34. Basta

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Cheyenne
«Non sposerò Hans Emelrich Wagner». Nell'esatto momento in cui ho pronunciato questa frase, dopo essere tornata a casa, mia madre è uscita di testa. Si è persino dimenticata che sono scomparsa per due giorni, ma non mi sorprende.
Quando io ed Allen siamo tornati, mi sono fatta lasciare davanti casa mia.
«Aspettami qui», gli ho detto. Ho allungato una mano verso la maniglia della portiera, ma lui me l'ha afferrata e mi ha tirata a sé. Mi ha baciata come se non dovessi più tornare, e il cuore ha avuto un sussulto. Allen teme davvero che io cambi idea, ma non sa quanto sono determinata, e sono pronta a dimostrarglielo. Ho infilato le mani tra i suoi capelli morbidi e l'ho baciato cercando di dirgli senza parlare che sarei sempre tornata da lui. Perché è esattamente dove voglio essere. Per la prima volta non mi importava che qualcuno potesse vedermi, anzi un po' ci ho sperato, ma l'attenzione di mia madre si è concentrata su altro.
«Che significa che non sposerai Hans?» La prima volta che l'ha chiesto era divertita, come se avessi fatto una battuta, quando però sono rimasta seria, la sua espressione è mutata all'istante. L'ha chiesto di nuovo, incredula. E poi una terza volta, furiosa. E una quarta, minacciosa.
«Se non sposi Hans puoi scordarti tutto ciò che hai sempre desiderato, Cheyenne! Mi assicurerò personalmente che tu finisca sotto a un ponte, te lo giuro sulla mia vita!» È passata alle minacce, ma la mia risposta è stata lapidaria.
«Non me ne frega niente».
Ha imprecato, urlato, si è infilata le mani nei capelli, e il piacere che ho provato a vederla perdere il controllo mentre la guardavo dall'alto, come lei ha fatto con me per diciassette anni, è stato indescrivibile. Quando ha smesso di urlare, le sono passata accanto come se non fosse successo nulla, andando al piano di sopra, fino agli alloggi delle domestiche. Ho aperto la porta della stanza di Lauren con lei alle calcagna e Wendy mi è corsa immediatamente incontro. Quando ha visto mia madre, esterrefatta e con gli occhi fuori dalle orbite, le ha subito ringhiato.
«E questo ammasso di pulci dove l'hai preso?»
«È una femmina, e ha un nome: Wendy. Me l'ha regalata Allen James, mentre voi eravate a Dubai a godervi le vacanze. Miglior Natale della mia vita, comunque».
Lei sgrana gli occhi ancora di più, se possibile. «Da quanto mi menti?»
«Da quando sono nata». Forse è l'unica verità che abbia mai detto nella mia vita, e mi fa sentire incredibilmente libera.
«Basta così», ringhia. Le sue dita si stringono con forza attorno al mio bicipite.
«No. Basta lo dico io, mamma». Deve essere la serietà nel mio tono, ma lei mi lascia andare. I suoi occhi azzurri sono sconvolti.
«Ma che diavolo ti prende, Cheyenne?»
«Sono stufa di fare ciò che mi dici tu. Quindi non sposerò Hans e non andrò ad Harvard».
Lei si ritrae come se l'avessi colpita. I lineamenti irriconoscibili, distorti dall'incredulità e dalla rabbia. Poi d'improvviso mutano completamente, e la sua espressione torna glaciale. «Puoi scordarti la Juillard, Cheyenne, e sappiamo benissimo entrambe quanto tu voglia entrare in quella scuola. Suoni il violino da sempre, e hai sacrificato molte giornate per fare pratica. Anni interi. Tu e Meyer non stavate preparando l'audizione?»
Conosco benissimo questo tono. La voce melliflua a mascherare la perfidia, la consapevolezza di avermi in pugno. D'istinto la mia corazza si incrina, ma tengo duro. Era a questo punto che cedevo sempre, ma adesso basta.
«Il lavoro che abbiamo svolto insieme è perfetto per qualsiasi scuola di musica».
La nota sorpresa che le attraversa il volto mi causa un moto di orgoglio, ma lei la sopprime subito. «Le altre non sono come la Juillard, e lo sai benissimo. In ogni caso non è un'opzione. Il violino è una possibilità solo se sposi Hans, altrimenti andrai ad Harvard come tua sorella. Oppure sotto a un ponte, ma la scelta è tua. Ora dimmi, Cheyenne: questo capriccio vale la rinuncia a una delle migliori università del mondo? Chiunque altro si sentirebbe fortunato davanti ad una scelta del genere, non ti sembra di essere un po' ingrata?»
