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Cheyenne
Non so più quanti giorni siano passati dalla notte in cui io ed Allen ci siamo detti addio, ma il matrimonio di Amélie è ormai alle porte. Dieci giorni fa mia madre ha invitato Hans a cena e gli ha offerto la mia mano come se fossi una principessa ottocentesca. Lui era sorpreso, oserei dire sconvolto, ma ha accettato. So che mi ama, e la cosa mi rende soltanto più infelice. Quando poi mi ha chiesto in privato se lo volessi davvero, ho risposto di sì, gli ho dato la buonanotte e mi sono addormentata piangendo. L'ho fatto ogni singola sera dopo quel «sì», e ogni mattina cerco di seppellire le occhiaie nel fondotinta, ma ormai sono talmente incise nella mia pelle che non c'è niente da fare, e ho smesso di provarci.
Courtney e Chantal hanno cercato di spingermi a rompere l'accordo, ma la verità è che non ho più un motivo valido per farlo. Sono sicura che Allen non vuole più avere niente a che fare con me, e me l'ha confermato Amy quando mi ha accusata, piangendo, di averlo distrutto. Mi ha detto che sono la persona più egoista che abbia mai conosciuto, e non posso darle torto. Per tutti questi mesi ho sempre cercato di salvaguardare me stessa, ho fatto soffrire gli altri, me ne sono fregata dei loro sentimenti, li ho giudicati e maltrattati. E alla fine non è cambiato niente, anzi sono addirittura più infelice di prima.
Ho definito me ed Allen due "disadattati", ovvero "incapaci di adattarci all'ambiente socioculturale che ci circonda", così vuole la definizione psico-pedagogica. Degli emarginati. Invece ci siamo trovati più intrecciati alla nostra realtà di quanto noi stessi avremmo voluto. Per portare avanti il nostro mondo ideale a vele spiegate, abbiamo dovuto scontrarci con quello reale, ci siamo entrati dentro a forza con tutta la nave, ed è stato inevitabile fondervisi assieme. Non esiste il "dis-adattarsi", a questo punto. Ci siamo adattati a questo mondo e non siamo più riusciti a uscirne, ci ha ingoiato, e per continuare a correre in parallelo abbiamo coinvolto altre persone, le abbiamo ferite. Allen, però, ha detto basta. Sono stata io a chiedergli più volte di continuare, di provarci ancora, di avere fiducia. E poi gli ho voltato le spalle. Nel momento in cui lui mi ha aperto il cuore, io l'ho respinto. E adesso mi rendo conto che avevo paura. Paura di gettare tutto all'aria, del giudizio della mia famiglia, delle ripercussioni delle nostre scelte sulla mia vita. Quindi sono scappata, ho respinto tutto ciò che provavo in un angolo buio e l'ho sigillato lì, lontano da me. Per aiutarmi a non provare niente, mia madre mi ha portata dal medico, che ha diagnosticato un qualche tipo di depressione dovuto ad ansia e stress e mi ha prescritto dei farmaci.
«Due pasticche al giorno e il matrimonio ti sembrerà una passeggiata. È l'unico modo per sopravvivere nel nostro mondo», ha detto mia madre mentre mi carezzava i capelli in modo del tutto innaturale e mi ficcava il flacone tra le dita. Per i primi tre giorni ho gettato le due pasticche nel water senza neanche considerare di prenderle, dal quarto il dolore è diventato insopportabile, e non sono più riuscita a smettere. La mia vita cade a pezzi, ma almeno lo fa in silenzio.
«Oggi c'è la prova del vestito». Mia madre entra nella mia camera con un sorriso radioso. Io continuo a guardare il mio riflesso nello specchio a muro senza muovermi, e incrocio il suo sguardo solo per una frazione di secondo. «Scendi nell'atrio tra dieci minuti».
Quando ne mancano cinque, mi trascino lungo le scale e poi fino alla macchina di Pierre. Amélie si siede dietro con me, nostra madre invece sale davanti.
«Papà verrà?» chiede mia sorella.
«Non lo so, tesoro, è impegnato con l'accordo coi Wagner».
L'accordo coi Wagner, ovvero una fetta della loro compagnia in cambio di una Leroy. Se dentro non sentissi una pace assoluta, probabilmente starei ridendo. O piangendo. O, in modo più verosimile, entrambe.
