20. Hai una cotta per me?

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Cheyenne
Questa mattina mia madre è entrata in camera mia – cosa che non fa mai, manda sempre qualcun altro, quindi la sua presenza mi ha fatto capire l'importanza dell'evento – e ha detto: «Stasera c'è un'importantissima serata di gala a casa dei Thompson.»
«Per cosa?» mi sono azzardata a chiedere. Lei mi ha fulminato con lo sguardo.
«Affari, come al solito, ma non è questo il punto: ci saranno i giornalisti, dunque vedi di comportarti a modo, Cheyenne.»
Ho annuito. So benissimo che è una minaccia, non tanto una raccomandazione, con cui mi esorta a comportarmi da figlia impeccabile e infallibile. Ovvero come Amélie; avrebbe potuto dire "comportati come Amélie" e alle mie orecchie sarebbe suonato allo stesso modo. Mia madre adora i Thompson, o meglio, adora l'immagine dei Thompson e il loro nome, come adora quelli di Courtney e Chantal. È tutta una questione di nome, per lei. La loro casa non è una casa, ma un palazzo immerso in un quartiere per ricchi, da cui tuttavia si sentono i rumori della città. So benissimo di non poter protestare, quindi chiamo Lauren e le chiedo di aiutarmi a scegliere un vestito che possa soddisfare mia madre. Mentre lei solleva i vari abiti e me li fa ondeggiare intorno per vedere se il colore e il taglio si addicono a me, io sono con la testa da tutt'altra parte. Non riesco a smettere di pensare alle parole cattive di Allen, a tutto l'astio che si portavano dietro, però sono sicura di non aver visto solo quello, e l'ho capito mentre i giorni passavano e noi non ci rivolgevamo la parola. Allen aveva paura di rispondere alla mia domanda, e come un animale si è difeso tirando fuori le zanne. So che le sue frasi nascondono un fondo di verità, perché è vero che non sono affari miei, ma ormai siamo amici, siamo in questa cosa in due, e anche se non è stato esplicitato da nessuno dei due, ci siamo ripromessi di esserci l'uno per l'altra e di essere sinceri fra di noi. Io voglio sapere la verità, perché voglio esserci per lui. Nonostante questo non sarò io a piegarmi, me lo sono ripromessa. Dovrà essere lui a scegliere di venire a parlarmi e chiarire la situazione, perché deve essere lui a sentirselo. Il tentativo che ha fatto ieri è miseramente fallito, perché non era pronto. Amy, con uno dei suoi soliti trucchi, ha fatto in modo che ci ritrovassimo insieme, e non è finita bene. Io non le avevo detto che avevamo litigato, ma in qualche modo lei lo ha capito lo stesso, o forse glielo ha detto Allen. In ogni caso è stata una mossa totalmente catastrofica.
«Che ne dici di questo?» la voce di Lauren mi riporta alla realtà. Mi sventola davanti agli occhi un vestito lungo color porpora senza spalline, firmato Versace. Un pezzo unico, richiesto esplicitamente da mia madre come regalo per me. Nonostante sia ben consapevole che è un regalo non proveniente dal cuore, ma solo dall'avidità, questo vestito mi piace da impazzire. Scelgo di indossarlo e inizio a preparami, dobbiamo essere dai Thompson per le quattro e sono già le due di pomeriggio. Sam mi aiuta con il trucco e Lauren mi aggiusta i capelli, che decide di raccogliere in un elegante chignon a treccia e bloccare sulla mia testa con una quantità industriale di forcine. Mia madre preferisce andare dal suo parrucchiere di fiducia, e con lei Amélie. Costringerebbe anche me, se non fosse obbligata ad ammettere che Sam e Lauren svolgono un lavoro eccezionale allo stesso livello dei professionisti.
Quando rientrano sono le tre, io sono ancora in camera mia a farmi perfezionare il trucco da Sam, quando mia madre entra senza bussare. Alla vista del vestito color porpora e dell'acconciatura che mi ha fatto Lauren un gran sorriso le illumina le labbra. È soddisfatta, incredibile. Mi sento quasi gratificata, anche se so bene che dovrei fregarmene, la sua è tutta una facciata.
«Partiamo fra mezz'ora, Pierre ci sta già aspettando in auto... sei bellissima, Cheyenne, brilli come un diamante raro» i tacchi echeggiano sul pavimento mentre mi viene incontro. Sento le sue mani circondarmi il volto, mentre mi scruta come se davvero fossi una pietra preziosa. Trattengo il respiro, per una volta non c'è distacco nel suo sguardo, solo quello che mi sembra... orgoglio. Mi mordo la lingua fino a farmi salire le lacrime agli occhi, forse per nascondere quelle che già li avevano inondati. È il momento perfetto per confessarle di Wendy. È insolitamente tranquilla, non mi detesta e oserei dire che è felice. Le conseguenze della mia confessione sarebbero minime. Eppure non lo faccio, di nuovo mi tengo stretto il segreto, perché per una volta che non sono la figlia deludente non voglio rovinare il momento.
Puntuali come un orologio svizzero, alle quattro siamo di fronte al cancello di Palazzo Thompson. In realtà non è un vero e proprio palazzo, io l'ho ribattezzato così. È una villa a tre piani circondata da almeno trecento metri quadri di giardino, che devo ammettere la signora Thompson cura in modo impeccabile. Ovviamente per signora Thompson intendo la sua équipe di giardinieri professionisti, però lei supervisiona tutto. In ogni stagione vi sono piante e fiori diversi, siepi e querce, rose e betulle, gerani e piante più rare e introvabili. È davvero uno spettacolo bellissimo. In inverno i fiori sono importati, io non me ne intendo quindi non ho idea di quali tipologie siano, ma sono sgargianti e delicati, raffinati e deliziosi da guardare.
«Lorelie, Vincent, è un piacere rivedervi» la signora Thompson accoglie i miei genitori con un caloroso sorriso. È una signora attempata, tuttavia porta i naturali capelli bianchi in modo elegante, indossa sempre un paio di guanti abbinati al completo che veste e i suoi occhi sono miti e gentili, acuti nonostante l'età, non le sfugge niente. Suo marito è venuto a mancare un paio di anni fa, lasciando lei e i due figli da soli, ma la signora Thompson non si è abbattuta, anzi ha continuato a dirigere la casa. Prima di andare in pensione era un ambasciatore delle Nazioni Unite, una donna davvero in gamba che ha visitato gran parte del Pianeta, e forse l'unica signora altolocata ad avere un debole per me e non per mia sorella.
Mi prende le mani fra le sue per trattenermi quando i miei e Amélie hanno già oltrepassato il cancello. «Come sta la mia signorina?» la sua voce è più confidenziale, meno formale. Mi chiama la mia signorina da sempre, una volta mi ha confessato che soffre terribilmente la mancanza di una figlia femmina, e che un po' io lo sono per lei, o almeno le piace crederlo. I fratelli Thompson, dieci anni fa, si sono trasferiti entrambi in Europa, e la signora Thompson è rimasta senza figli, dunque quando molto spesso passavo di qui coi miei genitori, lei era contentissima di vedermi.
«Va tutto bene signora Thompson, lei?»
«Bene adesso che finalmente ti vedo di nuovo, è passato un secolo, cara!» esclama, sgranando i piccoli occhi azzurri. Rido piano.
«Lo so, mi dispiace, prometto che passerò a trovarla più spesso.»
«Molto bene, cara, vatti ad accomodare, dai, ho fatto preparare dei deliziosi dolcetti austriaci solo per te, assaggiali» mi dice, dandomi dei buffetti sulle mani. Mi si stringe il cuore, per me la signora Thompson è una nonna americana.
«La ringrazio molto.»
«Figurati tesoro, passa una buona serata!»
Lo spero, mi dico mentalmente. Mentre attraverso il giardino contemplando i fiori come sempre, noto il buffet allestito sotto dei gazebo sui cui pali di sostegno si arrampicano delle spirali di fiori colorati. Allungo una mano verso i dolcetti e ne afferro uno simile a un piccolo cupcake. Ne prendo un morso e chiudo gli occhi. Sublime, davvero sublime. Grazie, signora Thompson, per avermi migliorato la serata.

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora