16. Come ti faccio sentire?

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Riassuntino: Allen e Cheyenne, dopo essere tornati da Cold Spring – dove hanno trascorso una notte in campeggio e conosciuto Hans Emelrich Wagner –, passano il pomeriggio della Vigilia e la mattina di Natale insieme, perché Allen si presenta con il volto tumefatto a casa di Cheyenne dopo una lite con il padre – che quest'anno è stato invitato dalla madre di Allen a trascorrere il Natale con loro per rendere felice Amy, sua sorella – in seguito al regalo che gli aveva fatto. La sera del ventiquattro si ubriacano e Cheyenne, sentendo alla radio Ho Ho Ho di Sia definisce lei e Allen due misfits, ovvero due disadattati. Allen dorme da Cheyenne e durante la notte ha un incubo che tuttavia non le racconta, ricorrente quando i suoi stavano divorziando, ovvero che il padre se ne va e lui gli grida di non farlo. Il mattino seguente lui torna a casa e Cheyenne resta di nuovo sola – i suoi se ne sono andati assieme al personale, che è in ferie, n.d.a. –, poi torna a trovarla il pomeriggio e le regala un cucciolo di husky, che Cheyenne decide di chiamare Wendy.

Allen
«È stata l'ora più stancante della mia intera esistenza» con un gran sospiro Cheyenne si lascia cadere accanto a me sul divano, in salotto. Alzo gli occhi al cielo senza guardarla. «Drama queen.»
«Quel cane è una forza della natura» ribatte, e per rafforzare la sua tesi mi dà anche una spallata. Scoppio a ridere osservando Wendy che dorme sul tappeto. Devo ammettere che, messa da parte la paura iniziale, è stato difficile farla calmare. Continuava a balzare da una parte all'altra del salotto, infilandosi sotto mobili e dietro piante.
«Ti darà del filo da torcere» alzo lo sguardo su di lei, che mi fissa con i suoi smeraldi. All'improvviso la preoccupazione prende possesso del suo volto, e i suoi occhi si incupiscono. Aggrotto la fronte, confuso.
«C'è un problema, Allen» sospira, passandosi le mani fra i capelli, lo sguardo perso di fronte a sé.
«Ovvero?»
Cheyenne mi ignora e si abbandona con la schiena contro il divano. «Come diavolo ho fatto a non pensarci prima?»
«Cosa c'è che non va?» insisto, riprendendo il contatto visivo.
«I miei» sospira, come se anche soltanto nominarli le costasse una fatica immensa. «Non mi lasceranno mai tenere un cane.»
«Non hai detto che non ci sono mai?» provo a ribattere, effettivamente non mi ero preoccupato dei suoi genitori.
«Se fosse così semplice ora farei quello che mi pare, non credi?» sbuffa, come se fosse ovvio. Alzo gli occhi al cielo, poi lo sguardo mi cade sul cucciolo di husky che dorme beato sul tappeto ai nostri piedi. All'improvviso sono di nuovo a Cold Spring, e sto guardando dritto negli occhi di Cheyenne mentre lei accarezza il cane di quell'idiota di Hans, o come diavolo si chiama. Tutto quello che vedo in essi è amore e invidia, e il desiderio di sapere cosa si prova ad essere l'oggetto di un affetto così semplice e vero.
«Troveremo un modo, te lo prometto» le dico, stringendole la mano per suggellare questa promessa che mi impegnerò con tutto me stesso a mantenere. Lei sospira e poggia la testa sullo schienale del divano. Approfittando di questo momento di distrazione, abbasso lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. Le dita di Cheyenne sono sottili e sempre gelide, indipendentemente dalla temperatura esterna. La sua pelle è candida come la neve che colora le strade di New York, e il contrasto che si crea con le linee nere dei miei tatuaggi mi fa sorridere.
«Cosa ti va di fare, Kate?» le chiedo. Apre le dita e le poggia contro le mie, spingendole verso l'alto.
«Non lo so, è comunque il giorno di Natale, i negozi sono chiusi.»
«Non tutti, ma comunque sarebbe un disastro raggiungerli con questa neve.»
Guardo fuori dalla finestra e mi rendo conto che ha iniziato a nevicare sul serio. I fiocchi, fitti, ricoprono il terreno e iniziano a formare uno strato consistente e bianco. Cheyenne segue il mio sguardo e sospira.
«Vorrei fumare una sigaretta» mormora.
«Questo credo di potertelo concedere.»
«Non qui» specifica, poi lascia le mie dita e si alza in piedi, con le mani sui fianchi. «Sul tetto della scuola.»