La boutique che ha scelto Amélie è kitsch, e il gusto che prevale è quello dell'orrido. Vestiti pomposi e con strascichi infiniti, in un classico stile principesco. A dir poco rivoltante. Quando entriamo, la stilista la accoglie con un sorriso talmente finto da sembrare quasi vero, poi la trascina subito verso i camerini. L'abito che ha scelto mi dà il voltastomaco, ma mi sono tenuta la mia opinione per me, tanto a nessuno interessa ciò che ho da dire. Quando torna da noi, che la stiamo aspettando sui divanetti rivestiti di velluto bianco, le sue amiche scoppiano a piangere, e nostra madre emette un verso di apprezzamento. È avvolta in una nuvola di tulle, mentre il corpetto è rivestito di pizzo bianco. La stilista ha aggiunto addirittura una tiara di diamanti, che brillano così tanto da costringermi a distogliere lo sguardo.
«Sei stupenda, Ami», dice una delle sue amiche. Io mi soffermo invece sui suoi occhi, ma non vi vedo neanche un decimo dell'entusiasmo delle altre.
«Cheyenne, perché non scegli un abito anche tu? D'altronde a breve sarai la prossima». Le parole di mia madre fanno calare un silenzio glaciale, o almeno così sembra a me. Brividi gelidi mi corrono lungo la spina dorsale, ma annuisco e seguo la stilista, ancora più contenta di poter spillare il doppio del denaro previsto dal portafoglio di mia madre. Mi ritrovo seduta nel camerino, mentre lei mi sventola davanti alla faccia abiti di ogni genere: a sirena, pomposi, con tulle, senza tulle, di pizzo, semplici, eppure tutto ciò che riesco a pensare è perché? O forse sarebbe meglio dire come? Come sono finita così? Le mie scelte sbagliate devono risalire addirittura all'infanzia, perché non è possibile che mi sia rovinata la vita in questo modo soltanto negli ultimi anni.
«Allora? Quale vorresti provare?»
Sbatto più volte le palpebre per tornare alla realtà, poi pesco a caso un vestito dal mucchio bianco tra le sue braccia. Per i successivi dieci minuti sento lacci tirare e tessuto frusciare, ma l'unica immagine a cui riesco a pensare è il mio riflesso nello specchio. Sono dimagrita. Troppo. Le spalle sembrano due ramoscelli fragili che rischiano di essere spezzati dal vento da un momento all'altro, il viso è scavato, e con i miei zigomi alti si nota anche di più. Gli occhi sono cerchiati, le borse rossastre e le labbra screpolate. Chi sono? Prima che la stilista tiri su la cerniera, riesco a vedere le costole spingere contro la pelle all'altezza del busto. E mi chiedo quand'è stata l'ultima volta che ho mangiato. Se i pasti frugali e totalmente fuori orario delle ultime tre settimane non contano, direi un mese fa. Secondo mia madre non sono stata più in forma, io invece mi faccio schifo. Ma d'altronde non è a me stessa che devo piacere. Non vedo Hans da due settimane, dato che è partito per la Germania con mio padre, ma mia madre insiste che amerà il mio cambiamento. Io penso che nessuna persona sana di mente possa dire che sto meglio adesso rispetto a prima, ma il mio parere non conta.
La stilista stringe il corpetto al massimo, poi mi trascina di nuovo fuori. Mia madre spalanca la bocca quando mi vede, poi si porta una mano agli occhi, dove asciuga una lacrima. Prima avrei dato qualsiasi cosa per vederla così orgogliosa di me, adesso invece non me ne importa più niente.
«È lui?» chiede la stilista. «Vuoi prenderlo?»
«Sì», rispondo. L'urlo che emettono le amiche di Amélie è inversamente proporzionale al mio entusiasmo. Mi sbrigo a tornare ai camerini perché non vedo l'ora di levarmi di dosso questo ammasso di stoffa.
Mentre torniamo a casa, una pioggia fine si abbatte sul parabrezza. Mi incanto ad osservare le gocce correre lungo il vetro, e una tristezza immensa mi assale. Ci sono dei giorni, seppur rari ormai, in cui mi sento talmente vittima delle mie emozioni da non riuscire neanche a pensare. Socchiudo gli occhi e poggio la guancia contro il vetro, cercando conforto nella freschezza della pioggia.
