13. Anyone who knows what love is

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Canzone per il capitolo (capirete quando ascoltarla, e vi raccomando vivamente di farlo): Anyone who knows what love is, Irma Thomas.

Cheyenne
Generalmente sono una persona mattiniera, mi piace svegliarmi presto e non faccio affatto fatica, ma questa volta mi sembra di dovermi quasi costringere ad aprire gli occhi. Avrei potuto continuare a dormire per almeno altre due ore. Mi giro a pancia in su e strofino gli occhi. Sbatto un paio di volte le palpebre, finché non mi rendo effettivamente conto di dove sono. Il terreno, sotto le mie mani, è morbido. Una strana sensazione di primordiale contatto con la natura mi infonde una scarica di energia. Nonostante la sottile superficie della tenda, percepisco chiaramente che sotto di me c'è della terra. Ed è... strano, ma bellissimo.
Allen non c'è, e la cosa inizialmente non mi sciocca così tanto, però, man mano che realizzo davvero tutto ciò, inizio a sentirmi sempre più inquieta. E se mi avesse abbandonata? Se tutto questo fosse uno scherzo di pessimo gusto? Mi mordo il labbro e mi dico che sono troppo paranoica, ma questa ansia deriva semplicemente dal fatto che non mi trovo in un posto conosciuto, e dunque non posso avere tutto sotto controllo. La situazione mi destabilizza più di quanto sia disposta ad ammettere. C'è questo freno che mi impedisce di lasciarmi andare. Mi sento... indifesa, scoperta, e non riesco a mantenere il mio solito atteggiamento sicuro.
Dopo aver rimuginato a lungo su cosa fare, decido di andare a cercare Allen. Indosso rapidamente i vestiti di ieri, e nel farlo noto che il suo zaino si trova ancora qui. Dunque non deve essere lontano. Esco dalla tenda e, per qualche secondo, rimango senza fiato. Una luce soffice e soffusa si intrufola tra gli alberi, facendo risplendere le cortecce umide di rugiada, come se vi fossero incastonati dei piccoli diamanti. L'aria è fresca, e non ho memoria di essermi mai svegliata respirando ossigeno così puro da farmi pizzicare il naso. Il vento si è abbassato e la temperatura sembra essere risalita di qualche grado. Il silenzio che c'è qui è quasi assordante, non ho mai sentito nulla di simile. Sono abituata a svegliarmi con i clacson delle auto e i rumori della città, non sapevo neanche che suono avesse il silenzio, fino ad ora.
Con il rumore dell'erba e delle foglie acciaccate muovo qualche passo incerto in questo paesaggio sconosciuto. Mi sento come i cerbiatti di ieri che, con le orecchie dritte in aria e gli occhi sgranati, si guardavano intorno circospetti. Non mi ricordo assolutamente da dove siamo arrivati ieri, era troppo buio anche solo per immaginarlo, ma provo ad andare dritto di fronte a me. Un'altra cosa inquietante è il buio, in questa zona. Pensavo di averlo visto in vita mia, invece non è affatto così. New York, la città che non dorme mai, non mi ha insegnato cos'è il buio, e la odierò per sempre per questo. Credevo che spegnere la luce significasse essere circondati dall'oscurità, ma comunque vedere le sagome degli oggetti che ti circondano, qui invece senza luce non vedi neanche a un palmo dal naso.
Continuo a camminare, finché non raggiungo una zona priva di alberi. C'è una sporgenza rocciosa di notevoli dimensioni che si affaccia sulla valle. Non ricordo di aver mai visto qualcosa di così bello, in vita mia, come il tramonto di ieri sera. Ogni angolo di questa valle brillava di una luce spettacolare, ma soprattutto naturale. Nulla a che vedere con le luci artificiali di New York. Certo, anche Times Square può essere considerata una foresta, ma le luci non sono reali. E la realtà è tutto ciò che mi manca. Mi è sempre stato detto che vivo una vita ideale, eppure a me non sembra così. Mi sembra solo una finzione impacchettata in modo molto chic. E allora perché non la mandi al diavolo?, me lo chiedo spesso, e non so perché non lo faccio. Probabilmente perché non so cosa ci sia dopo, e l'ignoto non mi piace.
Man mano che mi avvicino alla sporgenza, mi accorgo di una macchia nera che è seduta su di essa, circondata da foglie secche. Stringo gli occhi e accelero il passo per raggiungerla.