Aggrotto le sopracciglia e la guardo, pensando che scherzi, ma lei rimane mortalmente seria.
«Ma davvero?»
«Eh.»
«E va bene» mi alzo in piedi sotto il suo sguardo incredulo.
«Cosa?»
«Facciamolo, andiamo a fumare questa sigaretta.»
«Come facciamo con Wendy?» mi chiede lei, sposto lo sguardo sul cane che dorme beato, finalmente.
Mentalmente le chiedo scusa, poi mi abbasso e la prendo in braccio, il cane apre piano gli occhi ma non si sveglia, anzi si rannicchia fra le mie braccia e ricomincia a sonnecchiare. «La portiamo con noi» sorrido, rivolto a Cheyenne.
Usciamo da casa sua il più coperti possibile, ovvero io con la mia felpa e lei con la giacca a vento e sotto due maglioni. Si tira anche la sciarpa fin sopra alle orecchie.
«Che esagerata» le dico quando saliamo in macchina.
«Non rompere, hai idea del freddo che io percepisco? Oltretutto dobbiamo salire sul tetto della scuola, dove tira un vento micidiale» replica subito, stizzita. Poi abbassa lo sguardo su Wendy e i suoi occhi si addolciscono. Dorme beata sulle sue gambe, con una zampa penzoloni e l'altra sotto la pancia.
«È il regalo più bello che potessi farmi» mormora. Una sensazione di benessere si espande dal centro del petto al resto del mio corpo, e le do un buffetto sul naso. Lei mi guarda storto, ma la ignoro e metto in moto, imboccando la strada che ci porterà a scuola.
«Questo è il primo atto» esclamo ad un certo punto, ripensando al piano che avevo ideato per insegnare a Cheyenne a vivere un po'.
«Primo atto di cosa?» mi domanda confusa.
«Del piano Adolescenti Ribelli, no?»
«Cosa stiamo facendo di ribelle e illegale, di preciso?»
Le lancio un'occhiata di sbieco, convinto che stia scherzando, ma mi sbaglio. «Ci stiamo infiltrando in una scuola che è chiusa per le vacanze, mi sembra abbastanza illegale. E siccome stiamo sfidando la legge siamo anche ribelli.»
Lei sgrana gli occhi, probabilmente realizzandolo soltanto adesso. «E se ci beccano?»
«Siamo fottuti, non troppo ma comunque abbastanza.»
«E perché mi è venuta quest'idea?» chiede sconsolata, con una mano sulla fronte. Rido e parcheggio nei pressi della Silverhood High, poi insieme scendiamo dall'auto e andiamo verso l'ingresso che è, ovviamente, chiuso. Le faccio cenno di seguirmi sul retro, dove si trova la scala antincendio. La neve continua a cadere fitta e ha già ricoperto tutti i gradini, rendendoli scivolosi. D'istinto afferro la mano di Cheyenne e comincio a salire. Lei sembra inizialmente confusa, ma poi mi segue stringendomi più forte la mano quando rischia di scivolare. Io tengo Wendy stretta a me con l'altro braccio. Mentre saliamo non posso fare a meno di pensare a quanto in così poco tempo questa ragazza sia diventata così importante. È come se ci fosse sempre stata, come se il mio obiettivo fosse cercare di renderla felice, perché è effettivamente tutto quello che cerco di fare. È come con Amy, mia sorella, sento quell'istinto di proteggerla e allo stesso tempo di aiutarla a cavarsela nel mondo, perché diciamocelo, Cheyenne non ne è affatto capace. Sorrido come un idiota al pensiero, e per fortuna lei non può vedermi.
Quando arriviamo di fronte alla porta, come previsto, tiro la maniglia e questa si apre. Non la chiudono mai. Una volta dentro la scuola, ci scrolliamo la neve di dosso. Cheyenne alza lo sguardo su di me e ridacchia, coprendosi la bocca con la mano per non farsi vedere ma con scarsi risultati. Alzo un sopracciglio, confuso. «Che c'è?» Senza dire nulla fa un passo verso di me e mi scrolla i capelli, probabilmente per far cadere la neve che vi si era depositata. Mentre svolge questa operazione, abbasso lo sguardo sul suo viso. Un sorriso involontario le schiude le labbra e gli occhi sono concentrati sui miei capelli. Ha le gote arrossate per il freddo e con esse anche la punta del naso, le lentiggini sono ancora più evidenti sulla pelle color porcellana. È davvero adorabile. Mi sento un idiota a pensarlo, ma non posso farne a meno. Senza riuscire ad impedirmelo alzo una mano e le scosto una ciocca di capelli dal viso, ma invece di lasciarla cadere la poggio sulla sua guancia. Cheyenne lascia perdere i miei capelli e rimane con le mani sospese in aria a fissarmi con quegli smeraldi. Un desiderio a me sconosciuto prorompe dal petto e mi arriva fino alla punta delle dita. È lei ad interrompere il contatto visivo, abbassando lo sguardo. Non ne sono sicuro, ma mi sembra che avesse le guance rosse, e questa volta non per il freddo. Sorrido senza volerlo e prendo in braccio Wendy, che si stava rotolando sul pavimento, per poi attraversare il corridoio del quinto piano fino a raggiungere la porta del tetto. Dopo un attimo di esitazione Cheyenne mi segue e si ferma alle mie spalle, davanti alla porta.