Quando arriviamo a casa, rimango volontariamente indietro. Dopo che tutti si sono dileguati, mi lascio cadere di peso sul marciapiede. Il traffico scorre rapido davanti a me, qualche automobilista suona, ma io non mi muovo. Chiudo gli occhi. La pioggia mi bagna i capelli, goccia in rivoli lungo le guance e si insinua sotto i vestiti. Vorrei piangere, ma non ci riesco. Lentamente, però, la superficie calma del mare che ho dentro si increspa, e le onde si fanno sempre più alte, fino ad abbattersi contro gli scogli dei miei pensieri, che sono diventati talmente incombenti che neanche il mare riesce a scalfirli. Sollevo la testa verso il cielo e, senza che possa fermarlo, un urlo liberatorio si arrampica lungo la mia gola e si riversa contro il cielo torvo. Le nuvole rispondono con tuoni e lampi, ma io resto esattamente dove sono.
«Cheyenne!» Spalanco di scatto gli occhi quando sento il mio nome, ma non muovo un muscolo. «Che diavolo stai facendo? Ti prenderai l'influenza!»
Posso anche morire per quanto mi riguarda, penso, e torno a chiudere gli occhi. Sento una macchina passarmi a un palmo dal naso.
«Cristo! Alzati subito, sei impazzita?» Mia sorella mi afferra per una spalla, fino a farmi voltare completamente verso di lei. Mi prende per il gomito e mi tira in piedi. Una rabbia improvvisa mi investe, e approfitto del fatto che con una mano sta tenendo l'ombrello per liberarmi.
«Lasciami in pace!» grido.
«Tu sei pazza, Cheyenne! Che cazzo ti prende? Perché fai così?»
Mi infilo le mani tra i capelli bagnati e grido di nuovo. «Siete voi ad avermi resa pazza! Mi avete rovinato la vita!»
«Andiamo dentro, muoviti». Amélie mi afferra per un braccio e mi trascina fino all'atrio.
«Lasciami! Lasciatemi stare!» urlo, ma lei mi ignora e chiude la porta alle nostre spalle.
«Cosa diavolo pensavi di fare? Potevano investirti». I suoi occhi mi scrutano disgustati, ma per la prima volta non credo sia a causa mia.
«Come se ve ne sarebbe importato qualcosa! Anzi, avreste organizzato una festa!»
Amélie indietreggia come se le avessi tirato uno schiaffo. «Non dire mai più una cosa del genere, Cheyenne».
«Smettila di fare finta di essere preoccupata per me! Non te ne frega un cazzo di me!» continuo a gridare, incurante che qualcuno possa sentirci.
Amélie s'infuria e mi spintona. «Non è vero, Cheyenne! Dio santo, hai sempre avuto una tendenza all'autodistruzione... Sei irresponsabile, menefreghista e saccente! Non vuoi mai accettare consigli e pensi di sapere tutto, quando in realtà non capisci niente!»
«Perché mi tratti sempre in questo modo? Siamo sorelle, Amélie, e le sorelle dovrebbero formare una squadra! Se almeno tu mi fossi stata vicina in tutti questi anni forse non mi sarei sentita così sola!» Le sputo addosso ciò che mi sono tenuta dentro per quasi vent'anni. Non ho mai urlato così tanto con lei, né mi sono mai sentita così scossa. «E invece tu hai sempre preferito essere la prima: la più bella, la più intelligente, la più gentile, la più socievole, la più responsabile... perché ti sei sempre sentita più di me!»
Amélie rimane scioccata per un primo momento, non ho mai risposto alle sue provocazioni, quindi non se lo aspettava, ma ben presto la sua espressione muta, e il viso le prende fuoco per la rabbia. «Pensi davvero che per te sia difficile? Non hai neanche idea di quanto la mamma ci vada pesante con me! Io devo essere perfetta, sempre, tu puoi permetterti di non esserlo!»
«Non è vero!», ribatto, furibonda, ormai le sto urlando a un palmo dal naso, riesco a sentire il suo respiro affannato che mi sbatte sul volto come su un muro di cemento. «Io devo essere come Amélie, sempre e comunque, sei sempre stata tu quella perfetta, la figlia preferita!»
«Tu almeno puoi scegliere! Io devo essere per forza come Amélie, perché sono la figlia eretta a modello!»
«Come se ti dispiacesse, io ho avuto il coraggio di scegliere!»
«Invece no!» sbraita, poi mi dà una spinta sul petto. Barcollo all'indietro ma riesco a mantenere l'equilibrio. «Non sei coraggiosa per niente! Ti sei sempre nascosta dietro di me, e ti sei ripetuta per tutti questi anni di odiarmi fino a convincerti che era vero, perché io ero la preferita e tu no, quando in realtà non te ne importa un bel niente, anzi ti fa comodo che ci sia io a subire mentre mi usi come scudo!»
Mi blocco un secondo. Il petto di mia sorella si alza e si abbassa alla velocità della luce, i lineamenti del volto deformati dall'ira. Non l'ho mai vista in questo modo, ma forse non ha tutti i torti. Da un lato essere costantemente la seconda figlia fa male, ma dall'altro è una fortuna il fatto che mia madre abbia concentrato tutte le sue attenzioni su mia sorella sin da quando eravamo piccole, il punto è che ho sempre pensato che Amélie adorasse essere di più di me, e ora lei mi dice che non è mai stato così.
«Non ci ho mai pensato», ammetto, piano.
Amélie sembra recuperare parte del controllo, anche se è ancora stravolta.
«Lo immaginavo, Cheyenne, perché pensi soltanto a te stessa e alle cose che fanno stare male te, non ti importa degli altri». Lo dice a voce bassa, ma il dolore che la spezza supera addirittura il frastuono che hanno creato le nostre urla prima. Non è la prima persona a dirmi una cosa del genere. Infatti, già Allen mi aveva fatto notare quanto fossi egoista. Mi sento uno schifo. Ancora di più.
«Mi dispiace, Amélie, davvero... non mi sono mai messa nei tuoi panni, e non mi sono mai resa conto di quanto fosse difficile per te. Considerando che abbiamo la stessa madre, avrei dovuto immaginarlo». Dal suo sguardo stupito è evidente che non si aspettava delle scuse, ma io sono stanca di litigare con qualsiasi persona nella mia vita. Se avessi passato meno tempo a giudicare e di più a costruire rapporti sani adesso non sarei in questa situazione. Se avessi seguito più spesso il cuore adesso sarei felice, avrei abbastanza coraggio per scegliere come condurre la mia vita.
Faccio un passo verso Amélie e allungo una mano, porgendole il mignolo. «Tregua?»
Lei lo osserva per qualche secondo, poi mi afferra il polso e mi tira in un abbraccio. Emetto un «Oh!» sorpreso, non ricordo se ci siamo mai scambiate un gesto d'affetto, tantomeno un abbraccio. Mi crogiolo nel calore di questo momento chiudendo gli occhi. Finalmente mi sento una sorella minore, e non soltanto una conoscente. E tutto sembra un po' meno opprimente.
«Scusa se ti ho trattata come se fossi inferiore a me in tutti questi anni, in realtà ero invidiosa della tua libertà», confessa Amélie, la voce attutita dalla mia maglietta umida. Libertà. Non l'ho neanche mai assaporata, la libertà.
«Ti chiedo scusa anch'io, Amélie, perché invece ero gelosa dell'amore che mamma e papà ti riservavano».
«Non è amore, Cheyenne», scuote la testa, poi mi allontana leggermente da sé per guardarmi negli occhi, le mani strette saldamente sulle mie spalle. I suoi, azzurri, mi inchiodano a terra, e percepisco l'importanza di ciò che sta per dirmi dalla serietà nel suo sguardo. «Amore significa libertà, ed è la cosa di cui i nostri genitori ci hanno privato per tutta la vita. Secondo te io voglio sposare Lionel? È così... passivo! Niente lo scalfisce, non c'è passione tra noi, è solo un contratto economico, ma questo non è amore, Cheyenne, non credere neanche per un secondo che l'amore sia così. L'amore è disinteressato, puro, sincero. Non può essere programmato, quando arriva ti travolge e rende tutto più luminoso. Se ti sei mai sentita così con qualcuno, non dovresti lasciarlo andare. Niente che la mamma possa offrirti in cambio sarà all'altezza, fidati di me».