«Allen!» esclamo, quando le arrivo alle spalle. Sobbalza, terrorizzato, e si volta di scatto con gli occhi sgranati, dopo di che si porta una mano al cuore e sospira.
«Mi hai appena ucciso.»
«Drama queen» lo canzono, felice di averlo finalmente trovato. «Cosa fai qui? Il Tumblr boy depresso?»
Mi scruta con i suoi occhi del colore della pece, un sorriso divertito gli aleggia sul volto, e mi chiedo a cosa sia dovuto.
«Siediti e dimmi se non è una delle cose più belle che tu abbia mai visto.»
Faccio come mi dice e noto soltanto adesso che ha le cuffiette nelle orecchie e un quaderno sulle gambe. Stava disegnando? Ho visto qualcuno degli "scarabocchi" che fa sul suo quaderno, e sono davvero spettacolari.
«Lo so che sono bello, Kate, ma guarda l'alba, non me» ammicca senza guardarmi, e io mi riscuoto. Leggermente a disagio smetto di osservare il suo profilo e guardo davanti a me. Una stretta al cuore mi fa sorridere. È bellissimo. I colori sono caldi, tendenti al rosato, si mescolano l'uno con l'altro e si tuffano a capofitto nell'Hudson River, esplodendo sugli alberi circostanti, come un tuffatore che schizza il bordo vasca. Nella mia visuale entra la mano di Allen, che mi porge una cuffia. Sorrido e la prendo, infilandomela nell'orecchio. Una canzone che non ho mai sentito, dalle dolci note soul, mi inonda i sensi. Mi sento come in paradiso: la musica, i colori, è tutto perfetto. Così tanto da fare quasi male. O almeno a questo attribuisco il dolore al petto e le lacrime che mi pizzicano gli occhi. Io, che non piango mai, commossa per l'alba in un luogo freddo e sporco. Che però è molto di più di quello che credevo. Poggio le mani leggermente indietro, a sostegno del corpo, e nel farlo sfioro le dita di Allen. Lo guardo di sottecchi, ma c'è qualcosa che non mi quadra. È... strano, pensieroso, direi quasi... malinconico. Eppure sembra così perso nel suo mondo che non me la sento di disturbarlo facendogli delle domande.
Chiudo gli occhi e mi concentro sulle parole della canzone, respirando a pieni polmoni l'aria fresca di montagna.
You can blame me
Try to shame me
And still I'll care for you
You can run around
Even put me down
Still I'll be there for you
Le parole, la musica, l'alba... mi sembra tutto così insensatamente triste, come se stessi dicendo addio a qualcosa. Eppure è una canzone d'amore.
The world
May think I'm foolish
They can't see you
Like I can
Nonostante abbia gli occhi chiusi, mi sento osservata. Guardo cautamente alla mia destra, e trovo Allen che mi scruta con i suoi occhi profondi. Non prova nemmeno a nasconderlo.
Oh but anyone
Who knows what love is
Will understand
Non so se il mio battito accelera per il suo sguardo o per la canzone. Probabilmente per entrambi, è come se le parole fossero state scritte apposta per questo momento, come se non ci fosse occasione più giusta di questa in cui debbano essere cantate. Ed è come se gli occhi di Allen me le stessero dedicando. Sbatto le palpebre, convinta che sia il mio cervello ad aver inventato tutto questo. Eppure Allen è ancora qui, che mi guarda, e la canzone continua imperterrita. Non so se sono io ad avvicinarmi a lui, o lui ad avvicinarsi a me, eppure qualcuno dei due si è mosso, forse entrambi. Il mio cuore batte così forte che non riesco nemmeno a sentirlo. Però sento chiaramente le sue dita che si intrecciano alle mie, contro la pietra fredda. Il naso di Allen sfiora il mio, e le sue labbra sono a pochi millimetri di distanza. Cosa stiamo facendo? Riacquisto rapidamente lucidità e mi tiro indietro. La canzone è finita, adesso sento soltanto il vento che mi scompiglia i capelli e il cuore che batte contro la cassa toracica. Allen spalanca gli occhi come se si fosse risvegliato da un incubo. Ritira la mano dalla mia e si alza in piedi. Non l'ho mai visto così teso. Non so cosa dire, cosa fare. Sono pietrificata a terra, e ciò che è appena successo fa fatica a essere concepito dal mio cervello.
Allen si schiarisce la gola, sul suo volto non passa alcun sentimento, è come se avesse tirato su un muro invalicabile tra i suoi occhi e i miei. «Si è fatto tardi, dovremmo andare» la sua voce suona incredibilmente ferma, se provassi io a parlare probabilmente ne uscirebbero delle frasi sconnesse e prive di senso. Per questo faccio quello che mi riesce meglio, ovvero restare in silenzio. Continuiamo così fino alla tenda, che Allen smonta prontamente, poi ci incamminiamo verso Cold Spring. Il lato peggiore del silenzio è che lascia molto tempo per pensare, e io non riesco a fare a meno di ripetere nella mia testa il nostro quasi-bacio. Davvero Allen mi avrebbe baciata? E perché poi? Non c'è niente fra di noi. Continuo a osservare le sue spalle rigide di fronte a me. I capelli neri come la pece schiacciati dal berretto gli sfiorano le orecchie. Dovremmo parlarne, lo so, ma non so se sono pronta a farlo. Credo sia stato soltanto un grande malinteso, è stata tutta colpa dell'atmosfera...
Dopo circa un'ora decido di essermi torturata abbastanza, e non voglio che la situazione fra noi diventi strana. Forse la cosa che mi spinge, per una volta nella mia vita, a prendere la situazione di petto è la paura che questo possa in qualche modo aver guastato il nostro rapporto, oppure averlo portato a un livello... strano.
«Ehi, Allen.» Mi fermo, le foglie smettono di scricchiolare sotto ai miei piedi, e anche il vento sembra abbassarsi di colpo. Lui sussulta, come se non si aspettasse di sentire la mia voce. Le sue spalle si alzano e si abbassano con lentezza, come se avesse appena preso un profondo respiro. Poi si gira verso di me. I suoi occhi mi sembrano ancora più neri, e spiccano in particolar modo sulla pelle che adesso mi sembra addirittura più bianca del solito.
«Dimmi» nonostante tutto, la sua voce è ancora ferma.
«Forse dovremmo... discutere di quello che è successo» azzardo, cercando con tutta me stessa di non balbettare. Per quale ragione poi dovrei essere così insicura? Oh giusto, questa conversazione potrebbe mettere un punto alla nostra amicizia e io dovrei tornare alla mia vita triste e solitaria. Sei una drama queen, Cheyenne, ormai me lo dico anche da sola. Divertente che il mio subconscio riesca a trovare il lato divertente di tutto questo disastro e allo stesso tempo prendersi gioco di me. Vorrei fargli un applauso. Concentrati, Cheyenne. Alzo lo sguardo su Allen, che sembra perso nei suoi pensieri.
«Hai ragione, non vorrei che le cose diventassero... strane» dice a un certo punto. Tiro un mezzo sospiro di sollievo, ma ancora non so cosa aspettarmi.
«Quindi...» inizio, ma lui riprende il discorso al posto mio, e gliene sono grata. Non sono mai stata brava con le parole, penso di essere l'adolescente meno loquace al mondo. Dico solo lo stretto indispensabile e, quando non ritengo di avere nulla di interessante da dire, me ne resto in silenzio.
«Io non so cosa abbia significato per te, ma... non vorrei che ti facessi strane idee, insomma...» Allen in difficoltà è davvero uno spettacolo senza prezzo. Avrei preso i popcorn, se non fosse che la situazione è al momento decisamente imbarazzante e complicata. Decido di buttarla sull'ironia, perché ho capito dove vuole andare a parare, e la cosa mi tranquillizza davvero molto.
«Mi stai per caso friendzonando?» Lui sgrana gli occhi, poi, quando si rende conto che è una battuta, scoppia a ridere.
«Non volevo suonasse in questo modo ma... direi di sì.»
Mi porto teatralmente una mano al petto, come se mi avesse pugnalata. «Oh, il mio povero cuore non regge questo rifiuto!»
«Smettila» mi tira una spallata, ed entrambi scoppiamo a ridere. Sono sollevata di come si sia risolta la cosa.
«A parte gli scherzi» aggiunge Allen, di nuovo serio. «Credo sia stata una suggestione del momento, non volevo illuderti.»
Minimizzo con un gesto della mano, anche se le sue parole feriscono una parte remota di me. Ricaccio giù questo sentimento di delusione, dicendomi che sono davvero strana, perché tutto si è appena risolto per il meglio, eppure continuo a sentire questa insolita stretta allo stomaco.
«Non fa niente, capisco, Allen.» Davvero? Dio, dovrei smetterla di parlare da sola. Lui sorride, poi si volta e ricomincia a camminare. Lo seguo, questa volta affiancandolo. Mi guardo intorno, leggermente più sicura di me su questo terreno dopo aver fatto questa esperienza folle. Incredibile che il campeggio mi sia davvero piaciuto, non credevo fosse così elettrizzante. E la montagna? È tutto fantastico, Cold Spring potrebbe sul serio diventare un posto segnato sulla mia mappa dei luoghi più belli che io abbia mai visto, assieme alla mia amata Parigi.
All'improvviso, però, mi assale una domanda. Penso sempre prima di parlare, e valuto ciò che dico innumerevoli volte, prima di lasciare che abbandoni la mia bocca, eppure questa volta non ci penso e la pongo e basta. «Cosa stavi disegnando, prima?»
Allen sembra colto alla sprovvista dalla mia domanda, e anche leggermente imbarazzato. Sorrido tra me e me. «Come fai a sapere che stavo disegnando?»
«Ho visto i tuoi schizzi sui quaderni di scuola... hai talento, ragazzo mio» confesso, pensierosa. Mi piacerebbe essere davvero brava in qualcosa, nel senso, avere un talento naturale. Spesso mi hanno detto che il mio talento è il mio aspetto esteriore. Essere belli può sul serio essere considerato un dono? Certo, ma di sicuro non un talento. E poi nessuno è oggettivamente bello, la bellezza è soggettiva, invece un talento è tuo e basta. E poi, nel profondo, quei commenti mi hanno sempre lasciato un senso di vuoto e amarezza. Specialmente quando ero più piccola, tutto ciò che volevo era che le persone vedessero altro in me, oltre la mia bellezza esteriore. Con gli anni ho imparato a fregarmene, ma a volte ci torno con la mente, e detesto ammettere che la cosa mi fa soffrire. Scuoto la testa e torno a dedicare la mia attenzione ad Allen.
«Ti ringrazio, devo segnarmi questo giorno: il giorno in cui Cheyenne Leroy mi ha fatto un complimento!»
«Smettila, idiota» rido. «E rispondi alla mia domanda.»
Mi sembra esitare per un secondo, infine dice: «Soltanto il tramonto di ieri.»
«Avevi di fronte un'alba mozzafiato e disegnavi il tramonto? E poi quella strana sarei io...»
«Credo che prima di disegnare qualcosa tu debba aver assimilato il modo in cui essa ti fa sentire, quindi... ho dormito sul tramonto e mi sono lasciato ispirare dall'alba.»
«Wow, non sapevo che sotto sotto fossi Prévert!» esclamo, anche se le sue parole in realtà hanno toccato un tasto remoto della mia anima. Allen alza gli occhi al cielo, ma si vede quanto lo imbarazzi parlare di ciò.
«Posso vederli?»
«Cosa?» chiede lui, confuso.
«I tuoi disegni.»
«Non in questa vita!»
Sgrano occhi e bocca, incredula, ma l'unica cosa che riesco a fare è ridere del suo volto impanicato.
«Te ne vergogni così tanto? Anzi, lasciami riformulare... Allen James si vergogna di qualcosa?» sottolineo bene la parola vergogna, e lui sembra farci caso, perché alza gli occhi al cielo.
«Tu suoneresti mai il violino davanti a me?»
«Non so se la tua testolina se lo ricorda, ma l'ho già fatto» gli faccio presente, riferendomi al giorno in cui ci siamo conosciuti, sul tetto della scuola.
«E quello me lo chiami suonare? Io intendo un vero e proprio concerto! Scommetto che non avresti il fegato.» Avvicina il suo volto al mio. Assottiglio lo sguardo di fronte alla sua aria di sfida. La sua espressione dice chiaramente: scommetto che non ce la farai mai!, oh quanto ti sbagli, Allen James. Mai sfidare Cheyenne Leroy.
«Quando preferisci, casa mia è aperta» incrocio le braccia al petto, sorridendogli falsamente.
Allen alza un sopracciglio, ma la sua espressione è ancora beffarda. «Perfetto, allora.»
Continuiamo a camminare in silenzio. I miei pensieri volano dall'altra parte del mondo, fino a Dubai, dai miei genitori. Mi chiedo cosa stiano facendo. Non mi hanno neanche chiamata, non si sono preoccupati di dirmi se sono arrivati, di chiedermi se sto bene... non dovrei nemmeno esserne sorpresa, eppure continuo a non farmene una ragione. Come se mi avessero sentito, il mio telefono vibra. Lo estraggo dalla tasca e leggo il messaggio appena arrivato.

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now