei gettandosi sul divano.
«Lo so, sono delle persone adorabili.»
Aiuto mia madre ad apparecchiare, poi ci sediamo tutti quanti attorno al tavolo.
«Allen, com'è andata oggi?»
Spezzo una fetta di pane a metà e ci raccolgo il tuorlo dell'uovo, per poi portarmela alla bocca.
«Il coach ci ha distrutto, questa stagione sarà lunga e complicata, abbiamo non poche partite importanti.» Parlo della mia giornata, tralasciando l'incontro con Cheyenne. Non so perché l'ho fatto, ma sento come se in un certo senso avrei tradito il nostro "rapporto" parlando di lei alla mia famiglia. Non ha senso, ma ho preferito tenermelo per me.
Nostra madre ci racconta del lavoro al pub e che anche stasera farà due ore di straordinari, dalle quattro alle sei di mattina.
«Non sei obbligata, mamma, puoi riposarti almeno due o tre volte a settimana e tornare prima» dice piano Amy. Abbiamo discusso talmente tante volte di questo argomento che so già come andrà a finire, per cui non mi sorprendo quando, dopo che Amy ha acceso la miccia, la bomba esplode. Nostra madre le urla che non si può vivere senza denaro e che le poche ore che fa al lavoro non bastano a mandare avanti una famiglia. Amy non ha detto nulla di male, ma io capisco il suo sfogo. Vorrebbe riposarsi, ma sente di non poterlo fare perché deve provvedere nel migliore dei modi a noi, e capisco che è stanca e la sua reazione è giustificabile. Amy si alza da tavola con le lacrime agli occhi e scappa in camera sua. Nostra madre crolla sulla sedia e si copre il volto con le mani.
«Sbaglio sempre con lei, la tratto così male.» Tira su col naso.
«Sei solo stanca, Amy non ha torto quando ti dice di prenderti una pausa. Almeno due giorni a settimana potresti evitare di fare turni così stancanti» provo a spiegarle. A volte è difficile fare da mediatore fra loro due, la mamma la pensa in un modo e Amy in un altro, il conflitto tra loro due è inevitabile nonostante si vogliano molto bene. Capisco l'ingenuità di Amy ma anche la preoccupazione della mamma, nessuna di loro ha cattive intenzioni. Ho assunto questo complicato ruolo quando mio padre se n'è andato, all'inizio è stato difficile, ma poi ho imparato a essere l'uomo di casa.
«Devo proprio scappare, parla con lei, Allen. Sei davvero un figlio spettacolare, ti voglio bene, buonanotte ragazzi.» Frettolosa si alza dalla sedia dopo aver visto l'orologio che segna le otto in punto.
«Pensa a ciò che ha detto Amy, può essere un buon modo per istaurare un rapporto solido con lei» le urlo prima che si chiuda la porta alle spalle.
«Lo farò! Ciao, tesoro, grazie per tutto ciò che fai.» Con queste parole scompare dalla mia vista.
Con un sospiro profondo sparecchio e lavo i piatti, poi vado al piano di sopra e mi fermo davanti alla porta della camera di Amy. Oltre sento dei singhiozzi sommessi. Stringo la mascella e busso piano, senza aspettare la sua risposta la apro. Mia sorella è rannicchiata sul letto con un cuscino stretto al petto e il volto rigato dalle lacrime.
«Ehi» esordisco col cuore che cade a pezzi. Mi avvicino a lei e mi siedo sul letto, carezzandole una gamba. «Che succede?»
«Non capisco perché si comporta in questo modo, fare un paio di ore in meno a settimana non è la fine del mondo, e le permetterebbe anche di riposare veramente!» singhiozza. Mi sdraio di fianco a lei e prendo a carezzarle i capelli.
«Alcune situazioni sono complicate, Amy, e questa è una di quelle. La mamma si sente in dovere di provvedere come meglio può a noi ed è anche molto stanca, per questo si arrabbia facilmente. Capisco che tu vorresti che si prendesse una pausa, ma lei non sarebbe mai tranquilla sapendo che avrebbe potuto impiegare quelle ore lavorando per portare soldi in più a casa.»
«Odio questa situazione» sussurra. Una morsa atroce mi stringe lo stomaco. So a quale situazione si riferisce.
«Papà ha fatto una scelta, nel peggiore dei modi, ma l'ha fatta. È andata così, prima lo accetti e meglio è» sono molto duro quando si parla di nostro padre. Diciamo che non è la mia persona preferita su questo pianeta.
Amy tira ancora una volta su col naso, poi allontana il cuscino e si avvicina a me, abbracciandomi. «Rimani qui? Per favore.»
«Certo che rimango qui» mi sforzo di sorridere mentre il groppo in gola mi stritola la trachea. Odio vederla triste, odio vederla pensare a nostro padre e sentirsi tradita, odio che lui la faccia soffrire in questo modo, perché non si merita il suo dolore. Non più.
La stringo a me, Amy poggia la testa sul mio petto e crolla qualche minuto dopo in un sonno profondo. Io sono spossato quanto lei, resisto qualche altro minuto, poi mi abbandono anch'io fra le braccia di Morfeo.

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now