«Sai per caso-», provo a dire, le lacrime mi pizzicano gli occhi, ma mi rifiuto di piangere ancora.
«So tutto, Cheyenne», mi interrompe. «Pensi che la mamma non me ne abbia parlato? Sapevo che non avresti mai sposato Hans di tua spontanea volontà. Ho provato a farla ragionare, perché nonostante tutte le nostre incomprensioni non volevo che ti trovassi nella mia stessa situazione, bloccata in un matrimonio infelice a soli ventun anni. Ovviamente non mi ha ascoltata, ma tutto dipende da te. Abbi coraggio. Scegli, ribellati. Sei tu a dover decidere per te stessa, tu e nessun altro, hai capito?» Mi scuote leggermente, e io mi trovo ad annuire, frastornata.
«Mi dite tutti la stessa cosa, ma nessuno di voi segue questi consigli! Sposerai comunque Lionel, anche se non lo ami. Perché io non dovrei fare lo stesso?» Protesto, perché la loro ipocrisia comincia ad infastidirmi. Prima Courtney e Chantal, ora anche mia sorella. Tutti che mi dicono di rischiare perché ne vale la pena, mentre loro scelgono invece la strada più sicura. Non so neanche se ho le forze di sopportare un tale carico emotivo, mi sento vuota, prosciugata.
«Se io non sposassi Lionel, tu saresti costretta a sposare Hans. La mamma non mi lascerebbe mai prendere in mano l'azienda di famiglia senza il matrimonio», sorride, triste.
«Ma sei estremamente preparata! Non ti serve un idiota inamidato per gestire gli affari, te la cavi benissimo da sola», protesto.
«Lo so, Cheyenne, ma lo farebbe per punirmi. Sa che, tra noi due, è a me che interessa veramente ereditare l'azienda, e il suo modo per controllarmi è minacciarmi di togliermela. E punirebbe te obbligandoti a sposare Hans e gestire l'azienda. Ormai sono ad un passo dalla laurea, non ho intenzione di mollare, anche se il prezzo è un matrimonio con qualcuno che non amo». Abbassa la voce, ma la fierezza nei suoi occhi mi affascina. Non pensavo che fosse veramente interessata all'azienda e disposta a sacrificare così tanto per seguire i suoi sogni. E per me.
«E poi si può sempre divorziare», aggiunge ammiccando, e anche se rido, siamo entrambe consapevoli che non è un'opzione nemmeno considerabile. Lo scandalo sarebbe troppo oltraggioso per il buon nome dei Leroy. Alzo gli occhi al cielo al solo pensiero.
«La mamma non ha niente con cui ricattarti a cui tu tenga davvero, Cheyenne, perché non ribellarti? Perché non rischiare per vivere la tua vita come la vuoi tu?», continua Amélie, senza sapere che nostra madre ha tra le mani i miei sogni, invece.
«Se non sposo Hans, posso scordarmi la Juillard, la migliore scuola di musica del pianeta! È tutto ciò che ho sempre desiderato...»
«È davvero così importante?», replica candida Amélie. Sgrano gli occhi in preda allo shock.
«Certo che è importante, Lie!»
«Erano anni che non sentivo questo soprannome...», ride mia sorella, poi torna seria. «Quello che voglio dire è che esistono decine di scuole di musica molto valide, non devi considerare solo la Juillard. Certo, è una scuola d'eccellenza, ma vale la rinuncia alla persona che ami davvero?»
«Tu sai di-», esclamo, incredula. Com'è possibile?
«Ho origliato una conversazione tra Lauren e Samantha qualche settimana fa».
«Amélie!»
Scoppia a ridere, e piano piano l'espressione scioccata svanisce dal mio volto, sostituita da un sorriso. Era talmente tanto tempo che non sorridevo, che gli zigomi mi fanno subito male, come se li avessi costretti in una posizione innaturale.
«Oh, devi dire alla mamma anche del cane, è diventata decisamente troppo grande e fa rumore quando cammina sul parquet».