«Dammi Wendy, la tengo io.» Le passo il cucciolo e apro la porta. Subito l'aria gelida mi investe, lasciandomi per qualche secondo senza fiato. Come al solito il vento è micidiale, e si può dire che imperversa una vera e propria bufera di neve.
«Forse non è stata una buona idea» sento Cheyenne che mi grida all'orecchio, ma le faccio cenno con la mano che non importa. Mi mancava questa sensazione, me ne rendo conto soltanto adesso. Con lei i miei pensieri volano lontano, ma quassù è tutta un'altra storia, mi sento come se galleggiassi sopra New York, senza problemi, come se io stesso non fossi una persona ma soltanto un'entità in grado di aleggiare sulla città e osservarla dall'alto, lasciando a terra le preoccupazioni. I grattacieli sono illuminati come se fosse giorno, riesco persino a scorgere le luci di Central Park e l'immensa distesa verde, dove sorge il palazzo in cui si trova l'appartamento di mio padre. Storco il naso e chiudo gli occhi, illudendomi per un po' che non vedendolo il problema non esista. Eppure in questo momento si trova a casa nostra, quella che non gli appartiene più. E con lui il resto della famiglia. Mi rendo conto soltanto adesso che ho passato veramente poco tempo con loro, questo Natale. Sono stato a casa soltanto per il pranzo, sia oggi che ieri, e la cosa è di sicuro dovuta alla presenza di mio padre. È più forte di me, non riesco a stare nella stessa stanza con lui, specialmente dopo la storia della Porsche. Mi passo una mano sul volto, meno gonfio ma comunque tumefatto, e mi sembra di sentire ancora l'impatto del pugno e perfino il rumore delle ossa che vengono colpite.
«Smettila di rimuginarci, Allen» la voce di Cheyenne mi fa sobbalzare, mi ero dimenticato che fosse qui. Mi rendo anche conto di essermi appoggiato al cornicione con lo sguardo rivolto verso la città. I gomiti affondano nella neve, e sento la felpa ormai fradicia in quel punto.
«Forse hai ragione, tanto non posso farci nulla, è andata così.»
Senza dire altro, Cheyenne si accende una sigaretta e mi passa l'accendino, poi cerca di coprirsi le orecchie e il naso come meglio le riesce, ovvero male dato che ha anche Wendy in braccio. È la caratteristica che più mi piace di lei. Cheyenne misura sempre le parole da dire, non sono mai messe a caso, invece la maggior parte delle persone parla a sproposito, tanto per farlo, senza credere in ciò che dice o senza neanche rendersene conto. E quindi tendi a non ascoltarle, perché sai che la gran parte di ciò che diranno non ti interesserà, invece con lei è diverso, perché ogni volta che apre bocca so che non è casuale, e so che mi importerà di ciò che avrà da dire.
Tiro fuori il pacchetto dalla tasca posteriore dei jeans ed estraggo una sigaretta, che porto alle labbra e accendo. Inspiro una lunga gettata di fumo, e la espiro dopo qualche secondo. Sento i nervi affievolirsi quasi all'istante e i muscoli rilassarsi, poi osservo la carta bruciare assieme al tabacco. È incredibile come in qualcosa di così piccolo e nocivo possa trovarsi un potere calmante così grande.
«Forse ne avevi più bisogno tu di me.» Alzo lo sguardo su Cheyenne, che sorride in modo amaro, poi lo porto di nuovo sui grattacieli. Ha ragione, ne avevo più bisogno io, e me ne rendo conto soltanto adesso. Ma non avevo soltanto bisogno di fumare, avevo bisogno del tetto, di tutto questo. Il freddo si insinua sotto pelle e penetra nelle vene, provocandomi quella piacevole sensazione pungente. Amo il freddo, per questo me lo gusto fino all'ultimo brivido. Lo stesso non si può dire di Cheyenne, che nonostante indossi due maglioni e la giacca trema come una foglia. Le darei anche la mia felpa, se non fosse che per stare a petto nudo la temperatura è un po' troppo bassa. Anche Wendy mi sembra dello stesso avviso, infatti inizia a piagnucolare.