Mi sento vacillare di fronte alle sue parole, ma conosco benissimo il giochetto che sta facendo, e non mi lascerò ingannare. Lei continua, ma stavolta mi stringe un braccio attorno alle spalle, e so che è una mossa per controllarmi, come la voce suadente e cadenzata che usa: «Adesso, da brava, dimentica tutte le stupidaggini che ti ha ficcato in testa Allen James...» mi sfila il guinzaglio dalle dita, «...e vai a prepararti, perché stasera a cena ci sarà Hans con suo padre che è finalmente guarito. Mangeremo dell'ottimo vitello accompagnato da un Cabernet Franc e tu potrai conoscere il tuo futuro suocero, ultimeremo i preparativi per il matrimonio di Amélie e poi decideremo come annunciare la vostra futura unione».
Provo ad interromperla, ma lei stringe più forte il mio braccio e continua: «Non temere. So come ti senti, ed è normalissimo avere paura di fronte ad un cambiamento del genere. Se non riesci a sopportare la pressione non c'è problema, te l'ho detto, questa vita richiede... dei piccoli aiuti».
Come per magia, nell'altra mano si materializzano gli antidepressivi che avevo buttato. Ho un sussulto, ma lei non sembra accorgersene, o più probabilmente finge di non averlo fatto. «Due pasticche al giorno-»
Non ne posso più. Strattono il suo braccio e le strappo il guinzaglio dalla mano. La sua espressione muta all'istante, raggelandosi.
«E il matrimonio ti sembrerà una passeggiata. È l'unico modo per sopravvivere nel nostro mondo, non è vero?» Le sputo addosso quello che lei mi aveva detto giorni fa, una rabbia che non avevo mai provato mi esplode nelle viscere. Non ho più intenzione di farmi trattare così. Mai più.
«Sono stanca!» grido. Lei strabuzza gli occhi, non mi ha mai visto così fuori di me. Sono sempre stata composta e controllata, ma adesso ne ho abbastanza. «Sono stanca di fare ciò che vuoi tu, di fingere di essere qualcuno che non sono e di vivere soltanto per aiutarti a rincorrere gli affari e il denaro. Sono una persona, non un burattino, e la cosa che più mi ferisce è che tu non mi hai mai vista come tale. Né me né Amélie. Ci hai sempre usate entrambe come una moneta di scambio, servendoti dei ricatti per ottenere ciò che volevi. Ma adesso basta. Non ho bisogno del tuo affetto, perché ho capito che non sei capace ad amare gli altri. Ami solo te stessa, i soldi e chi ti dà la possibilità di averne di più. Quindi non mi vorrai mai bene, ed io non voglio avere più niente a che fare con te».
La supero con una spallata. L'espressione sconvolta sul suo volto è impagabile, e ci mette qualche secondo a realizzare ciò che sta succedendo prima di tentare di fermarmi. Riesco a raggiungere la mia camera con lei che mi sta alle calcagna e minaccia di tagliarmi i fondi. Tuttavia adesso è evidente la paura nel suo sguardo, perché fino all'ultimo ha pensato di potermi manipolare, ma io non ne voglio più sapere. I suoi gesti sono febbrili, man mano che tiro fuori i vestiti dalla cabina armadio, lei li afferra e li riporta al suo interno, con gli occhi stralunati, stringendoli tra le dita fino a farsi sbiancare le nocche.
«Smettila», ordino ad un certo punto, con un tono talmente autoritario che si ferma davvero. Sembra così fragile adesso, della sua figura slanciata che torreggiava sempre su di me non è rimasto niente. L'autocontrollo, marchio di fabbrica dei Leroy, le è scivolato tra le dita. Devo costringermi a pensare a tutto ciò che mi ha fatto per non provare pietà per lei.
«Non te ne andare, ti prego», mormora, le lacrime agli occhi. Un groppo in gola mi impedisce di respirare, ma mi costringo a ricordare che la prima ad avermelo impedito è stata proprio lei.
«Non giocare la carta della madre distrutta con me, la vulnerabilità non ti si addice. E in ogni caso è colpa tua». Le do le spalle per impedirle di affondare i suoi artigli nel mio cuore, perché so che se la guarderò ancora a lungo cederò.
«Anche se non te l'ho mai detto, io ti voglio bene, Cheyenne. Sei sempre mia figlia».
Smetto di infilare i miei averi alla rinfusa nella valigia aperta sul letto, ma non mi volto verso di lei. Una lacrima si fa strada tra le ciglia e scivola lungo la guancia. È tutto ciò che ho sempre voluto sentire, eppure fa male. Da morire. Perché è una menzogna. Ingoio il groppo in gola, chiudo la valigia e cerco di raggiungere la soglia, ma mia madre me lo impedisce.
«Ragioniamo, Cheyenne». Arpiona il manico con le unghie e mi fissa intensamente negli occhi. Mi vieto di versare altre lacrime, ma sento il suo sguardo posarsi sulla scia umida lasciata da quella precedente, che non mi sono preoccupata di asciugare. «Capisco che non siamo mai state particolarmente legate, ma non c'è bisogno che tu te ne vada. Se vuoi possiamo ritardare l'annuncio del matrimonio, che ne dici? Mi sembra un buon compromesso».
Rido senza divertimento. «Un buon compromesso? Io non sposerò Hans, fine della discussione. Non è neanche un'opzione».
Mia madre sbatte un piede a terra, furiosa, e la sua maschera sofferente comincia ad incrinarsi. La luce che penetra attraverso le crepe svela le sue vere intenzioni: controllarmi. «Io non ti capisco! È perfetto: rispettoso, di buona famiglia, ben educato... Cos'ha che non va? Spiegamelo!»
«Non lo amo!» grido. «Non lo amo e non lo amerò mai!»
«E chi è che ami, allora?» chiede, in modo così brutalmente sarcastico che mi fa ribollire il sangue.
«Questo non ti riguarda».
Ride in modo rabbioso. «Oh, ho una vaga idea...»
«Pensa quello che ti pare, a me non interessa, tanto non trascorrerò un minuto di più in questa casa».
Riesco finalmente a superarla e mi dirigo verso le scale.
«Ricordati una cosa, Cheyenne: io potrò anche essere la madre meno affettuosa al mondo, ma tutto ciò che ho fatto l'ho fatto soltanto per il tuo bene. Sarai costretta a tornare, perché quel James di cui sei tanto innamorata prima o poi si stancherà di te. Sei troppo fragile, troppo vulnerabile. Non hai una tua personalità, non sai come muoverti nel mondo e non ne conosci le insidie. Hai tanto da imparare, quindi per ora ti lascio vivere questo momento di ribellione, perché so che tornerai da me».
La sua sicurezza mi dà il voltastomaco.
«Staremo a vedere», ribatto, a testa alta.
Un sorrisetto compiaciuto le tira le labbra, ma gli occhi sono preoccupati, sconvolti. E l'ultima immagine che ho di lei risale a questo tumultuoso momento. Mi osserva dal balcone che si affaccia sul salotto, dove io sto trascinando la valigia verso l'ingresso per tornare da Allen, come un capitano alla prua della propria nave che aspetta di affondare con essa, mentre intorno c'è l'inferno e tutto cola a picco. Per la prima volta mia madre ha subito una sconfitta. Non se l'aspettava. Non ha un piano B. Ma nemmeno io, e questo è un problema. Ora non so davvero cosa fare, e man mano che l'adrenalina scende mi rendo conto di non avere più una casa, né una famiglia, per quanto incasinata fosse la mia.
Quando torno in macchina, Allen mi stringe tra le braccia. «Va tutto bene? Ti ha fatto del male?»
«Con le parole, come sempre», sospiro, guardando la mia casa scomparire mentre la lasciamo per sempre. Wendy abbaia dai sedili posteriori, e con un sorriso Allen allunga una mano all'indietro per accarezzarla.
«Dove vuoi che ti porti?» chiede. Il suo tono è cauto, ma so che vorrebbe chiedermi di stare da lui. E non so se sono pronta.
«In realtà...», con un leggero imbarazzo sono costretta ad ammettere la verità. Non ho idea di cosa fare da questo momento in poi. È questa la libertà? L'indecisione? La possibilità?
«Se vuoi puoi stare da me fin quando ne hai bisogno», propone, osservandomi di sottecchi mentre guida.
Sospiro, mentre il mio cervello mi ripete ciò che più mi ha ferito: Sei troppo fragile, troppo vulnerabile. «Non vorrei disturbare».
«Tu non mi disturbi mai», mi fa l'occhiolino. «Allora? Che ne dici? Ordiniamo al Mc, ci sdraiamo sul mio letto e mi racconti cosa ti ha detto tua madre finché non ci addormentiamo entrambi?»
Mi allungo per lasciargli un bacio sulla guancia. Intreccio le dita alle sue e gli sorrido. «Sono fortunata ad averti».

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now