«Sai anche- Oh, lasciamo perdere», sbuffo, e Amélie ridacchia. «Torniamo alle cose serie: tu credi che io debba rinunciare alla Juillard per... un ragazzo? È follia, Lie, per quanto lui sia importante».
«Non devi rinunciare per un ragazzo, Cheyenne, devi rinunciare per te stessa. Perché è giunto il momento di scegliere. Basta con i ricatti, basta con gli obblighi, basta con i doveri. La vita non funziona così, le cose si ottengono con la fatica, non perché mamma ti ricatta e poi ti promette che ti darà tutto ciò che vuoi. Al diavolo, io credo che tu possa entrare in quella scuola anche contro il suo volere, sarebbero degli idioti a non ammetterti soltanto perché lo dice Lorelie Leroy».
«Amélie, la nostra famiglia è il principale finanziat-»
«Lo so!», mi interrompe. «E pensi che nostra madre possa rischiare di perdere milioni di dollari e fare una pessima figura sui giornali perché la Juillard ha ammesso sua figlia? È ridicolo!»
«Ora che la metti così...» La speranza sembra rinascere come una fenice, ergendosi in tutta la sua forza e travolgendomi nel suo caldo abbraccio. Forse c'è una possibilità di sfuggire al mio destino.
«La mamma pensava di coglierti di sorpresa, di confonderti, evidentemente non aveva previsto che per una volta avremmo fatto squadra», esclama soddisfatta Amélie. La osservo per la prima volta con occhi diversi, e mi rendo conto di cosa significa avere una sorella. Le getto le braccia al collo e la stringo a me.
«Grazie, Lie».
Sento la sua risata attutita dalla mia maglietta.
«Tutto per la mia sorellina. E butta quegli antidepressivi. Ti stanno uccidendo».
Stringo gli occhi per non piangere. «Lo farò».
E forse la verità è che avevo soltanto bisogno di sentire queste parole da un membro della mia famiglia, perché ho sempre preso tutte le mie decisioni per essere alla loro altezza. Ma adesso basta. Finalmente, dopo mesi, so cosa fare. Tutto sembra chiaro. Da questo momento in poi l'unica persona per cui prenderò decisioni è me stessa, senza temere che possano non piacere agli altri. E la mia prima decisione è porre fine a questa follia. Tiro fuori il cellulare e scorro la rubrica fino a trovare ciò che stavo cercando. Dopo due squilli, risponde, e l'allegria nella sua voce rafforza la mia determinazione. Neanche lui si merita questo.
«Ehi, bellezza».
«Hans, dobbiamo parlare».

Ciao fiori di campo!🙊

Sono molto fiera di questo capitolo, e spero che si percepisca l'apatia di Cheyenne dal modo in cui ho scritto la prima metà. Ho cercato di mostrare la sua indifferenza e rassegnazione di fronte a persone che non la ascoltano e non la capiscono.

Finalmente, qualcuno le ha detto chiaro e tondo la verità: l'amore non è ciò che le ha insegnato sua madre, che tra l'altro l'ha imbottita di psicofarmaci pur di ottenere ciò che vuole. Davvero disgustosa.
Cosa ne pensate, invece, di Amélie? Vi piace di più il suo personaggio? Cosa ne pensate della sua scelta di sposare comunque Lionel? Per lei l'azienda significa tutto...

Cheyenne è stata lentamente corrosa e distrutta dalle persone che l'avrebbero soltanto dovuta amare ed incoraggiare ad essere sé stessa.
Non fatevi mai dire da nessuno come dovete essere, e non rinunciate alla vostra opinione perché qualcuno vi dice che non conta, per quanto voi lo stimiate o ne ricerchiate l'attenzione. Non vi merita.

Siete importanti e meritate di essere ascoltati.

Cosa farà ora Cheyenne? Allen la starà a sentire, oppure non vorrà più rischiare di essere ferito?

Inoltre volevo dirvi che oggi ho ufficialmente deciso come far finire Misfits... ormai siamo agli sgoccioli 😁
Spero che la mia scelta vi piacerà, e non vedo l'ora di sentire cosa ne pensate! Tuttavia, ci sono ancora questioni da risolvere, prima...

Al prossimo capitolo!🔜

-A

Misfits - DisadattatiWhere stories live. Discover now