«Sbrighiamoci a finire questa sigaretta» dico, preoccupato per entrambe. Cheyenne annuisce e fa gli ultimi due tiri, poi la getta oltre il cornicione. E per l'ultimo tiro che mi rimane scelgo di gustarmi il paesaggio più bello che mi si sia mai profilato davanti. Do le spalle ai grattacieli e poggio i gomiti sul cornicione, voltandomi verso di lei. I capelli le aleggiano attorno al volto, mossi dal vento, nei suoi occhi chiari si riflette il cielo notturno e la luce della città. Le gote sono ancora più rosse, le labbra invece tendono al violetto.
«Perché mi fissi?» chiede, sbattendo le palpebre.
Perché sei bellissima, vorrei rispondere, ma mi mordo la lingua. Non capisco se questi sentimenti che di tanto in tanto affiorano siano solo suggestioni del momento oppure altro, come quella mattina a Cold Spring. Li provo solo in determinate situazioni, quando siamo così vicini che i nostri pensieri si intrecciano, come se lei fosse nella mia testa e io nella sua, non è una vicinanza fisica, ma una vicinanza psicologica.
«Perché i grattacieli sono sempre gli stessi, tu no» le rispondo, invece.
Lei mi osserva confusa, e un sorriso mi affiora sulle labbra.
«Non farò domande.»
Rido. «Meglio così.»
Rimaniamo fuori qualche altro minuto, infine decidiamo di rientrare. Cheyenne ha un brivido non appena chiudo la porta del tetto, e si gode addirittura lo scarso tepore presente nella scuola, io invece mi sento come se avessi appena chiuso fuori tutta la spensieratezza e la leggerezza, e mi fossi invece imprigionato all'interno di un incubo senza fine. Ficco le mani in tasca e sospiro, consapevole di poter fare poco e niente per curare questo malessere dell'animo.
Wendy ci tiene a farsi sentire, e abbaia, dimenandosi fra le braccia di Cheyenne.
«Oddio, che vuole?» sgrana gli occhi, in cui leggo tutta la sua inesperienza.
«Lasciala scendere.» Fa come le dico e la poggia a terra. Il cucciolo si sgranchisce le zampe e sbadiglia, per poi iniziare a trotterellare in giro. È molto meno spaventata di un paio d'ore fa, anzi sembra anche più intrepida. Sorrido mentre la osservo che zampetta in giro, e Cheyenne fa lo stesso.
«Siamo sicuri che non ci sia qualche allarme?» chiede a un tratto. Alzo gli occhi al cielo.
«Avrebbe suonato da un pezzo.»
Non so per quanto tempo restiamo seduti con la schiena poggiata contro la porta del tetto a guardare Wendy che si nasconde, oppure si rotola sul pavimento, o annusa oggetti da cui poi rimane spaventata. Ridiamo di tanto in tanto e ci scambiamo qualche battuta, il clima è rilassato e felice, leggero, come se insieme ci fossimo librati sopra la città, pur essendo chiusi in questo corridoio sporco e piccolo. All'improvviso, la suoneria del mio cellulare rompe l'atmosfera e fa saltare entrambi in aria. Mi alzo in piedi e prometto a Cheyenne di tornare subito, poi vado verso la fine del corridoio e rispondo. «Ciao, mamma.»
«Allen» fa una pausa, la voce talmente pesante che me la immagino, stanca, seduta sul divano con una mano davanti al volto che si chiede dove sia finito. E mi sento in colpa. «Tuo padre se n'è andato, puoi tornare a casa?» Non so se suoni più come una domanda o come un'affermazione, ma in ogni caso aggiunge: «Ti prego.»
Mi mordo con forza il labbro, non l'ho mai sentita così stanca e preoccupata allo stesso tempo, probabilmente ha dovuto anche subirsi l'interrogatorio da parte di Amy e assorbire la sua angoscia, soltanto per lasciarmi i miei spazi. Sospiro e osservo la neve cadere dietro il vetro spesso della finestra.
«Tra un'ora sono a casa, te lo prometto.»
«Grazie.»
Resto in silenzio per qualche secondo, con il respiro sospeso. «Mamma?»
«Sì, tesoro?»
«Grazie per avermi capito senza che dicessi nulla.»
«A cosa servirebbero le madri, altrimenti?» mi rincuora sentire nel suo tono il sorriso che probabilmente deve avere in faccia.
«Ti voglio bene, davvero.»
«Anche io, tesoro, però torna a casa» e di nuovo quel tono preoccupato.
«Stasera torno» la rassicuro, senza riuscire a smettere di sorridere.
