5. Hakuna Ma'vodka

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Cheyenne
Qualcuno mi scuote il braccio, e non ho bisogno di aprire gli occhi per sapere che si tratta di Lauren. In genere è sempre lei a svegliarmi, oltretutto oggi è sabato, il che significa shopping con Courtney e Chantal. Il massimo che sono riuscita a ottenere da mia madre è poter portare Lauren con me, se dovessi trascorrere cinque ore di fila da sola con loro due il mio cervello imploderebbe.
«Cheyenne, sono le sette e mezza, tua madre ti sta aspettando per la colazione.» Lauren tira le tende e la luce invade la mia stanza. Mugugno qualcosa in risposta e caccio i piedi fuori dal letto. Meglio non farla aspettare, non ho voglia di sentire i suoi rimproveri già di mattina presto.
«Grazie, Lauren» prendo i vestiti puliti dalle sue mani, una camicia della Levi's e una gonna di Max Mara. Alzo gli occhi verso di lei, pregandola con lo sguardo.
«Tua madre non transige: oggi gonna, nel borsone ti ho messo l'uniforme della squadra» mi dice con espressione dispiaciuta. Lauren è davvero giovane, ha un anno in più di mia sorella, ha cominciato a lavorare prestissimo, e quasi subito i miei l'hanno assunta. Ha dolci occhi marroni e capelli mori, la carnagione è chiarissima, sembra quasi di porcellana. Abbiamo legato subito, se non ci fosse lei ad alleggerirmi la vita dentro questa casa, già ne sarei uscita pazza. Spesso sono sul punto di dirle che può trovare molto di meglio di questo lavoro, che non le rende onore, ma poi l'egoismo vince sempre e me ne sto zitta, perché senza di lei sarei davvero sull'orlo del baratro, è l'unica che mi capisce, o almeno si sforza di farlo.
Dopo aver fatto la doccia ed essermi vestita, scendo le scale con passo lento e misurato. Oggi non ci sono né mio padre né Amélie, siamo solo io e mia madre. Uno dei miei peggiori incubi. Preferisco essere ignorata per tutta la durata dei pasti che essere costretta ad ascoltare lei che mi dice che non sarò mai come mia sorella. Attraverso il lungo corridoio che porta al salone, imponendomi di rimanere calma e respirare.
«Buongiorno, signorina Leroy.» Non appena metto piede in sala da pranzo, la signora Viscogliesi mi saluta con un caldo sorriso. La sua solita eleganza è impeccabile.
«Buongiorno» rispondo sorridendole a mia volta.
«Sei in ritardo, Cheyenne» mia madre si intromette con sguardo severo. I suoi occhi dello stesso colore del ghiaccio mi scrutano austeri. Raddrizzo le spalle e mi metto seduta. Devo stare molto attenta alle parole che uso con lei, in ballo c'è il mio futuro, non aspetta altro che un mio sgarro per togliermi il corso di violino, e non posso permettermelo. Credo di essere nata per suonare quello strumento, e non ci sarà niente e nessuno a potermi distogliere dal mio obiettivo. Devo solo giocare bene le mie carte.
«Buongiorno, mamma, scusa se ti ho fatta aspettare» mi sforzo anche di accompagnare la frase con un sorriso. La colazione dietetica è già nel piatto. Storco leggermente la bocca, attenta a non farmi vedere da lei.
«Ho parlato con Meyer, il tuo insegnante di violino» mi scruta con attenzione, l'azzurro dei suoi occhi è glaciale, e anche se il respiro mi si è mozzato in gola mi sforzo di apparire salda.
«Cosa ti ha detto?»
«Che i tuoi progressi sono strabilianti.»
Tutto l'ossigeno che avevo trattenuto mi esplode nei polmoni. Non riesco a impedirmi di sorridere.
«Grazie» dico.
«Non ringraziare me, ringrazia il signor Meyer, dopotutto è il migliore, qui a Manhattan. Sarebbe abbastanza improbabile che dopo tutti questi anni di violino tu ancora non fossi in grado di suonare a livelli discreti.»
Sa sempre come sminuirmi in un microsecondo. Stringo la forchetta fra le dita e mi mordo la lingua. Tanto per lei sarò sempre un gradino sotto Amélie, non vale nemmeno la pena arrabbiarsi o sforzarsi di andarle a genio.
«Volevo avvisarti che nel primo pomeriggio partirò per raggiungere tuo padre in Germania, torneremo tra una settimana. Amélie è in vacanza con Lionel, dunque rimarrai sola.»
«Che novità!» vorrei esclamare, ma non so con quale autocontrollo riesco a mordermi la lingua, di nuovo.
Per fortuna a interrompere questa colazione idilliaca è la signora Rousseaux, il capo delle domestiche. È una donna austera, rigida e ai livelli di freddezza di mia madre. Anche i tratti del suo volto sono spigolosi, tirati, e gli occhi sono taglienti e cristallini. Non l'ho mai vista sorridere, e insieme a Pierre e alla Viscogliesi lavora con i miei genitori da anni, quindi è un bel record.
«Signora Leroy, la signorina Courtney e la signorina Chantal sono arrivate, le ho fatte accomodare in salone, vi attendono» ci riferisce, dopo aver chiesto il permesso di interromperci. Mia madre la ringrazia e la congeda, la signora Rousseaux gira sui tacchi e scompare in corridoio.
«Ci vediamo tra una settimana, allora. Mi raccomando, Cheyenne, comportati a dovere, e ricorda che ho orecchie dovunque.» Con queste parole lascia il tovagliolo che aveva poggiato sulle gambe nel piatto e si alza. Mi rivolge un sorriso di convenienza e se ne va, lasciandomi in sala da pranzo a fissare la sedia vuota di fronte a me. Ogni volta che mi rendo conto che fra noi non c'è contatto, il mio cuore si spezza. Ormai ci sono così abituata che quasi non fa più male. Quasi. Non mi ha mai rivolto una parola d'affetto né mi ha mai gratificata. Faccio un sospiro e rimugino sul nostro rapporto, finché Lauren non irrompe nella stanza.
«Ehi, Cheyenne, va tutto bene? Sei pronta?» mi osserva preoccupata, così le rivolgo il migliore dei miei sorrisi di circostanza.
«Certo, possiamo andare.»
Mi alzo, Lauren mette a posto le sedie ancor prima che io possa pensarlo, poi mi sorride di nuovo con quella dolcezza che le appartiene in modo esclusivo.
«Grazie davvero per quello che fai per me, io non sarei così altruista da sopportare un'intera mattinata ogni settimana in compagnia delle due arpie» le dico con voce atona, con tutta la serietà del mondo, ma come al solito lei la prende con leggerezza e ride.
«Lo faccio perché ti voglio bene, e so che ne vale la pena, in fondo mi diverto.»
«Anch'io, da pazzi, evviva!» esclamo con finto entusiasmo, Lauren ride e mi dà una leggera spinta.
«Sorridi, Cheyenne, c'è tempo per essere tristi, e di sicuro ci sono motivi ben peggiori di questo!»
Già, almeno su una cosa ha ragione. Di sicuro ci sono motivi ben peggiori di questo.

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now