«A dopo, allora.»
«A dopo.»
Attacco e resto per qualche altro minuto a guardare la neve che cade silenziosa, poi torno davanti alla porta del tetto, prendo in braccio Wendy e porgo la mano a Cheyenne.
«Andiamo a casa?» mi chiede, dopo averla afferrata, e la aiuto ad alzarsi.
«Già, era mia madre al telefono.»
«Si chiederà dove sei finito, non le hai detto dov'eri?» C'è un evidente nota di rimprovero nel suo tono.
«No, Kate, altrimenti che adolescente ribelle sarei?» scherzo.
Lei alza gli occhi al cielo e insieme ci incamminiamo lungo il corridoio, fino alla scala antincendio.
«Allen?» sussurra, forse sperando che non la senta con tutto il trambusto che c'è qui fuori, ma purtroppo per lei lo faccio. Mi giro a guardarla, un gradino più in alto rispetto a me.
«Dimmi.»
«Starai bene?»
Sbatto un paio di volte le palpebre, per niente sicuro di come rispondere a questa domanda. «Sì, penso di sì, non si sta mica male a vita, no?»
«Direi di no» mormora, ma lo vedo che non è convinta. Sapere che si preoccupa per me mi scalda il cuore, perché è una cosa più unica che rara, dato che sono sempre stato io a preoccuparmi per gli altri, ma questa è una domanda complicata a cui è molto difficile rispondere. Almeno per adesso. Raggiungiamo la macchina e saliamo al suo interno. Sparo subito l'aria calda al massimo, non perché io senta freddo, ma perché so che lei sta congelando, poi rimaniamo entrambi immobili a guardare il cielo scuro sopra di noi. Non si vedono le stelle. Qui a New York non si vedono mai, le stelle, c'è troppa luce, persino di notte. Mi torna in mente la sera che abbiamo trascorso a Cold Spring, il cielo era bellissimo e sembrava che le stelle fossero infinite, lì a brillare in cielo soltanto per noi, per quella notte, per quel momento. Adesso invece è tutto buio, così tanto da stonare con le luci che si riflettono l'un l'altra. Un'improvviso senso di angoscia mi attanaglia il petto, ma cerco di scacciarlo via. Non so se starò bene, ma sono certo che non si può stare male per sempre, come ho detto a Cheyenne.
«Cos'è questo?» È proprio la sua voce a distogliermi dai miei pensieri. Lo sguardo mi cade sul raccoglitore blu che tiene fra le braccia, e per poco non mi prende un infarto. Ero convinto di averlo lasciato a casa, ma a quanto pare mi sbagliavo. Glielo strappo dalle mani, rischiando di far cadere Wendy a terra, che in tutta risposta piagnucola fra le mie braccia. La carezzo in segno di scuse, che lei sembra accettare, infatti si accuccia di nuovo sulle mie gambe. «Okay, forse non mi è lecito chiedere.» Alza le mani in segno di resa.
«Non è questo...» mormoro imbarazzato, evitando il contatto visivo.
«Non dirmi che... sono i disegni che avevi detto non mi avresti fatto vedere mai nella vita» l'ultima parte della frase la dice mimando delle virgolette a mezz'aria per citare ciò che le avevo detto quando mi aveva chiesto di mostrarglieli già un'altra volta, poi scoppia a ridere.
«Non prendermi in giro!» esclamo, cercando di tapparle la bocca, ma lei mi scansa le mani, senza riuscire a smettere di ridere.
«E dai, voglio vederli!» torna per un attimo seria, ma c'è una precisa ragione se non voglio che li veda. In parte ciò è dovuto ai disegni della mia infanzia, per cui dovrei dare di sicuro delle spiegazioni, ma quelli posso anche chiederle di lasciarli perdere, non sono così belli. Invece la tecnica con gli anni l'ho affinata, e gli ultimi che ho fatto da quando ho ritrovato il raccoglitore non sono affatto male, ma il problema anche in questo caso è un altro: il loro soggetto. È Cheyenne, sempre, di ciascuno di essi. Ed è una cosa così dannatamente imbarazzante e difficile da spiegare che è molto più semplice impedire che li veda, ma proprio mentre lo penso lei mi ruba il raccoglitore dalle mani e approfitta del fatto che ho Wendy in braccio per aprire la portiera e correre fuori.
«Cheyenne!» esclamo, sconvolto. Apro di scatto lo sportello e lascio il cucciolo sul sedile, poi le corro incontro, ma mi fermo prima di raggiungerla. Sta guardando le pagine del raccoglitore con gli occhi e la bocca sgranati, e posso giurare di sentire letteralmente il mondo crollarmi addosso. Rimango impalato come un idiota a mordermi il labbro e attorcigliarmi le dita, senza sapere cosa dire.
«Wow» sussurra lei, alza per un secondo lo sguardo su di me, poi lo abbassa di nuovo sui disegni. «Sono io. Sempre.»
Mi strofino il volto, paonazzo. «Non peggiorare la situazione.»
«No, è che sono... sorpresa, ecco, e anche bellissima. No, aspetta, non intendo dire che io sono bellissima...» borbotta, e tutto ciò è di un tragicomico così assurdo che non posso fare altro che ridere.
«Intendo che i disegni sono bellissimi, nel senso... la tua tecnica è favolosa, ecco, ce l'ho fatta.»
Mi gratto la nuca, ancora imbarazzato come lo sono stato poche volte nella mia vita. Non so come mi sentirei se scoprissi che qualcuno ha un raccoglitore pieno di miei disegni, forse spaventato, e così deve sentirsi lei. Ma Cheyenne è Cheyenne, non è come tutti gli altri, anzi è fortemente imprevedibile, per questo quando mi viene incontro con il raccoglitore ancora davanti agli occhi resto confuso.
«Posso farti una domanda?» mi chiede, alzando lo sguardo su di me. La curiosità le brilla negli occhi. Niente paura né inquietudine. Dovrei prenderlo come un buon segno?
«A questo punto mi sembra doveroso darti delle spiegazioni» le rispondo, lo trovo scontato.
Saliamo di nuovo in macchina, così da stare al caldo, e Cheyenne mi restituisce il raccoglitore. Mi sento come se mi avesse aperto il cranio a metà e ci si fosse tuffata dentro a piedi pari. Che brutta giornata, decisamente da dimenticare.
«Ho notato che la tua tecnica è molto diversa nei disegni che precedono... me.» So qual è la domanda, anche se non l'ha posta è lì, implicita.
«Ho smesso per un lungo periodo, quando i miei hanno divorziato. Sentivo che nulla fosse in grado di esprimere ciò che provavo, dunque ho lasciato perdere il disegno per molto tempo, ho ricominciato da poco, da quando...» ho conosciuto te. Mi vergogno da morire a dirlo ad alta voce, ma sono certo che lo abbia intuito dal modo in cui persino lei arrossisce. Una delle cose che preferisco al mondo, ma non in questa situazione. Dio, è così imbarazzante. Non sono un tipo né timido né insicuro, ma quando si tratta di disegni, dei miei disegni, prende vita dentro di me il bambino timido e insicuro che sono stato.
«Ho un'altra domanda...» mormora. Mi passo una mano sul volto.
«Mi stai uccidendo, Cheyenne» le confesso con una mezza risata isterica, lei sorride imbarazzata.
«Scusa.»
«Dai, fammi questa domanda.»
«Quando eravamo a Cold Spring, il mattino che ti ho trovato che disegnavi di fronte a quell'alba stupenda, tu mi hai detto che stavi disegnando il tramonto, perché credi che "prima di disegnare qualcosa tu debba aver assimilato il modo in cui essa ti fa sentire", e che avevi "dormito sul tramonto" e ti eri "lasciato ispirare dall'alba", ecco... vorrei vedere quel disegno, ci ho rimuginato per tutto questo tempo.»
Sento un colpo dritto al cuore, e penso che questa volta non sopravvivrò. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi quando le dico: «Quel disegno non esiste, Cheyenne.»
«Come non esiste?»
Voglio morire, proprio adesso. Sospiro. «Stavo disegnando te.»
Riesco a sentire che rimane letteralmente senza fiato, ma non ho il coraggio di guardarla. Qualcuno mi dia una pala che mi scavo la fossa. Questa come gliela spiego? La prossima domanda che aspetto mi porga è: «Cosa pensa il tuo psicologo di te?», invece ancora una volta lei ribalta ogni mia certezza e mi lascia senza parole.
«E come ti faccio sentire?»
Non lo so sarebbe forse la risposta più sincera, ma in una parte remota di me c'è anche la piccola certezza che sarebbe una bugia. Non so cosa si aspetta che le risponda, ma cerco di essere il più sincero possibile, dato che ormai siamo arrivati a questo punto.
«Bene, Cheyenne, mi fai sentire... bene.»
Lei sorride come se le avessi fatto il più bel complimento del mondo, è così luminosa che adesso mi sembra quasi di riuscire a vedere le stelle in cielo che splendono per il riflesso della sua luce, persino nella città che non dorme mai. Rivolge lo sguardo fuori dal finestrino e incrocia le mani in grembo. Potrei giurare che ha gli occhi lucidi, ma non ne sono pienamente sicuro.
«Ne sono davvero felice, Allen.»

Ciao fiori di campo! 🙊

Sono riemersa dal baratro in cui ero sprofondata. Io non voglio chiedervi scusa, perché non merito che voi, carini come siete, accettiate le mie scuse.

Ho avuto un lungo periodo di blocco, non riuscivo a scrivere questo capitolo. Vi giuro che negli ultimi tre mesi ho pensato a questa storia ogni singolo giorno, e ogni singolo giorno andavo a letto con un terribile magone perché non ero riuscita a concludere niente. Scrivevo cinquecento parole, le rileggevo, e le cancellavo. Tutto questo in loop per gli ultimi tre mesi, quattro anzi. Mi sento uno schifo perché non ho mantenuto la promessa che vi avevo fatto, ovvero che sarei tornata a breve.

Per fortuna sono andata per una settimana in vacanza e lì sembra che la mia ispirazione sia rinata, infatti ho scritto un lunghissimo capitolo che pubblicherò fra un po' e che sono sicura vi piacerà tanto e ho finalmente scritto un consistente pezzo di questo che avete appena letto, che ho tuttavia finito stanotte.

Quando l'ho ripreso fra le mani per l'ennesima volta, un paio d'ore fa, ho sentito una sensazione bellissima al centro del petto, come se sapessi finalmente quale direzione prendere dopo quattro mesi di blocco, non riesco neanche a spiegarvi il sollievo e la felicità che ho provato.

È per questo che con davvero tanta tanta tanta umiltà vi porto questo capitolo, perché voi siete stati favolosi. Non mi avete mai forzata a scrivere né insultata in questi quattro mesi, siete stati tutti, e dico proprio tutti, rispettosi del mio silenzio, e non capite quanto vi ringrazi per questo. ❤️

Niente, spero che il capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative, iniziamo ad entrare nel vivo della storia, e dovete ancora conoscere tanti tanti tanti personaggi!

Ci vediamo il prima possibile, sperando che questa corrente di positività non mi abbandoni.

Al prossimo capitolo!🔜

-A

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora